Secondo quanto reso noto dagli USA stessi, la CIA ha previsto per domani (16 febbraio) l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Sempre fonti USA ci dicono che Kiev potrebbe cadere due giorni dopo l’inizio delle operazioni offensive russe.
Non credo che nulla di ciò avverrà. Se avrò ragione, sarà facile fare ironie a buon mercato sull’efficienza dell’intelligence a stelle e strisce, magari ricordando le prove “inconfutabili” in merito alle armi di istruzioni di massa di Saddam nel 2003 o solo pochi mesi fa le assicurazioni fornite in merito alla capacità di tenuta delle forze di sicurezza afghane di fronte ai barbuti studenti coranici.
Non credo, peraltro, che l’intelligence statunitense abbia preso un granchio. Ritengo che in questo caso (e secondo me anche nei due casi precedenti che ho citato) sia stata la politica statunitense ad alterare volutamente le informazioni in suo possesso per fare “disinformazione” e ottenere qualcosa dagli alleati.
Sappiamo bene (e ne ho già scritto su questa testata) che i russi sono maestri di disinformazione e che noi siamo tra i loro target, ma siamo sicuri di non essere anche oggetto di una disinformazione che viene da oltreoceano?
Intanto, il Cremlino ci fa sapere di aver avviato il graduale e previsto lento ritiro delle sue truppe al confine ucraino (che da un punto di vista militare comunque non significa che non rimanga inalterata la capacità offensiva degli assetti già schierati).
La comunicazione però è importante dal punto di vista mediatico perchè ha un non troppo vago sapore di presa in giro (“Visto che, come vi abbiamo sempre detto, si trattava solo di una esercitazione? Che colpa ne abbiamo noi se alla Casa Bianca hanno problemi elettorali domestici e sono in preda all’isteria?”).
Cautela! L’intera vicenda non è ancora finita e ci potrà riservare altre sorprese, ma alcune considerazioni si possono già azzardare.
Come asseriva Sun Tzu “obiettivo supremo nell’arte della guerra è sconfiggere il nemico senza combattere”. Se la Russia avesse ottenuto ciò che si proponeva di ottenere con questa manifestazione di forza e fosse stata in grado di perseguire i suoi obiettivi senza di fatto assumersi i rischi di un conflitto, allora sicuramente si tratterebbe di un grande successo russo.
Se tali obiettivi siano stati raggiunti o meno, lo si vedrà nei prossimi mesi. Non credo che Mosca credesse possibile riavvolgere l’orologio della Storia e tornare a prima dell’allargamento della NATO ad Est. Ritengo che tale richiesta irricevibile fosse un falso scopo, messo sul tavolo solo come moneta negoziale.
Personalmente, credo che tra gli obiettivi reali di Mosca vi fossero i seguenti:
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Dimostrare che la Russia è tornata a essere una superpotenza con cui USA, UE, NATO e singoli Stati Europei devono confrontarsi e di cui possano aver timore (direi che l’interminabile processione di capi di governo e ministri al Cremlino in questo periodo ci dica che l’obiettivo è raggiunto).
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Dimostrare alla componente anti-russa del governo e della popolazione ucraine che devono stare attenti, perché se si passa dalle promesse ai fatti l’assistenza di Washington e Bruxelles potrebbe rivelarsi molto inferiore alle loro aspettative (obiettivo raggiunto).
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Bloccare il processo per l’accesso alla NATO (e in prospettiva futura all’UE) non solo di Ucraina ma anche di Georgia e Moldavia. Su questo aspetto in merito al quale molto si è scritto ritornerò più avanti.
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Ottenere il pieno riconoscimento internazionale dell’annessione della Crimea e l’avvio di un processo che porti, se non all’indipendenza, almeno ad una forte autonomia delle due autoproclamate repubbliche popolari russofone del Donbass (vedremo nel prossimo futuro come si svilupperà la questione).
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Colpire la credibilità e la coesione di una NATO, che con l’arrivo di Biden alla Casa Bianca aveva assunto una posizione decisamente più ostile che in passato nei confronti di Mosca.
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Inviare agli europei il messaggio che Mosca tratta direttamente con i singoli paesi e che l’UE in quanto tale non viene considerata da Mosca un interlocutore che li rappresenti tutti (“dividi et impera”, peraltro, era anche la politica di Trump nei confronti degli stati del vecchio continente ed è tuttora quella di Xi - Jinping)
A bocce ferme e quando si diraderanno gli schieramenti militari intorno all’Ucraina vedremo cosa è stato conseguito e in che misura.
Da parte USA rimarcare la pericolosità ed imminenza della minaccia russa era estremamente utile e comportava alcuni vantaggi:
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Distrarre l’opinione pubblica americana da problematiche domestiche e far passare in secondo piano sia minacce cinesi all’indipendenza di Taiwan sia il ricordo del frettoloso ritiro dall’Afghanistan,
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Ricompattare la NATO (la cui coesione aveva sofferto dalla mancanza di collegialità decisionale riguardo all’impegno in Afghanistan e che si sentiva minacciata dalle ambizioni di “autonomia strategica” europea).
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Rinsaldare il rapporto tra NATO e Ucraina (rapporto che rappresenta una priorità di Washington, che da tempo preme per far accedere l’Ucraina alla NATO).
Anche qui è forse presto per tirare le somme, ma forse gli obiettivi statunitensi non sono stati raggiunti.
NATO e UE sono apparse nel complesso poco significative, mentre i singoli paesi si muovevano in proprio (facendo così il gioco di Mosca). Particolarmente attivi sono apparsi, come prevedibile, Emmanuel Macron e Olaf Scholz.
Macron in particolare è parso ritagliarsi un ruolo di leadership europea (e non solo in veste di presidente di turno dell’Unione), prospettandosi in un certo senso come erede di Angela Merkel.
Il ruolo rivestito gli tornerà anche utile quando si affronterà il problema della Difesa Comune Europea e dello “Strategic Compass” (bussola strategica) della UE. Entità per ora astratta, ma che se dovesse prendere forma concreta sarebbe inevitabilmente a trazione francese (facciamocene una ragione).
E l’Ucraina? La dichiarazione di Zelensky che l’adesione alla NATO era forse un sogno destinato a non avverarsi mai è estremamente triste. Non si può non intravvedervi il senso di essere stati traditi. O meglio “sedotti e abbandonati”. Qualunque cosa succeda, vi saranno ripercussioni interne al governo di Kiev e si andrà ad una resa dei conti che non credo sarà indolore.
L’Ucraina è oggi più debole nei confronti della Russia e, soprattutto, si è resa conto che se Mosca si muove con i carri armati gli occidentali saranno certamente generosi nell’aprire i cordoni della borsa ma non schiereranno i loro figli al fianco dei soldati ucraini.
Vi sarà verosimilmente un ritorno al negoziato con Mosca, sulla falsariga dei Protocolli di Minsk, ma con una Russia molto più forte ed un’Ucraina più debole .
Dovranno verosimilmente esservi concessioni alle minoranze russofone e il probabile riconoscimento di maggiori autonomie alle autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk e di Luhans'k (prima fase lungo un ipotetico e non semplice percorso verso una per ora improbabile indipendenza). Tra l’altro la Duma ha chiesto a Putin di procedere già ora al riconoscimento di tale indipendenza (ma questa potrebbe essere una mossa affrettata).
Come ne uscirà l’Ucraina lo vedremo.
Infine, in merito all’adesione dell’Ucraina alla NATO, si è detto molto, ma mi pare non sempre a proposito.
È innegabile che ogni paese indipendente abbia diritto di determinare la propria politica di sicurezza (come USA e NATO affermano).
Non è, peraltro, vero che se una nazione chiede di entrare a far parte di un consesso internazionale, tale richiesta debba essere accettata. Ad esempio sia Marocco che Turchia hanno in passato chiesto di essere ammessi alla UE, ma la porta rimase inesorabilmente chiusa.
Anche la NATO ha dei requisiti specifici che dovrebbero essere soddisfatti dai paesi che aspirano ad aderirvi (definiti dal MAP- Membership Action Plan). L’accesso non sarebbe quindi automatico, anche se dal 2000 in poi l’Alleanza ha spesso chiuso uno o entrambi gli occhi su tali requisiti nel far accedere nuovi paesi membri (benevolenza mostrata ad esempio nei confronti di alcuni paesi della Penisola Balcanica o delle Repubbliche Baltiche).
Comunque, il Trattato Atlantico, in merito all’ammissione di nuovi paesi nell’Alleanza, all’articolo 10 sancisce: “Le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire a questo Trattato ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell'Atlantico settentrionale”.
Ovvero, ci vuole un accordo unanime dei paesi già membri per invitare una nuova nazione, il cui ingresso deve essere funzionale alla sicurezza dei paesi già membri. Quindi, l’invito deve pervenire dall’Alleanza, per gli interessi dell’Alleanza e poco ha a ché fare con le pur legittime aspirazioni di paesi terzi. D’altronde, sappiamo fin troppo bene che una eventuale richiesta di ammissione alla NATO da parte di Cipro non avrebbe alcuna chance di essere accolta (dato l’inevitabile veto di Turchia e USA).
Infine, non è neanche vero che l’adesione dell’Ucraina alla NATO non sia “all’ordine del giorno”, come dichiarato ieri dal Cancelliere tedesco Scholz, quasi a far pensare che le preoccupazioni di Mosca siano infondate. Di ingresso dell’Ucraina della NATO si parla da almeno 15 anni. L’accesso di Ucraina e Georgia alla NATO venne ampiamente discusso e in parte promesso (su pressione del presidente Bush) già nel corso del Summit dei capi di Stato e di Governo NATO tenuto a Bucarest nel 2008. Più recentemente, il comunicato finale dell’ultimo Summit dei capi di Stato e Governo NATO del giugno 2021 assicura il “reiterato supporto” della NATO per salvaguardare l’integrità territoriale di Ucraina, Georgia e Moldavia (art.14) e promette addirittura che Georgia ed Ucraina “will become members of the Alliance” (diventeranno membri della NATO – art. 68 e 69).
È triste ammetterlo, ma forse, come già gli Afghani, anche gli Ucraini potrebbero essere stati ingenui a fidarsi delle assicurazioni degli USA e della NATO.
Foto: MoD Ucraina