Orgoglio e pregiudizio

(di Gino Lanzara)
20/11/19

La questione Curda, tralasciata – a torto – per altre endemiche situazioni di crisi, è uno dei più complessi rompicapo mediorientali; malgrado abbia sempre avuto valenza internazionale, non è stato mai possibile giungere ad una determinazione univoca, anche alla luce delle diverse istanze che l’hanno animata, a partire dall’idea della creazione di uno Stato unico ed indipendente, passando per la richiesta di una maggiore autonomia o addirittura per un’ardua assimilazione all’interno dei vari Stati di appartenenza.

Nel tempo la querelle israelo-palestinese, le crisi petrolifere, l’ascesa khomeinista prima e la conquista del proscenio da parte di Saddam Hussein poi, la destabilizzazione indotta dalle primavere arabe, hanno marginalizzato la questione curda che, negli ultimi anni, è tornata a far parlare di sé proprio grazie all’aggravarsi di quelle crisi che l’hanno relegata in un cono d’ombra. Siria, Iraq, le ambiguità occidentali nel conflitto con Daesh, hanno ricondotto sotto i riflettori un’entità di cui, opportunisticamente, si è riscoperta l’utilità.

I Curdi costituiscono un unicum culturale nel panorama del MO: la loro struttura sociale ed istituzionale, quando permessa e contestualizzata, mostra spunti democratici estranei ai contesti arabi, conserva una laicità che si contrappone alla radicalizzazione jihadista, attribuisce alla donna un valore primario, conserva due idiomi, il colto kurmangi in caratteri latini, ed il sorani, adattato dall’alfabeto arabo. Uno scontro di culture, dunque, dove risalta sia l’origine indoeuropea di origine iranica del popolo Curdo, sia l’ascendenza storica, per cui lo stesso Salah al-Din sarebbe stato di origine curda; dunque un popolo da non sottovalutare, dove peshmerga curdo iracheni e milizie curdo siriane del PYD1 sono assurte al ruolo di preziosi interlocutori degli occidentali contro l’ISIS.

I Curdi hanno combattuto a Kobane, a Kirkuk nella zona irakena più ricca di risorse petrolifere, hanno messo alle corde Daesh, ma il loro impegno, più che riconoscenza, ha risvegliato molteplici timori connessi ad una possibile richiesta di legittimazione internazionale resa quanto mai problematica sia dai diversi rapporti tra le stesse comunità curde, sia dalla Turchia, che, paradossalmente ma non troppo, ha avversato le milizie curde impegnate contro l’IS.

Sarà possibile disegnare un futuro comune della Nazione Curda o, molto più realisticamente, sarà più facile limitarne le aspirazioni entro i tanti confini in cui è relegata? Malgrado le distanze ed una patologica disattenzione, la vicenda Curda ci coinvolge più di quanto si possa pensare, per via dei conflitti regionali, dello sfruttamento delle risorse energetiche, del terrorismo jihadista, di un orgoglio geneticamente presente nel DNA di ogni Curdo, un orgoglio nazionale antico ed incomprensibile per gli ormai molli occidentali. Perciò, sipario...

Un impossibile Risiko

Se vogliamo addentrarci nel ginepraio Curdo, dobbiamo abbandonare la rassicurante idea di Stato-Nazione; grande circa una volta e mezzo la Francia il Kurdistan, che con le sue risorse avrebbe tutte le carte in regola per essere uno degli Stati mediorientali più ricchi, è una gemma incastonata tra i confini turchi, siriani, iraniani, irakeni, con comunità presenti in Libano, Georgia, Germania, Inghilterra, Svezia, e che paga la peculiarità geopolitica della sua posizione.

La politica anglo francese di Sykes e Picot, nel ridisegnare nel 1916 i confini mediorientali post ottomani, prima pose le basi di una solida (ed utile?) instabilità regionale dovuta all’imposizione di modelli politici incompatibili con la velleitaria cultura panaraba che, erede dei vilayet2 ottomani, dimostrava una fisiologica incapacità di fare proprio il concetto politico di Stato poi, a Losanna nel 1923, sulla spinta dell’assolutismo laico kemalista, che combatteva contro le spinte disgregatrici che avevano frantumato la Sublime Porta e che si caratterizzava per non tener fede alle promesse fatte, dissolse per sempre l’ipotesi di uno Stato unitario Curdo. Il Kurdistan continuava dunque ad essere visto, geograficamente e storicamente, solo come un indomabile ed utile cuscinetto tra vecchi imperi ed in contatto con il mondo slavo, un’area ricca di risorse idriche e petrolifere e dalle vie di comunicazione obbligate tra Turchia, Iran ed Irak.

In Kurdistan l’insorgere nel tempo di diversi partiti, se da un lato ha tenuto vivo il sentimento patriottico con una richiesta generale di democrazia, dall’altro ha posto in risalto sia la mancanza di obiettivi univoci, sia la presenza di settarismi che hanno impedito la formazione di un unico fronte di liberazione, favorendo le egemonie regionali turco irakene, e ridimensionando le prospettive curde all’interno di ogni singolo Paese entro cui le varie comunità si trovano. Gli indebolimenti nel movimento curdo sono dunque prodotti sia da divisioni ideologiche, che caratterizzano le singole formazioni e sono acuiti sia dalla mancata comunanza d’intenti, sia dalle continue diaspore volte a fiaccare lo spirito nazionale.

Tenuto conto delle faglie tra le varie organizzazioni curde, più che verso un Grande Kurdistan sembra sia pacifico attendersi il mantenimento di uno status quo basato sì sul rispetto dei diritti umani, ma soprattutto sulla conservazione di un assetto politico che, nella sua precarietà, favorirebbe forme di autodeterminazione, ma non il desiderio di un’indipendenza che andrebbe a mutare i confini di troppi Stati e che pure ha motivato le ripetute e sanguinose insurrezioni che si sono succedute nel tempo. Il tentativo turco di cancellare dalla memoria collettiva l’esistenza del Kurdistan, con l’introduzione dei termini “turchi di montagna” ed Anatolia Sud Orientale, si è scontrato con il feroce istinto di sopravvivenza di un popolo che proprio delle montagne ha fatto i suoi principali amici ed alleati e che, pur sotto l’influenza delle nuove ideologie social comuniste, non ha mutato la motivazione ideologica della lotta intrapresa.

Un popolo perfetto? No, come ovunque, del resto; come in tutte le società sono stati commessi errori anche gravi, altre volte puerili ingenuità: la storica e deprecata partecipazione al genocidio armeno da contestualizzare comunque nel particolare momento storico in cui è avvenuta, la frammentazione politica interna; l’improvvida indizione di un referendum sull’indipendenza che, per quanto appellato come consultivo, ha di fatto ridestato i timori degli attori politici regionali ed internazionali; il mancato patto scritto da parte occidentale che riconosceva il meritato premio per aver combattuto contro Daesh; il confermare di essere sempre pronti al centro del palcoscenico geopolitico ma sempre come uno spendibile comprimario di cui potersi liberare al momento opportuno.

Nel contesto delle più ampie dinamiche connesse alla contrapposizione Est–Ovest, la questione Curda trova un ulteriore ed interessante aspetto di approfondimento correlato alla politica estera israeliana, che potrebbe aver opportunisticamente valutato la questione stessa quale potenziale elemento di disturbo tra Turchia, Iran, Irak e Siria, ma prestando la dovuta attenzione a non infrangere quegli equilibri di realpolitik che le consentono di intrattenere relazioni difficilmente ipotizzabili alla luce della sempre fumosa ma utilissima propaganda, ovvero l’arte di convincere gli altri di ciò in cui non si crede3, di cui altri esempi lampanti vengono proprio dalla tiepida politica turca verso il trattamento riservato ai sino-islamici Uiguri, ritenuti meno rilevanti degli interessi prodotti dai rapporti commerciali e politici con la Cina, o dai commerci intrattenuti proprio con i Curdi Irakeni.

Montagne ed alleanze

Quale futuro allora per l’entità Curda? Se uno Stato unitario porterebbe a sconvolgimenti regionali e su scala globale, rimane una poco praticabile via federativa, anche alla luce dei durissimi insegnamenti impartiti dalla storia che non ha mai praticato ampie concessioni al Popolo Curdo, che non ha ricevuto particolari benefici nemmeno dai rivolgimenti embrionali delle Primavere Arabe del 2011 che non sono riusciti ad intaccare significativamente né Turchia né Iran.

Quale potrebbe essere il punto di vista di un Curdo verso un mondo occidentale diviso tra l’impalpabile filosofia del diritto internazionale e la più pragmatica politica dell’interesse geopolitico ed economico, perseguito fin dai primi del 900 dai tedeschi con la linea ferroviaria Berlino Baghdad e fino agli anni 70 dall’inglese BP? La ripetizione perenne di uno scontro concettuale che ha reiterato il principio del divide et impera, cui ha ceduto anche il Presidente USA Wilson, inane sostenitore della salvaguardia delle nazionalità. Il conflitto contro l’Isis tra l’altro, oltre a polarizzare l’acredine politica contro l’entità araba, ha sì incrementato risorse belliche e legittime aspettative, ma non ha tuttavia portato ai necessari adattamenti geopolitici, utili ad evitare conflitti tra gli stessi Partiti Curdi proiettati al controllo delle aree confinanti ed a costituire efficaci organi di governo in grado di non replicare le prassi seguite dai governi contro cui hanno combattuto.

Curdi vittime della realpolitik? Si, sicuramente; vasi di coccio in un’arena popolata di vasi di ferro, hanno tuttavia anche pagato lo scotto delle loro stesse divisioni interne e della oggettiva difficoltà di trovare un accordo tra fazioni. I Curdi, nonostante le decisioni dell’Amministrazione Trump, continuano tuttavia a vantare un credito con l’Occidente, specialmente dopo l’eliminazione di al Baghdadi; dopo gli USA, è infatti rimasta la purtroppo tentennante Europa, in un quadro generale che richiederebbe, probabilmente, un cambiamento di strategia, anche alla luce della politica russa che, al momento, frena le iniziative turche.

Tradizionalmente per i Curdi solo le montagne sono l’unico amico affidabile: forse è giunto il momento di riuscire a stringere valide e durature alleanze anche con gli uomini.

Partito Unione Democratica

Circoscrizione amministrativa

Abba Eban

Foto: U.S. Army / U.S. DoD / Türk Silahlı Kuvvetleri