La Cina ha palesato prima di molti altri la volontà di cavalcare la rivoluzione digitale in atto, ponendosi sin da subito nel gruppo di testa delle nazioni che la stanno sviluppando e implementando ad ampio spettro.
Non sorprende, allora, se nel novero delle applicazioni in cui Pechino è diventata ormai benchmark riconosciuto, figurano anche quelle 4.0, che permettono lo svolgimento di molteplici funzionalità urbane, rendendo per ciò stesso le città “intelligenti” (smart city).
Ci riferiamo, ad esempio, a tecnologie per la mobilità, come l’automazione “intelligente” della rete semaforica (destinata a scomparire) e le auto a guida autonoma, ma anche a quelle per ottimizzare le reti energetiche, lo smaltimento dei rifiuti e il trattamento delle acque.
Tra queste, figurano i Big Data (l’oro nero della nostra era, il cui maggior produttore è proprio la Cina) e l’internet delle cose (IoT), costituito da una massa sterminata di sensori disseminati un pò ovunque col compito di acquisire informazioni di varia natura (di movimento, di temperatura, di pressione, di flusso ecc.).
I dati raccolti vengono poi elaborati ricorrendo al cloud computing, che consiste nella distribuzione in cloud di servizi di calcolo e di archiviazione, adottando algoritmi dotati di intelligenza artificiale.
Un tale processo non sarebbe infine possibile senza infrastrutture adeguate, come le reti mobili Internet 5G (di quinta generazione) in grado di supportare, per velocità e capacità, enormi volumi di dati ed elevate velocità di calcolo.
In sintesi, l’impiego combinato di queste tecnologie alimenta un ciclo continuo, che consente alla città intelligente di attuare rapidamente comandi e processi decisionali che garantiscono il suo costante funzionamento secondo criteri di sicurezza, economicità e, non ultimo, di ecosostenibilità.
In questa nuova frontiera, come dicevano, la Cina detiene la leadership mondiale.
Il suo ultimo progetto è quello di Xiong’an, città sorta per espressa volontà di Xi Jinping, col proposito di costituire, in campo urbanistico, l’archetipo della “modernizzazione socialista della nuova era”.
La fondazione, da parte dei segretari generali del PCC in carica, di città e di zone economiche speciali non è una novità: lo aveva fatto già Deng Xiaoping, con la creazione della zona economica speciale di Shenzhen, e Jiang Zemin con quella di Shanghai Pudong.
Con Xiong’an, Xi intende donare alla nuova Cina una “città modello nella storia dello sviluppo umano”, che simboleggi la rinnovata ascesa del Dragone.
Situata a 100 km a sud ovest di Pechino, il sito assorbirà tutte le funzioni attualmente svolte nella capitale non strettamente legate al suo ruolo istituzionale, alleviandone così, almeno in parte, i problemi di inquinamento e sovrappopolazione.
Il progetto è iniziato nel 2017 su una superficie iniziale di 100 chilometri quadrati, ed è destinato a crescere sino a 2.000 chilometri quadrati (più del doppio della città di New York), con una vocazione tecnologica in grado di attrarre imprese di ricerca, di sviluppo e di produzione high-tech.
Xiong’an si avvia così a diventare il perno di un nuovo distretto economico, comprendente anche le città di Pechino e di Tianjin, con una popolazione complessiva di 112 milioni di abitanti, che affianchi i due già esistenti: quello del Fiume delle Perle nel sud, formato da Hong Kong, Macao, Shenzhen e Guangzhou (70 milioni), e l’altro incentrato su Shanghai, detto anche del delta del Fiume Giallo, in cui vivono oltre 80 milioni di persone.
La nuova smart city si propone di diventare il primo centro tecnologico del paese, e primo nella green economy, e disporrà di servizi urbani intelligenti e tecnologicamente avanzati diventando una delle zone chiave di tutta la Cina.
Quando sarà completato, dovrebbe ospitare non più di 3 milioni di abitanti, per un investimento complessivo, che secondo alcuni già supererà i 580 miliardi di dollari.
La costruzione della città e la velocità di avanzamento lavori sono un classico esempio del modo di procedere cinese, caratterizzato da una forte centralizzazione decisionale, risalente ai massimi livelli dell’apparato (talora direttamente al comitato permanente del Politburo), unita a una altrettanto rilevante decentralizzazione delle responsabilità connesse con la sua realizzazione, affidate alle autorità locali (città, provincia, contea, partito).
Proprio grazie a questo modo di procedere, negli ultimi vent’anni, quando ancora in Occidente nessuno parlava di città intelligenti, la Cina, avvalendosi di compagnie industriali private e pubbliche, ha sviluppato le più importanti tecnologie necessarie per la realizzazione delle smart city.
In tal modo consentendo a numerosi progetti urbani di diventare realtà: dalle prime digital city (1998), che utilizzavano sistemi di informazione geografica (GIS), di posizionamento globale (GPS) e di rilevamento a distanza (RS); alle information city (2006), caratterizzate prevalentemente dal primo utilizzo estensivo di Information Technology (IT).
Per arrivare poi alle smart city (2006), fondate, come è stato detto, sullo sfruttamento dei big data, del cloud computing e dell’IoT, e, ultime in ordine di tempo, alle new smart city (2015) che rappresentano l’ennesimo salto di qualità sulle precedenti realizzazioni, sia per l’adozione delle reti 5G, che permettono una maggior interoperabilità e condivisione in tempo reale nei vari livelli di governance degli agglomerati, sia per i sistemi di sicurezza informatica delle infrastrutture e dei data center.
Sono centinaia i progetti urbani che hanno già visto la luce in tutti questi anni. Tra questi, spiccano quattro città di particolare interesse.
La città di Hangzhou, con una piattaforma sviluppata da Alibaba, grazie all’intelligenza artificiale che gestisce oltre 1000 semafori, è riuscita ad accorciare i tempi degli spostamenti urbani.
Da quando il sistema è diventato operativo, la città è balzata dal 5° al 57° posto nella classifica delle città cinesi più congestionate.
C’è poi Shanghai, che dal 2016, ha attivato una piattaforma municipale in grado di offrire ai residenti oltre cento servizi governativi, tra cui patenti di guida, cartelle cliniche e servizi locali.
Guangzhou, che nel 2010 ha lanciato una piattaforma regionale di informazioni sanitarie per archiviare le cartelle cliniche elettroniche dei residenti (ad oggi oltre 8 milioni) e per collegare tra loro ospedali e cliniche municipali. I suoi ospedali offrono ai pazienti servizi con un'app gestita da intelligenza artificiale, che consente di prenotare appuntamenti, pagare le spese ospedaliere e organizzare la consegna a domicilio di farmaci da prescrizione.
C’è infine Shenzhen, dove i responsabili dei trasporti hanno implementato tecnologie di intelligenza artificiale e Big Data per migliorare la sicurezza stradale, con una rete di sorveglianza in grado di identificare le immagini dei trasgressori con una precisione del 95%.
Anche la società cinese Terminus, in collaborazione con quella danese BIG, sta lavorando a un progetto congiunto di smart city, che sarà pronto entro il 2023, da realizzare nella città cinese sud-occidentale di Chongqing.
Il progetto Cloud Valley prevede una città ampia come 200 campi da calcio, in cui la tecnologia consentirà di vivere in una realtà in grado di anticipare le esigenze di ogni singolo abitante, grazie all’utilizzo di sensori e dispositivi connessi tramite wifi, finalizzati a raccogliere dati di varia natura, ivi comprese le abitudini individuali di ciascun abitante.
Il programma per la realizzazione delle città intelligenti, è stato annunciato da Xi Jinping per la prima volta nel 2015, durante una conferenza nazionale dedicata all’urbanizzazione.
È stato poi inserito nel 13° piano quinquennale 2016-2020, e in quello successivo, che si proietta nel quinquennio 2021-2025.
Per Pechino, la costruzione di smart city rappresenta una autentica “strategia nazionale”, funzionale alla trasformazione economica e urbana del paese.
A giugno 2016, più di 500 comuni avevano già avviato (o annunciato) progetti pilota di città intelligenti, saliti a 800 solo tre anni dopo: un numero pari alla metà delle città intelligenti attive o in costruzione in tutto il mondo.
Il governo ha sostenuto questo sforzo ciclopico sovvenzionando, sino ad oggi, progetti con 140 miliardi di dollari, che sono una somma coerente con un mercato interno che entro la fine di questo anno avrà raggiunto i 2,5 trilioni di dollari.
La visione cinese è pienamente in linea con il processo di progressiva urbanizzazione del pianeta, che porterà entro il 2050, 5 miliardi e 300milioni di persone, oltre il 70% della popolazione, a risiedere stabilmente nelle città.
La Cina, con progetti in più di 100 paesi, rappresenta oggi il principale esportatore al mondo di smart city.
Foto: Xinhua / N509FZ / Terminus