L’Esercito nell’Artico? Qualche riflessione...

(di Filippo Del Monte)
22/08/24

Alla presentazione dei risultati scientifici del Campo Alta Quota 2024, tenutasi a Cortina, il capo di stato maggiore dell’Esercito Italiano, generale Carmine Masiello, ha dichiarato che: “I conflitti hanno sempre stimolato l’innovazione, ma i cambiamenti odierni sono insolitamente rapidi e hanno un effetto dirompente e pongono una nuova enfasi sulla creazione di forze guidate dalla tecnologia. Assistiamo già, e lo sarà ancor di più nel prossimo futuro, a confronti dominati da sistemi di armi sempre più autonomi e potenti algoritmi”.

In questo quadro si inserisce anche l’interesse sempre maggiore mostrato dall’Italia per l’Artico. Le regioni artiche sono sempre più un luogo di competizione geopolitica tra le potenze, con un rischio di destabilizzazione ulteriore del panorama internazionale. Sotto il profilo delle risorse naturali ed energetiche, ma anche per quanto concerne le rotte commerciali del prossimo futuro (la famosa “rotta artica” sulla quale la Russia ha costruito una propria strategia ben precisa), l’Artico è diventato per forza di cose territorio conteso. A maggior ragione, il suo status giuridico tutt’oggi non chiaro, rende l’Artide un’area di particolare interesse e, parimenti, di frizione tra gli Stati.

Il generale Masiello ha spiegato che, proprio in funzione della crescente importanza che l’Artico rivestirà negli scenari internazionali, l’Esercito Italiano “ha lanciato un programma per la realizzazione di una capacità di combattimento in ambiente artico e sub-artico”.

Condurre operazioni terrestri nell’Artico, per come vengono immaginate tra qualche anno, sarà molto diverso rispetto a quanto fatto da inglesi, americani, canadesi, tedeschi, sovietici, finlandesi e norvegesi in Lapponia, in Norvegia, alle Svalbard ed in Groenlandia durante la Seconda guerra mondiale. Effettuare ricognizioni o combattere sulla piattaforma polare è diverso dal condurre operazioni, ad esempio, a Narvik.

I problemi cui andrebbero incontro truppe terrestri sarebbero maggiori e ben diversi da quelli delle forze navali. Se dal punto di vista marittimo l’intensa attività delle marine tedesca e alleate durante l’ultimo conflitto mondiale, ma anche le operazioni americane e sovietiche nel pieno della Guerra fredda, hanno dimostrato che le acque artiche possono essere teatro d’operazioni; un conflitto terrestre nell’Artico risponderebbe ad altre necessità.

In materia di equipaggiamenti individuali, di sistemi d’arma e di supporto, ma anche di strumenti di navigazione terrestre, prima ancora che sul campo il teatro artico va affrontato ingegneristicamente al livello di studi su nuovi materiali o di adattabilità di quelli già utilizzati. La sfida per dotare l’Esercito della capacità operativa in scenario artico e sub-artico potrebbe essere anche un’opportunità per approntare equipaggiamenti migliorati per le truppe alpine e, in generale, per le specialità della fanteria chiamate ad operare in ambienti anche geograficamente ostili.

Non è un caso che il generale Masiello sottolinei spesso, ed a Cortina non ha fatto eccezione, l’importanza di sviluppare una collaborazione tra Esercito e industria – nel caso specifico dell’Artico non solo quella della difesa propriamente detta – e, dunque, di migliorare la rete del “Sistema Paese” in tal senso.

L’ammodernamento tecnologico delle Forze Armate e della loro componente terrestre nello specifico è urgente e non più rimandabile. La rapidità dei cambiamenti è frutto dell’intensità degli scontri sui campi di battaglia ed anche all’industria di settore, a chi, cioè, detiene le conoscenze tecnologiche necessarie, si richiede un altro ritmo di ricerca e produzione per venire incontro alle esigenze dei militari e della sicurezza nazionale.