Su quanto accaduto la notte del 3 gennaio in quanto a cronaca c’è poco da aggiungere. Quel che interessa riguarda il panorama circostante, a livello regionale e globale, e quali scenari possono prospettarsi. L’eliminazione del generale Soleimani costituisce un possibile punto di svolta nelle relazioni USA-Iran, dato che dal 1979 questa è stata la prima operazione condotta dagli americani contro uno dei più importanti rappresentanti istituzionali persiani, al comando dell’unità Pasdaran per le operazioni speciali all’estero.
L’azione americana, all’insegna di una discontinuità che alterna momenti di dialogo a prove di forza, come testimoniato dalla precedente rinuncia a colpire Teheran nonostante i vari attriti che ci sono stati (abbattimento di un drone nel giugno scorso, attacco agli impianti petroliferi sauditi a presumibile opera proxy degli Houti dallo Yemen, incursioni contro petroliere, attacco all’ambasciata USA di Baghdad, sostegno a Hezbollah in Libano) ha dunque costituito un salto di qualità, foriero di forti instabilità a livello non solo regionale, ed inteso a dare un preciso segnale a Teheran che, negli ultimi anni, ha preferito sostituire gli slogan rivoluzionari con una più concreta realpolitik che ha permesso, pur nel cuore dell’integralismo sciita, accordi e collaborazioni con la sunnita Al Qaida1. Nessuna diplomazia, solo un ribadire la propria volontà di potenza esplicata asimmetricamente con il reiterarsi delle sanzioni economiche in capo alla teocrazia iraniana.
Il momento politico interno dei due contendenti è delicato: a Washington si discute di impeachment presidenziale passato in secondo piano per le tensioni in MO; a Teheran si fanno i conti sia con un malcontento popolare sfociato a novembre in violenti disordini, sia con le prossime elezioni politiche che, a febbraio, vedranno contrapposti per il Majilis2 conservatori, favoriti e penalizzati allo stesso tempo dalla crescente e rabbiosa frustrazione popolare, e riformisti pragmatici di Rouhani al suo ultimo anno di mandato presidenziale, ed in possibile difficoltà proprio per l’uccisione di Soleimani, che si è sempre guardato dallo schierarsi apertamente per qualunque fazione e che è così riuscito ad interfacciarsi con tutti gli attori politici chiave.
L’enorme partecipazione popolare al funerale del generale, comunque, deve far riflettere; Soleimani, malgrado la sua vicinanza all’ala più intransigente del regime, data l’intelligente tessitura della trama politica regionale più favorevole all’Iran, che gli ha comunque creato numerosi nemici nel mondo arabo, ha contribuito al rinvigorimento di un nazionalismo iraniano già fortificato dalla guerra con l’Iraq e culminato con il ritiro USA dal JCPOA3.
La contestualizzazione del quadro regionale, al momento, vede una faglia regionale tra sciiti e sunniti, che si è evidenziata sia nell’appoggio prestato all’operazione americana, vista quale espressione di un bilanciamento della politica iraniana nell’area, sia con la pubblicazione, dal sito The Intercept, di documenti attestanti la durezza della condotta bellica anti ISIS verso le locali popolazioni sunnite.
In un’ottica rivolta ai possibili esiti delle elezioni presidenziali iraniane del 2021, l’onda nazionalista non deve essere trascurata, tenendo comunque conto che, per sua stessa natura, potrebbe non costituire necessariamente una leva per l’ideologia della supremazia religiosa.
Da notare la posizione assunta da diversi attori musulmani; la Turchia, con diplomazia governativa e posizioni giornalistiche talvolta contraddittorie, ha evidenziato calcoli politici complessi e la sua natura profondamente sunnita in contrasto con l’espansionismo sciita.
Nel Golfo Persico l’Iran ha una percezione ostile di Emirati Arabi Uniti ed Arabia Saudita, date le loro posture aggressive che, inizialmente, puntavano ad un regime change a Teheran e che, recentemente, hanno condotto a più miti consigli, ispirati anche dal Kuwait, specie dopo l’attacco agli impianti sauditi dell’Aramco4.
Il contesto ha indotto diversi osservatori occidentali (Crisis Group) a ritenere che la ragion d’essere delle politiche regionali iraniane risiede nella ricerca di sicurezza nella fascia geografica che va dal Libano a Herat, cosa che le induce al ricorso alla deterrenza asimmetrica mediante forme di guerra ibrida condotte senza esclusione di colpi, volte peraltro a compensare la debolezza della componente navale.
Tra i sunniti fanno eccezione i Palestinesi; in Cisgiordania, l'Autorità Palestinese ha onorato la memoria del generale condannando l'azione di Washington, aspetto che ha determinato la pubblicazione su diversi social network di espressioni di disappunto originati da alcuni Paesi, come l’Arabia Saudita, per il sostegno offerto; un sostegno non privo di motivazione prosaica, in quanto determinato da ingenti finanziamenti iraniani; questo, ovviamente, non può né deve esentare da responsabilità i Paesi sunniti che, nel contempo, hanno contribuito al finanziamento della jihad salafita.
Nessuno dei due Paesi intende percorrere la strada del conflitto convenzionale, anche se questo non può far escludere il ricorso ad azioni isolate; quel che si può notare al momento, è che con la rappresaglia missilistica compiuta contro gli USA, definita da Khamenei “uno schiaffo, non una vendetta”, e dal ministro degli esteri Javad Zarif “misure proporzionate”, Teheran ha individuato quale terreno di scontro la Mesopotamia, sperando tuttavia di non indurre gli americani a dichiarare guerra.
Al momento non ci sono competitor in grado di sconfiggere gli USA, ma di certo un ipotetico attacco preventivo americano non escluderebbe pesanti azioni ritorsive in MO ed Israele; la discriminante in una guerra totale si riscontrerebbe nella disparità nucleare che, tuttavia, porterebbe a conseguenze imprevedibili. La preparazione di un attacco non godrebbe di certo del fattore sorpresa, vista anche l’estensione e la morfologia dell’Iran, ed esporrebbe a violenti attacchi asimmetrici, tenuto anche conto della capacità e della motivazione dei combattenti. Molto più realisticamente quindi continueranno i conflitti per procura, viste anche le difficoltà economiche in cui si dibatte l’Iran che continuerà ad avvalersi, grazie ad Al Quds, di milizie, di organizzazioni politico militari come Hamas, che ha addebitato ad Israele parte della responsabilità dell’uccisione, di movimenti rivoluzionari, non potendo contare su FFAA regolari efficienti, come del resto gli attacchi aerei israeliani in Siria hanno certificato.
Uno degli interrogativi riguarda la capacità di Esmail Ghaani, sostituto di Soleimani, sia di mantenere la profondità strategica instaurata con le realtà regionali preservando la leadership della Forza Quds in un contesto che, spinto da Primavere ed Autunni forieri di nuove istanze politiche, potrebbe non sempre percepire come propri gli interessi di Teheran, sia di conservare il controllo di quota parte dell’economia persiana e delle attività ad essa connesse in modo da preservare la primazia dei Pasdaran a discapito di Artesh, le FFAA tradizionali. L’azione di Ghaani dovrà dunque continuare a garantire la sicurezza degli interessi strategici iraniani dimostrando a Washington che gli esiti della partita in corso oltrepassano di gran lunga i confini, e che il martirio, parte integrante del credo sciita, permette di affrontare la morte con uno spirito diverso da quello occidentale.
L’Iran potrebbe comunque percorrere tre vie alternative al confronto diretto: la prima, interessante azioni volte ad ostacolare il traffico marittimo, che però potrebbero creare ai Persiani stessi più problemi che soluzioni; la seconda consistente in ulteriori possibili azioni di cyberwarfare; la terza volta all’attesa delle Presidenziali americane. In questo contesto va focalizzata la posizione russa che analizza prudentemente l’azione USA, stigmatizzandone le conseguenze.
Le conseguenze potranno riverberarsi su diversi fronti. Teheran riprenderà il suo programma nucleare per porsi, su un piano negoziale, su una posizione di maggior valenza, visto che comunque ha già annunciato che non rispetterà l’accordo del 2015; Ankara, sfruttando l’instabilità regionale, approfitterà del caos cercherà di ottimizzare le proprie posizioni in Siria, Cipro, Libia; i sino-russi capitalizzeranno la situazione per portare avanti la loro competizione da dietro le quinte; gli alleati dell’Iran potrebbero riprendere spunto per una rinnovata azione contraria ad Israele, interessato a contenere l’azione persiana in Siria; in Kurdistan, la KCK5 sottolinea la necessità di giungere ad una modernità democratica ispirata ad Öcalan, che superi una crisi che è peculiare dell’area ormai da molto tempo, e che vede coinvolta in particolare la Turchia.
Dal punto di vista economico, come evidenziato da Moody’s nella comunicazione elaborata dal senior analyst Alexander Perjessy, si sottolinea il forte pessimismo per la situazione, con i mercati che inizialmente hanno visto decollare sia il prezzo del petrolio che dell’oro; successive analisi che hanno rivalutato al ribasso i rischi di un conflitto duraturo, hanno ricondotto il greggio a prezzi più contenuti. Lachlan Shaw, responsabile per la ricerca delle materie prime della National Australia Bank, ha affermato che “Il mercato è chiaramente spaventato dalla potenziale interruzione dell’offerta ma non è detto che andremo per forza in quella direzione”, ovvero, d’ora in avanti sarà solo una questione di valutazione di scenari.
1 Hamza Bin Laden avrebbe vissuto per anni in Iran, a Teheran, con la madre Khairiah Sabar, una delle tre mogli di bin Laden che vivevano ad Abbottabad, Pakistan. Fonti vicine alla famiglia bin Laden hanno riferito alla testata Asharq Al-Awsat che l'Iran ha contribuito a mandare Hamza in Afghanistan e non in Arabia Saudita, dove il resto dei figli di Osama sono rimasti. Le fonti hanno confermato che “Numerosi figli di Bin Laden, le loro mogli e i loro figli sono già tornati da Teheran in Arabia Saudita". I file pubblicati dalla CIA dopo l’eliminazione di Osama, rivelano un segreto conosciuto da molti: il governo iraniano, dopo l’attacco americano in Afghanistan, ha dato rifugio ai capi di al Qaida in fuga, aiutando il gruppo a ricostituirsi. Al Qaida è gruppo radicale sunnita e l’Iran una teocrazia sciita, ma in questo caso sembra esserci stata la scelta di bypassare l’ideologia per concentrarsi sull’asse nemico formato da America e Israele.
2 Parlamento
3 Joint Comprehensive Plan of Action - comunemente noto come accordo sul nucleare iraniano
4 Compagnia Nazionale Saudita di Idrocarburi
5 Unione delle Comunità del Kurdistan
Foto: IRNA / web / Cremlino