La notizia è di quelle da far gelare il sangue per le sue implicazioni di lungo periodo, tuttavia c'è da scommettere che, dato lo strabismo che caratterizza i mezzi di informazione di massa nostrani e la pervicacia tutta italica nell'ignorare le tempeste in arrivo finché non è troppo tardi, anche questa ennesima picconata da parte del primo ministro (o forse sarebbe meglio iniziare quietamente a chiamarlo “dittatore”?) magiaro Viktor Mihály Orbán verrà presto dimenticata come se nulla fosse.
Utilizzando come pretesto quello di “ringiovanire ed ammodernare la Difesa”, il “premier” di Budapest ha fatto licenziare 170 alti ufficiali delle “Magyar Honvédség” le Forze di Difesa Ungheresi. Le destituzioni avvengono nell'ambito di un decreto del governo che prevede la “possibilità” da parte degli ufficiali di andare in pensione dopo 25 anni di servizio.
In realtà gli interessati da questa norma non saranno ridotti sul lastrico dato che continueranno comunque a ricevere il 70% dell'ultimo salario ottenuto, eppure è altresì vero che è stato lo stesso Ministero della Difesa, dal 2022 presieduto da Kristóf Szalay-Bobrovniczky, a convocare personalmente gli interessati uno per uno al fine di comunicare l'inappellabile decisione, lasciando intendere che i 170 tra generali e colonnelli ora messi forzatamente a riposo potrebbero essere solamente la punta dell'iceberg di un processo assai più ambio il cui obiettivo finale sarebbe quello di garantire la fedeltà all'esecutivo ed allo stesso Orbán delle Forze Armate. E qui sta il nodo della questione perché i “destituiti” sarebbero stati implicitamente accusati di essere troppo “filo NATO”.
Interessante notare che fu proprio Orbán a sovrintendere nel 1999 il processo di approdo dell'Ungheria all'Alleanza Atlantica, prima ancora che il paese divenisse membro dell'Unione Europea. Tuttavia, al giorno d'oggi, tali eventi sono sbiaditi fino a diventare un lontano ricordo e la “Terra dei Magiari” è ben instradata sulla via per tramutarsi in una dittatura conclamata.
Sarebbe singolare se assistessimo ora in Ungheria a qualcosa in qualche modo comparabile a quanto avvenuto in Turchia nel 2016 a seguito del fallito colpo di stato mirante a rovesciare Recep Tayyip Erdoğan dalla poltrona di presidente della repubblica. Anche in occasione delle “purghe anatoliche” un'intera classe di ufficiali delle Forze Armate Turche “allevati in seno alla NATO” venne brutalmente rimossa dalla “scacchiera politica” privando in tal modo l'Alleanza Atlantica (e gli Stati Uniti d'America in primis) di qualsiasi leva interna al potere turco.
Seguendo una strada parallela a quella del sultano turco, anche il “voivoda delle Terre di Santo Stefano” sta portando avanti una politica assai scaltra che mira a sfruttare la doppia appartenenza all'Unione Europea ed alla NATO unicamente per promuovere gli interessi nazionali dell'Ungheria e tenere tutto il resto a debita distanza.
Per quanto tale giochino potrà andare avanti non è dato saperlo al momento, anche se l'accelerazione posta dalla leadership magiara sul piano di riarmo potrebbe fornirci degli indizi.
Nel 2016, il governo di Budapest decise di approvare un massiccio piano di riforma e riarmo militare denominato “Zrínyi 2026” che, come dice il nome stesso, avrebbe dovuto entro il 2026 ridare per la prima volta dal 1956 alle Forze di Difesa Ungherese lo status e la considerazione internazionale che un tempo meritavano. Tra le altre cose il piano prevedeva la crescita del numero dei militari professionisti dagli attuali 37.650 ad oltre 50.000, rincalzati da 40.000 riservisti (contro gli attuali 20.000).
L'esperienza dell'attuale Guerra Russo-Ucraina ha dimostrato che pur l'ambizioso piano “Zrínyi 2026” sia insufficiente rispetto ai mutati equilibri internazionali e che l'Ungheria deve puntare ancora più in alto. Ecco quindi l'idea (non ancora divenuta legge) di aumentare il numero di militari professionisti a 80.000 unità, triplicare il numero di riservisti rispetto alla cifra attuale e reintrodurre la coscrizione obbligatoria, sospesa in maniera indefinita il 3 di novembre del 2004.
Naturalmente, per equipaggiare tale massa di potenziali combattenti, il piano di modernizzazione prevede anche investimenti nell'acquisto e/o produzione di nuovi armamenti tra i quali: nuovi fucili d'assalto per la fanteria, carri armati, veicoli da combattimento per la fanteria, artiglieria, elicotteri, oltre al raddoppio della prima linea dei jet ad alte prestazioni.
Ecco dunque che, se l'Ungheria avrà modo nei prossimi anni di completare il suo piano di riarmo e se parallelamente Orbán riuscirà a piegare all'obbedienza anche le istituzioni militari, come ha già fatto con tutti i centri decisionali del paese, allora sì che avremo per le mani in mezzo alla Mitteleuropa ed alla penisola balcanica un elemento di destabilizzazione totalmente fuori controllo e nei confronti del quale i decisori politici e militari almeno qui in Italia (perché tale area rappresenta per noi il “giardino di casa”, esattamente come il Mediterraneo) farebbero bene ad imbastire una efficace strategia di contenimento.
Foto: presidency of the republic of Turkey