In questi giorni sono state spesso citate dai media le posizioni greche e turche in merito allo sfruttamento esclusivo delle risorse petrolifere intorno nell’Egeo. Il motivo è legato alla definizione dei limiti delle rispettive ZEE in un’area vastissima che si è scoperta ricchissima di gas. Prima di entrare nello specifico, credo sia opportuno riassumere quanto sta succedendo e dare qualche elemento giuridico, se non altro per capire di cosa stiamo parlando.
Quelle calde acque mediorientali
Partiamo dalla crisi attuale nel Mediterraneo orientale tra Grecia e Turchia. Secondo Atene lo status legale dell’Egeo è stato chiaramente regolato dai Trattati di Losanna e di Parigi del 1923 e del 1947. Il Trattato di Losanna del ’23 dispose la smilitarizzazione delle isole greche di Lemno e Samotracia, quest’ultima vicina allo Stretto dei Dardanelli, che fu anch’esso pienamente smilitarizzato insieme a due isole turche. Però, con il Trattato di Montreux, firmato nel 1936, si restituì di fatto alla Turchia il diritto di rimilitarizzare la zona. Sebbene alla Grecia non fu riconosciuto un analogo diritto, la Turchia riconobbe che la stessa norma andava estesa anche alle isole greche dell’Egeo.
Il Trattato di Parigi del 1947 fu concluso tra le potenze alleate della Seconda guerra mondiale e l’Italia vide assegnate alla Grecia le isole italiane del Dodecaneso (tra cui Rodi e Patmos) nell’Egeo orientale (un tempo con sovranità turca, poi occupate dall’Italia nella guerra di Libia del 1911, e rimaste sotto sovranità italiana sino al 1943). A tal riguardo l’interpretazione greca del Trattato di Parigi è che la Turchia, non avendo firmato l’accordo (essendo durante la Guerra un Paese neutrale) non può avanzare alcuna pretesa su questo arcipelago. L’innalzamento della tensione nel Mediterraneo orientale, ha come oggetto le trivellazioni di gas naturale nei pressi dell’isola greca di Kastellorizo, situata a pochi chilometri dalla costa turca, ma a circa 600 chilometri dalla terraferma greca a cui però appartiene legalmente.
Come ricorderete, lo scorso 30 maggio, Erdogan ha firmato un Memorandum con la Libia secondo il quale la compagnia petrolifera di Stato turca, la TPAO, poteva aveva avviare esplorazioni energetiche anche nei pressi delle isole della Grecia. Di fatto la pubblicazione confermava le intenzioni della Turchia di mettere in atto l’accordo siglato lo scorso 27 novembre 2019 dal premier al-Sarraj e il presidente Erdogan che concordarono la delimitazione delle rispettive Zone economiche esclusive (Zee), nonostante non fossero stati approvati i confini marittimi decisi dai due Paesi dall’ONU. Non ultimo, la firma da parte di Atene, il 6 agosto 2020, di un accordo con l’Egitto per la delimitazione delle rispettive zone economiche esclusive, un versamento di benzina sul fuoco considerando i rapporti non certo idilliaci tra Ankara e il Cairo. In estrema sintesi, il contenzioso politico ed economico è passato da dichiarazioni a diverse temperature ad una collisione, forse non intenzionale, tra due unità militari (v.articolo).
La costa turca nel Mediterraneo orientale è di fatto limitata in una stretta striscia di acque a causa dell’estensione della piattaforma continentale greca, caratterizzata dalla presenza di molte isole vicine alla frontiera turca. Secondo Erdogan “La richiesta della Grecia di una zona di giurisdizione marittima di 40.000 chilometri quadrati a causa dei 10 chilometri quadrati di terra occupati dall’isola di Kastellorizo è assolutamente illogica”. Se questo può sembrare logico da una parte, dall’altro le rivendicazioni elleniche sono basate sulla Convenzione di Montego Bay, che ovviamente non è riconosciuta dalla Turchia.
Non è l’unico caso nel Mediterraneo. Ricorderete la disputa sul Golfo della Sirte, propugnata negli anni ’70 dalla Libia di Gheddafi, che si basava su un principio, tra l’altro previsto da UNCLOS delle baie storiche, e del diritto nel caso di poter tracciare linee di base diritte. All’epoca, la maggior parte delle nazioni non riconobbe la richiesta di una nuova linea di base perché, in accordo con UNCLOS, essa non era conforme alla forma della costa.
Come si evolverà?
Sebbene la situazione sia complessa, costretta tra la volontà di Erdogan di imporre la sua immagine ed i limiti politici dati dall’appartenenza ad un’Alleanza politico-militare alla quale la Turchia appartiene. In altre parole la Turchia sa che non può forzare troppo la mano e che dovrà trovare una soluzione politica, forse attraverso la mediazione di un terzo Paese, la Francia, che si è affacciato prepotentemente nell’area.
Interessante la dichiarazione di Charles Kupchan, senior fellow del Council on Foreign Relations, che, sebbene preoccupato dalla situazione, ha dichiarato al quotidiano Al Jazeera che “In un certo senso, stiamo assistendo ad una risposta diplomatica diretta e penso che i francesi stiano cercando di dire aspettate, proveremo a raffreddare la temperatura prima che le cose sfuggano di mano”. Un impegno che Parigi non elargirà senza pretendere un suo vantaggio personale, conscio dell’ignavia dell’Unione Europea e dei suoi Stati Membri, compresa l’Italia. Non dimentichiamo che i greco-ciprioti, dopo la scoperta dei giacimenti di gas, stipularono accordi con l’Egitto ed Israele per definire i limiti delle rispettive ZEE con concessioni alla francese Total (ops), alla coreana KOGAS ed anche alla compagnia italiana ENI, una cui nave, la Saipem 12000, dopo cinque giorni di blocco da parte di una nave militare turca fu costretta a lasciare l’area.
Ora i Francesi hanno inviato un gruppo navale nell’area, con la scusa di un’esercitazione bilaterale con i Greci, e firmato un accordo di utilizzo di una base navale a Cipro. Una presenza importante che non può essere trascurata. E il Governo italiano che vuole fare?
Da che parte sta la ragione secondo il Diritto internazionale?
Innanzitutto quando si parla di diritto internazionale, per sommi capi, si intende l’insieme dei trattati e delle norme di diritto consuetudinario che viene stabilito attraverso le azioni che gli Stati intraprendono accettando un comune obbligo legale. Ovviamente il diritto internazionale cambia sia attraverso il cambiamento dei regimi dei trattati, sia quando vengono accettate nuove e diverse norme legali dagli Stati. Per le controversie marittime il diritto internazionale consuetudinario ed il diritto dei trattati svolgono un ruolo centrale e costante nell’evoluzione del diritto del mare. Di contro, il diritto internazionale consuetudinario non sempre è di immediata comprensione e accettazione ma le cosiddette usanze internazionali sono ancora considerate vincolanti come legge in tutto il mondo non perché sono consentite dalla giurisprudenza ma perché ritenute vincolanti sulla base della pratica statale e della opinio iuris. La Corte internazionale di giustizia ha affermato che “non solo gli atti in questione devono costituire una pratica consolidata, ma devono anche essere tali, o essere eseguiti in modo tale, da provare la convinzione che tale pratica sia resa obbligatoria dall’esistenza di una norma di legge che lo richiede.“
Premesso quanto sopra, il documento di riferimento più importante è la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), chiamata anche Convenzione sul diritto del mare o trattato sul diritto del mare. Ne abbiamo parlato in altri articoli, ma come si dice repetita iuvant, “ripetere le cose giova alla loro comprensione”.
UNCLOS è un accordo internazionale risultato della terza Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS III), avvenuta tra il 1973 e il 1982. Questa convenzione definisce i diritti e le responsabilità delle nazioni rispetto al loro utilizzo degli oceani del mondo, stabilendo linee guida per le imprese, l’ambiente e la gestione delle risorse naturali marine. Il significato politico ed economico di questo Trattato è quindi importantissimo. La Convenzione, conclusa nel 1982, è entrata in vigore nel 1994. A giugno 2016, 167 paesi e l’Unione Europea hanno aderito alla Convenzione, nonostante non sia ancora chiaro in che misura essa codifichi il diritto internazionale consuetudinario. L’ONU fornisce sostegno alle riunioni degli Stati parti della Convenzione ma non ha un ruolo operativo diretto nell’attuazione della Convenzione. Questo spiega come alcune questioni in aree spinose del mondo siano ancora aperte. Importante è comunque il ruolo svolto dall’Organizzazione marittima internazionale (IMO), la Commissione internazionale per la caccia alle balene e l’Autorità internazionale dei fondali marini (ISA).
In pratica, UNCLOS definisce in modo specifico le varie zone e caratteristiche marittime. Tuttavia, vi sono controversie in corso in tutto il mondo sulla definizione di tali zone che generano contenziosi con aspetti anche militari. Essendo un trattato multilaterale, accettato dalla maggior parte delle nazioni, ha una connotazione consuetudinaria, sostenuta dalla opinio juris ed ha validità solo per i firmatari che lo hanno ratificato. E qui nascono i problemi. Vedremo presto che succederà in questo pasticciaccio mediorientale.
Foto: Hellenic Navy / U.S. Navy / United Nations