Lo spirito animale dell'economia

(di Luca Pacioli)
01/09/23

Qualsiasi aspetto dello scibile, quando concretamente declinabile, offre più di una prospettiva. Quanto più il singolo argomento è complesso, tanto più le sue declinazioni virano verso molteplici punti, spaziando dal concettuale al concreto e viceversa. Se da un lato l’astrazione rende perfetta, sotto la taddema1 della Divina Proportione2, la scientificità delle scritture della partita doppia, che fissa natura economica e finanziaria di ogni movimento contabile, dall’altro lo spirito animale keynesiano dell’economia, grazie alla prevedibile delusione dell'ottimismo, rimane fattore indispensabile per comprendere come cambi nel suo pragmatismo l’attività economica e di mercato; per il barone John Maynard le crisi finanziarie sono una caratteristica ricorrente, data la fisiologica instabilità del contesto.

Lo stesso termine globalizzazione offre diverse interpretazioni riconducibili alle possibilità di impiego del capitale da parte di chi più ha potuto/voluto/saputo esercitare la concorrenza attraendo risorse. Rovescio della medaglia: dall’altra parte dello specchio l’emulo economico di Lewis Carroll ha affiancato ad Alice, come lo spirito dei natali futuri, lo spettro della recessione, concreta ed imminente secondo David Rosenberg, che già predisse la crisi del 2008 e che ora raccomanda una strategia d’investimento ragionata, sia negli USA che in UE, dove l’attività economica è in sofferenza ed i consumi sono in calo.

Ma non è finita qui, perché nella tana del Bianconiglio per Alice è in attesa anche un’inflazione persistente ed elevata, combattuta con un aumento sensibile dei tassi d’interesse, rimedio ideale per la flagellazione sia di ampi strati di società già di per sé prostrati dalle conseguenze della pandemia, sia di Stati con economie indebitate come quella italiana, comunque tenute ad assicurare il rendimento dei titoli messi all’asta.

Del resto che fare? Sperare che l’ammalato sopravviva, anche perché gli effetti recessivi, alla lunga, avrebbero conseguenze ben più pesanti di quelli inflattivi: certo, sarebbe auspicabile che il malato respirasse ancora..

Se a Ovest si piange a Est si singhiozza; in Cina, finito l’effetto trainante dal segmento immobiliare di Evergrande, è rimasta un’immane bolla di cui si cerca di comprendere la portata, dato che le ricadute sul territorio sono radicate e ramificate. In attesa di un intervento statale fattivo, la crisi ha contagiato i risparmi privati dissolvendo la liquidità delle imprese e minacciando i prodotti di risparmio collocati dal sistema bancario parallelo. Insomma, in Cina l’aumento del risparmio, necessario a ripagare i debiti, sta gelando un’economia accompagnata da un lato dalla deflazione3 dei prezzi al consumo, e dall’altro dalla frammentazione delle supply chain causata dagli attriti con Washington.

È finita qui? Magari. 4 dei 10 fondi generosamente sparsi tra Irlanda e Lussemburgo e maggiormente esposti con Evergrande sono gestiti dal gruppo inglese Ashmore; considerata l’eternità si tratta di esposizioni contenute, però pur sempre esposizioni, come c’è una crescita troppo contenuta del PIL europeo a fronte della ripresa americana.

Prendete un paio di appunti: l’Europa potrebbe ammalarsi di recessione; BCE e Bank of England continueranno ad alzare i tassi; non è garantito che stoppare l’aumento dei tassi scongiuri la recessione. Insomma, l’economia globale è in una fase di stallo e debolezza.

Non poteva mancare la geopolitica multilateralista ispirata al redivivo spirito del non allineamento di Bandung 1955; nel 2001 Jim O’Neill di Goldman Sachs creò l’acronimo BRIC(S4) per evidenziare le potenzialità di un gruppo di paesi emergenti che, pur avendone l’ambizione, non possono essere un’alternativa al G7 malgrado l’inclusione delle prime 6 nuove nazioni5 su 23 richiedenti: un incontro di amorosi sensi geopolitici che non cancella divisioni e rivalità.

India, appartenente al QUAD6, e Cina si confrontano militarmente sull’Himalaya e nell’Indo Pacifico; Arabia Saudita e Iran, rivali secolari, sostengono fazioni opposte in Siria, Libano, Yemen; Etiopia ed Egitto si contendono le acque del Nilo Azzurro, con il Cairo che ha minacciato di bombardare le dighe etiopi. Con le nuove cooptazioni i BRICS si sono orientati verso l’egemone cinese che, con Mosca e Teheran, ha inteso rafforzare un asse anti-americano sostenuto da due stati sanzionati preludendo così ad una futura e certa difficoltà nel negoziare qualsiasi compromesso in ambito G20.

Quanto dureranno questi matrimoni di puro interesse? Impossibile accontentare un consesso di aspiranti egemoni litigiosi ed in condizioni fortemente disparitarie, che puntano allo sfruttamento energetico a basso costo ed all’abbandono del dollaro nelle transazioni commerciali. La scelta dei nuovi paesi che accederanno a partire dal gennaio 2024 è stata dunque preceduta sia da una valutazione geografica delle aree extra limes occidentale, sia da una trasversalità geopolitica che compendia differenti posizioni, culture e sensibilità geostrategiche.

Il Global South è maturo per sfidare con un nuovo ordine l’Occidente del G7? Non sembra, visto sia il mandato di cattura internazionale spiccato nei confronti del presidente russo, perfettamente eseguibile in Sudafrica, Stato appartenente alla Corte Penale Internazionale, sia la ritrosia brasiliana nell’assumere posizioni di aperta rottura verso il mercantile Occidente.

È utile notare che, anche se i BRICS valgono quanto il 32% del PIL planetario, la scomposizione del dato aggregato evidenzia che il PIL cinese vale più di quello degli altri 4 partner uniti, un elemento utile a comprendere chi intenda comandare veramente, ed a chi appartenga la valuta che si desidererebbe rendere unica.

Cinematograficamente i sogni rimangono desideri, e le strutture economico-produttive dei vari Paesi continuano ad essere troppo divergenti tra loro. Visto che il dollaro permarrebbe ancora quale valuta di riserva, sembra ancora troppo presto per cantarne il requiem o auspicare un depotenziamento del FMI. In sintesi, per il momento, nessuna nuova moneta, ma un inizio di controllo, grazie ad Arabia Saudita e EAU, dell’offerta energetica che rallenterebbe la transizione dai combustibili fossili al green. Era dunque questo il target che la Cina si era ripromessa di raggiungere mediando le relazioni diplomatiche irano saudite; al contempo i Paesi del Golfo Persico prendono atto della diversificazione dei partner senza dover rinunciare al rapporto con gli USA, una volta detentori del Washington Consensus ed ora costretti a rincorrere, dopo aver dovuto subire il downgrade ad opera di Fitch.

Il risultato più concreto è la Nuova Banca di Sviluppo7, prestatore multilaterale basato a Shanghai, presieduta da Dilma Rousseff, ex presidente brasiliana deposta da un impeachment. La Banca deve tuttavia affrontare diversi problemi; i bond internazionali in valuta locale, che dovrebbero agevolare gli scambi bilaterali BRICS, già esistono; la presenza della sanzionata Russia rende inaccessibili i mercati in dollari; il rischio di sfuggire ai tassi di interesse sul dollaro è ineliminabile; è decisamente avventato prestare denaro senza condizionalità. Tutto rientra nell’ambito della strategia cinese mirata all’internazionalizzazione del renminbi, valuta ancora non completamente convertibile. Insomma, al netto dei proclami, è la realtà a battere il ritmo; chi pensa, come l’Argentina, di risparmiare dollari per rimborsare il FMI, in realtà fa ricorso a swap in renminbi, ovvero a prestiti cinesi, senza contare la Russia, costretta dall’esclusione dal sistema SWIFT, a ricorrere alla valuta cinese o, parzialmente, ai rubli ora peraltro in forte sofferenza.

Tutto agevole per gli USA? No, viste le reazioni alla politica monetaria della Fed ritenuta responsabile delle oscillazioni sia nei flussi di capitale sia nei tassi di cambio soprattutto nei paesi emergenti che hanno cercato di sviluppare sistemi transfrontalieri bilaterali in valuta locale8, modalità che comunque, pur frammentando lo scenario dei pagamenti globali, non può attentare al primato del dollaro dato che non è stata proposta alcuna valuta alternativa completamente convertibile. 

Fondamentale sarebbe ancorare il cambio ad un valore solido costituente il pivot cui vincolare l’andamento valutario, esigenza del 1971 con la fine di Bretton Woods e che è tornata di moda con la campagna elettorale USA 20249. Mancando un Gold Standard vecchia maniera, si è ipotizzato che la stabilità monetaria potesse agganciarsi alle criptovalute, soprattutto il bitcoin10; del resto se la FED avesse vincolato il cambio del dollaro al prezzo delle materie prime, già al mattino del 25 febbraio 2022 avremo assistito ad un aumento dei tassi necessario a compensare il maggior prezzo del paniere di materie prime, foriero di un immediato doppio shock recessivo.

Il problema è dunque il dollaro? Più che altro ora tiene banco l’esigenza di de-dollarizzareovvero di abbandonare il dollaro come moneta di riserva o scambio, in favore del renminbi11.

L’idea che l’influenza del verdone sia calante non è nuova, ma le reali possibilità che scemi davvero, senza un repentino e violento shock esogeno, sono esigue; il dominio americano è dimostrato sia dalle riserve in valuta, sia dal fatto che oltre la metà del commercio globale e dei prestiti transfrontalieri è sostenuto dal dollaro12 che deve temere, eventualmente, il ritorno dell’oro quale bene rifugio di riserva13 ed il fatto che storicamente non esiste il dogma della moneta unica14; come può crescere lo yuan/renminbi senza liberalizzare i mercati, rinunciando al controllo dei capitali? E poi: come potrebbe la Cina accettare di assorbire i deficit commerciali con l’estero come fa Washington? Difficile per un regime di matrice comunista che accumula surplus deprimendo salari e consumi interni.

Che la Cina sia avvolta dalla spirale di una crisi economica strutturale è evidente, come è evidente che, data la situazione di indebitamento di famiglie ed imprese, qualsiasi richiesta di acquisto o investimento da parte del Partito Stato non potrà essere soddisfatta, trovandosi Pechino in una situazione di recessione di bilancio. Ancora di più sorgono dubbi circa la capacità di riuscire battere una moneta BRICS unica e forte, a meno che non si tenga conto dell’aspetto cognitivo e propagandistico della boutade.

Intanto il mercato azionario trasmette incertezza, scosso com’è dalla crisi immobiliare cinese15 che, lungi dall’agevolare l’onirico 5% del PIL desiderato dal Politburo, condizionerà l’economia globale negli anni, dati i dubbi sull’efficacia delle manovre ufficiali del Partito16, e poi delle shadow bank, intermediari finanziari che raccolgono fondi extra canali ufficiali per investirli in attività ad alto rendimento; il tutto a meno che, egoisticamente ma comprensibilmente, lo shock non si riversi all’interno della Grande Muraglia e lì rimanga.

Mentre Evergrande presenta istanza di ristrutturazione del debito offshore a NY17, e Country Garden con Zhongrong International Trust controllata di Zhongzhi Enterprise Group minacciano di estendere il contagio con fallimenti a catena ad effetto Lehman Brothers18, per non farsi mancare nulla, in Borsa rischia di scoppiare la bolla dei prodotti tecnologici nel mezzo dei timori asiatici per un ennesimo rialzo americano dei tassi.

In sintesi, la Cina ha rallentato drammaticamente, tra calo demografico e deflazione che deprime gli utili e che attenta al benessere sociale, elemento che fa comprendere perché Pechino spinga per maggiori aperture commerciali e valutarie verso l’estero, dove però la trazione sostanziale può essere assicurata (guarda la sfortuna) solo dagli USA, ispiratori del decoupling.

Washington e Pechino, tra l’altro, oltre alle decisioni di contenimento produttivo dell’OPEC+, stanno influenzando le quotazioni petrolifere, condizionate dal rallentamento cinese che spinge al ribasso, e dall’aumento dei tassi della FED che porterebbero ad una riduzione recessiva dei consumi. Da Francoforte anche la BCE non è aliena a questa politica economica, dato che l’obiettivo di riportare l’inflazione al 2% non è stato ancora raggiunto, e che la stagione degli shock collegati sia all’approvvigionamento che alla transizione energetica non sembra essersi esaurita.

Ed ora qualche spicciolo geopolitico... Secondo il Premio Nobel Robert Schiller il crack Evergrande potrebbe indurre la Cina ad invadere Taiwan, quale conseguenza dell’improvviso e necessario cambiamento contingente di narrativa – da perdente a vincente -, ed alla luce del contraccolpo azionario, visto che la Cina detiene 1000 miliardi di titoli di stato americani e di altri paesi, Italia compresa, ma continua a produrre debito pagando interessi superiori a quelli italiani19 anche per effetto della pessima amministrazione degli enti locali.

Anche Mosca ha poco da rallegrarsi visto sia il crollo del rublo dovuto alle spese militari20, sia il rialzo dei tassi dall’8,5% al 12%, rialzo che non è peraltro escluso che sia l’unico, un peggioramento che pone la divisa russa tra i peggiori competitor valutari come Nigeria, Argentina, Turchia. La Banca di Russia ha individuato nella contrazione della bilancia commerciale la causa della diminuzione dell’avanzo delle partite correnti; in soldoni, il conflitto ucraino ha elevato il deficit di bilancio con un aumento delle importazioni, e si è accompagnato ad una carestia valutaria interna21 contrapposta ad un’accelerazione della fuga di capitali all’estero.

L’apparente resistenza alle sanzioni occidentali non ha risparmiato la divisa russa, fiaccata da problemi strutturali antecedenti: se è vero che non si sono verificati collassi hollywoodiani, è però vero che nel tempo un’economia sempre più militarizzata ed autarchica ha intrapreso una china discendente.

Utile ricordare che, in tempo di guerra, il PIL non è un buon indicatore, in quanto anestetizzato dalla produzione bellica che, di certo, non investe sul futuro benché, come si ricorderà, per qualcuno finché c’è guerra c’è speranza.

Minima immoralia: l’Institute for the Study of War riporta di materiale elettronico prodotto negli USA e rinvenuto sull’82% dei droni iraniani abbattuti dagli ucraini.

In sostanza, mentre una Cina in anossia detta le regole, la guerra logora tutti, soprattutto chi la provoca, e non è avveduto scaricare su qualsiasi governatore di Banca Centrale le conseguenze delle scelte sbagliate della politica. Nonostante le rassicurazioni della governatrice Nabiullina, i russi potrebbero tentare di accantonare valute più stabili e di valore, mentre si sta valutando l’adozione di una moneta digitale con cui aggirare le sanzioni.

Negli USA si complica la crisi bancaria, con i downgrade di Moody’s e Fitch che, oltre a stigmatizzare la crescita dei tassi, hanno paventato un costo crescente delle obbligazioni vendute dagli istituti di credito ma con uno Zio Sam imprevedibilmente più tenace del previsto; Tokyo si rivela invece attore anomalo, con tassi di interesse bassi, un’inflazione gestibile ed un PIL spinto verso l’alto dal calo delle importazioni.

New Delhi, mentre alluna dove i russi si schiantano, cerca l’equilibrio tra Washington ed il binomio sino russo che deve prendere atto dell’ascesa di Modi che punta al prossimo G20 e non può non essere opportunista guardando alle difficoltà di un paese, la Cina, che ha dileggiato l’India per i roghi accesi per le vittime del Covid e che tutt’ora diffonde mappe geografiche falsate appropriandosi di aree indo-russe.

Saltando a piè pari default neoperonisti argentini e libanesi, presunti ritorni all’ortodossia contabile post elettorale turca22, instabilità egiziane e recessioni olandesi, non possiamo non arrivare, sia pur brevemente, all’Italia.

Secondo l’Istat l’andamento del PIL nel secondo trimestre 2023 è stato oggetto di un calo dello 0,3%, una flessione ampiamente prevista sia in funzione della crisi della Germania, destinazione primaria delle esportazioni tricolori, sia dell’aumento dei tassi di interesse; inevitabile ipotizzare una nuova recessione, visto anche il decremento del mercato interno.

Se è presumibile che i mercati vogliano premiare l’attuale esecutivo, è fuori di dubbio che la legge di bilancio, che dovrà drenare fondi, segnerà uno spartiacque, tenuto conto del bagaglio di promesse elettorali, della riforma fiscale, dei contratti da rinnovare, delle pensioni, dei vari Superbonus e della pericolosa mina vagante della BRI cinese23. La comparazione con il Regno Unito porta a rammentare quanto accaduto all’esecutivo Truss, travolto dalla violenta reazione dei mercati, causata dal proposito di creare deficit con un forte taglio fiscale destinato a favorire la ripresa.

Conclusioni. Le dinamiche economiche, sia pur così sommariamente tratteggiate, non hanno nulla da invidiare agli studi bellici di Clausewitz; si tratta di una guerra, sia pur combattuta in doppiopetto, con tutte le conseguenze del caso.

Il multipolarismo di fatto ha sparigliato le carte, creato nuovi centri di potere, mentre la globalizzazione, con un liberismo finanziario via via più accentuato e che ha appiattito l’intervento sociale dello Stato, ha multistratificato le prospettive restringendo spazi e tempi di reazione. È stato anche accertato che il populismo, di qualunque marca sia, non rientra tra i rimedi utili, come del resto anche la propaganda, che frena i più dall’andare oltre le epidemie narrative di Robert Schiller24.

Guardare ora ai Brics con il puntiglio di rinvenirvi gli anticorpi agli USA, impedisce di vedere la crisi strutturale cinese, la debolezza valutaria russa, l’inconsistenza di molte altre economie, comunque geopoliticamente necessarie, ancorché sanzionate, per occupare posizioni geografiche chiave sulla plancia di un Risiko dove usare monete e non blindati, e dove equilibrio di potere ed egemonia cercano un difficile bilanciamento nel riempimento dei vuoti lasciati negli ultimi anni dalla a-politica bipartisan di Washington.

Non è un mistero che l’ascesa di un egemone sia causa di instabilità che genera temporanee alleanze che rafforzano il ritorno ad un equilibrio volto a garantire nuovamente un’equa (e speranzosamente saggia) distribuzione di potenza; non è purtroppo nemmeno un mistero che la strada per giungervi sia costellata da attriti più o meno violenti.

Impossibile pronosticare un nuovo ordine mondiale, viste le sovrastrutture ideologiche che ritraggono con filtri una Cina in crisi sui mercati, ed una Russia in crisi nelle trincee ucraine; molto più agevole sarebbe riesaminare e mantenere in vita il vecchio, sia pur al netto di certezze da Gold Standard e che avrebbe bisogno di un ritorno, in un momento di crisi come questo, ad una prospettiva di rilancio keynesiana.

Il problema è che di John Maynard ce n’è stato solo uno.

1 Aureola in dialetto siciliano

2 Luca Pacioli

3 La Cina potrebbe essere entrata in un periodo affine a quello vissuto dal Giappone, la cui economia ha ristagnato dopo un periodo di crescita; a questo si accompagna il progressivo isolamento dal commercio occidentale. 

4 Sudafrica entrato successivamente

5 Arabia Saudita, Iran, EAU, Egitto, Etiopia e Argentina.

6 India USA, Australia e Giappone

7 Azionisti NDB sono i 5 paesi BRICS a cui si sono aggiunti Egitto, Bangladesh ed EAU. Le banche centrali di Cina, Hong Kong, Thailandia ed EAU hanno collaborato al progetto mBridge - Banca dei Regolamenti Internazionali, per sviluppare una piattaforma di valuta digitale per facilitare interoperabilità e connettività. Ciò renderebbe il renminbi e le valute digitali di altri paesi membri utilizzabili per i pagamenti transfrontalieri in un contesto multilaterale. Anche l’India ha promosso l’uso della sua valuta nei pagamenti transfrontalieri. Poiché la quota indiana nel commercio planetario è ridotta rispetto a quella cinese, l’utilizzo dell’INR sarà meno esteso di quello del RMB. 

8 Il renminbi è risultato quale valuta più utilizzata per i pagamenti transfrontalieri bilaterali, facilitati dalla rete di accordi bilaterali che la banca popolare cinese ha stretto con le banche centrali di 41 paesi (il saldo dei fondi attivati ha raggiunto a marzo scorso l’importo di 15,6 miliardi di dollari). Recentemente il renminbi, in via multilaterale, è stato utilizzato per pagare terzi (l’India lo ha impiegato per pagare le importazioni di petrolio russo, e l’Argentina per pagare parte del debito verso il FMI).

9 Vivek Ramaswamy ha proposto di riformare la FED per dare stabilità al dollaro ed alla congiuntura, prendendo a riferimento non l’indice dei prezzi al consumo ma un paniere di materie prime.

10 I BRICS sono intenzionati a creare una nuova moneta internazionale che dovrebbe prendere la forma di una valuta digitale garantita da riserve d’oro e di terre rare.

11 Secondo la banca dati COFER (Composizione Valutaria delle Riserve Ufficiali in valuta Estera) del FMI, per il quarto trimestre del 2022 le riserve di renminbi si attestano al 2,7% del totale mondiale allocato. Al netto della quota di Mosca che detiene 1/3 di tutte le riserve, il renminbi scende all’1,6%, dunque non c’è un orientamento generalizzato verso la valuta cinese. Le attività e le passività cinesi non costituiscono ancora una seria alternativa al dollaro.

12 La globalizzazione impone commerci veloci e sicuri con il maggior numero possibile di partner. In caso di esportazioni con uso di USD, il Paese interessato accumula USD. Se esporta in USD più di quanto spenda per l’import, il Paese accumula riserve valutarie in USD che devono essere garantite per sicurezza e liquidità.

13 Cina, Uzbekistan, Repubblica Ceca e Polonia stanno incrementando le proprie riserve auree

14 Gli USA registrano da tempo un deficit di bilancia commerciale, compensando l’acquisto di beni e servizi con la vendita di titoli. Se il vantaggio degli investimenti in dollari è la loro liquidità, esiste la possibilità di trasformarli in ultima istanza in beni di consumo

15 Evergrande, in gravissime difficoltà finanziarie e gestionali, è tornata alla Borsa di Hong Kong dopo la sospensione di 17 mesi segnando un crollo nelle prime battute dell'87,88%; a questo si aggiungono le difficoltà di Country Garden China

16 La banca centrale cinese ha sollecitato le banche a fare più prestiti per migliorare le politiche di crediti sui mutui per abitazioni

17 La ristrutturazione dei debiti avverrebbe alle Isole Cayman e Hong Kong per proteggere i beni americani della società

18 Per Robert Schiller non c’è il rischio di una crisi mondiale come quella Lehman Brothers, dato che il sistema finanziario cinese è più chiuso di quello americano.

19 11% delle entrate

20 Aumento dell’import e diminuzione dell’export

21 Non è entrata in Russia valuta pregiata

22 Hafize Gaye Erkan è stata nominata, prima donna della storia turca, Governatrice della Banca Centrale

23 Come riportato da “Formiche”, il Global Times, prodotto dal quotidiano ufficiale del Partito Comunista Cinese, interessato alle vicende internazionali, ha pubblicato un editoriale redatto da un analista filo cinese sotto lo pseudonimo Eusebio Filopatro, già utilizzato nel XVII sec. dal gesuita Giuseppe Sanfelice. L’autore è stato estremamente critico verso l’Italia dopo la visita del PdC negli USA e soprattutto perché l’Italia è ormai in prossimità della decisione sul rinnovo o meno dell’MoU sulla Via della Seta. Il Global Times riporta i timori nutriti dall’autore dati i suoi diversi convincimenti rispetto a quelli sostenuti dal Governo, tesi ripresa anche successivamente.

24 Agli economisti spetta comprendere che le teorie non diventano influenti per accuratezza o coerenza, ma perché sono attraenti. La diffusione di una teoria è determinata da tre fattori: componente emozionale, costellazione delle narrative correlate, relazione della teoria di celebrità

Foto: U.S. Air Force