Come era ampiamente prevedibile, nel corso del Summit dei capi di Stato e di Governo NATO di Madrid, Finlandia e Svezia sono state “invitate” entrare nell’Alleanza (per rispettare almeno sotto il profilo formale il dettato dell’articolo 101 del Trattato di Washington, che prevede, appunto, che si acceda su “invito” e non su base di una richiesta, anche se a con la politica della “porta aperta” adottata dopo la fine della guerra fredda l’invito rimane essenzialmente un atto formale). Adesso avrà avvio all’iter per l’accesso, iter che nel caso specifico sarà ovviamente e giustamente il più contenuto possibile.
Sono innegabili i vantaggi militari per l'Alleanza, che vede rinforzato il proprio assetto difensivo nel suo quadrante settentrionale. Infatti, la NATO volendo potrebbe in futuro bloccare interamente il Mar Baltico, dove Mosca da tempo denuncia uno stato di accerchiamento dell’enclave di Kaliningrad. Inoltre, la penisola di Kola, che è la roccaforte della struttura militare della “Zona Artica della Federazione Russa”2, potrebbe divenire vulnerabile ad un eventuale attacco terrestre proprio partendo dalla Finlandia.
Era prevedibile che vi fossero pressioni sulla Turchia per ritirare il suo veto così come era prevedibile che Erdogan mirasse ad ottenere delle contropartite per il suo consenso e che alla fine le ottenesse. Contropartite di ordine diverso.
In primis, in un periodo di sintonia perfetta tra NATO e UE e di poco prevedibile ma assoluto allineamento di Bruxelles con Washington in merito alla questione russo-ucraina, Ankara si prefiggeva di ottenere un riconoscimento di un suo “status” speciale in ambito Alleanza. Non poteva essere soltanto “uno dei trenta alleati”. Doveva, anche solo per una questione di principio, rimarcare la sua autonomia e che il suo voto non fosse “scontato”, obbligando sia Washington sia Bruxelles a venire a patti.
Inoltre, aveva richieste specifiche da farsi soddisfare e l’occasione era ghiotta.
Certo c’era la questione della protezione finora garantita della Svezia ai Curdi del YPG (che Ankara considera terroristi ma che comunque hanno assolto un ruolo non secondario nel contenimento dell’ISIS) e dagli USA all’organizzazione FETO del suo “nemico personale” Fethullah Gülen. Si tratta di questioni non importanti tanto in sé stesse, bensì per i messaggi che poteva mandare alla sua opinione pubblica interna e agli stessi curdi.
Il messaggio che Erdogan ha lanciato in maniera neanche troppo sibillina sia ai settori a lui ostili dell’opinione pubblica turca sia ai curdi era semplice e diretto: “prima o poi i nemici della Turchia io li prendo. Non fatevi illudere dalle promesse dei democratici e dei liberal europei e nord americani, perché quando loro avranno bisogno di me, non esiteranno un secondo a tradirvi”.
Più importante per Erdogan era ciò che si riprometteva di ottenere da Washington e che chi scrive ritiene abbia ottenuto. Alcune concessioni saranno esplicite, quali la soluzione (nel senso auspicato da Ankara) dell’acquisizione degli F35 e dell’upgrade degli F16, cui si aggiungeranno, ovviamente, fondi Usa o NATO per far fronte alle incrementate esigenze della Turchia, che ha una posizione strategicamente di estrema rilevanza nel confronto militare tra NATO e Russia.
Altre concessioni Erdogan le avrà sicuramente ottenute dagli USA , ma non si leggeranno in alcun documento ufficiale. Sono però proprio queste ultime che dovrebbero più preoccupare noi italiani.
È prevedibile che il “Sultano” abbia ottenuto da Washington il permesso di operare come gli pare vuole (anche in spregio agli interessi nazionali di altri paesi NATO: Grecia, Francia, Italia) nel Mediterraneo e che gli sia stata data carta bianca per la Libia (nonostante tutte le volte che politici italiani ci hanno ripetuto negli ultimi sei anni che Washington benediceva una inesistente “leadership italiana” in Libia).
Cosa che dovrebbe preoccuparci anche considerazione del fatto che il Mediterraneo è stato totalmente ignorato nell’ambito del Concetto Strategico della NATO appena approvato a Madrid. Documento che invece si dilunga ben di più sull’Oceano Indiano e sul Mar Glaciale Artico (solo per restare nel settore marittimo).
La Turchia approfitterà sicuramente di questa luce verde.
Dato per scontato che l’Italia continuerà a far calpestare i propri interessi nazionali nel Mediterraneo e in Nord Africa, l’UE sarà capace di contrastare l’iper-attivismo di Ankara (come forse solo Parigi sarebbe disposta a fare) o ne sarà per l’ennesima volta ostaggio? Le esperienze pregresse non ci lasciano sicuramente ben sperare.
1 Articolo 10 del Trattato di Washington: Le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire a questo Trattato ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell'Atlantico settentrionale. Ogni Stato così invitato può divenire parte del Trattato depositando il proprio strumento di adesione presso il governo degli Stati Uniti d'America. Il governo degli Stati Uniti d'America informerà ciascuna delle parti del deposito di ogni strumento di adesione.
2 Sin dal 2010 i russi hanno schierato importati assetti militari, anche terrestri, in questa zona artica in supporto alla Flotta del Nord che deve mantenere la disponibilità della rotta navale artica che collega gli Oceani Atlantico e Pacifico. Capacità che la Russia ritiene di fondamentale importanza per la sua sicurezza marittima e che interessa anche alla Cina per lo sviluppo di un tratto artico della “via della seta”
Foto: presidenza del consiglio dei ministri / NATO / presidency of the republic of Turkey