Quando economia e politica di Potenza divergono: il deal USA-Iran

(di Gino Lanzara)
10/05/18

Precorrendo i termini previsti, l’Amministrazione USA ha annunciato la sospensione della sua partecipazione dal Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), ovvero l’agreement del 2015 finalizzato alla variazione graduale del programma nucleare iraniano. La decisione americana, al di là delle valutazioni “a caldo”, investe diversi aspetti geopolitici che andrebbero esaminati, alla luce delle possibili discendenti conseguenze, nessuna di lieve entità.

Malgrado la politica statunitense abbia ormai indirizzato risorse ed attenzioni verso altri settori geopolitici, sul versante Pacifico grazie all’obamiano pivot to Asia, e di nuovo verso l’Atlantico settentrionale con la ricostituzione della 2^ Flotta, gli avvenimenti mediorientali continuano ad assumere una valenza che, sconvolgendo gli equilibri regionali, li trascende e li conduce comunque ad una dimensione globale. Il deal, innanzi tutto, non può considerarsi nullo solo per la rinuncia americana, data la partecipazione di altri attori, tutti di notevole caratura: Cina, Russia, Germania, Francia, Regno Unito più l’UE, su cui varrà la pena di spendere qualche considerazione circa la sua effettiva e cogente rilevanza politica.

Dato che sarà inevitabile andare a toccare tematiche finanziarie, immaginiamo ora che, a titolo d’esempio, in un’ipotetica Società uno degli azionisti opti per liquidare la sua partecipazione; se è vero che la sua dipartita potrebbe essere compensata dall’acquisto delle azioni da parte dei soci rimasti in modo da lasciare invariato il capitale, è però altrettanto vero che il fuoriuscito non dovrebbe incidere esternamente (e più o meno direttamente) sulle attività del suo precedente sodalizio, a meno che non intenda farlo fallire definitivamente. La decisione americana pone in particolare gli ex soci europei in una situazione delicatissima, ovvero quali garanti di un deal che, malgrado le migliori intenzioni, rimane vincolato a dinamiche economiche comunque influenzate dagli USA.

Che l’Europa per l’Iran sia un partner commerciale di fondamentale rilevanza è evidente, che lo possa rimanere è in dubbio, malgrado l’interscambio commerciale sia più che in positivo. I due fattori che si evidenziano nello specifico riguardano prima di tutto la volontà americana, che non considera di fatto l’impatto finanziario delle sue determinazioni sulle economie occidentali limitandosi ad una operazione di forte contenimento dell’egemonia regionale della Repubblica Islamica, ed in secondo luogo il perseguimento degli interessi dei singoli competitors europei che, ben prima del Commissario Europeo per la politica estera, hanno incontrato le controparti al fine di addivenire ad un accordo.

Da un punto di vista “realista”, non c’è che da annotare l’ennesima debacle UE conseguente ad un’azione lenta, priva di anima, giunta a giochi conclusi.

Da un punto di vista statunitense, al netto di sondaggi al momento non compiutamente verificabili, è possibile fidarsi di un soggetto politico che, nella sua così particolare specificità, già dal 1979 ha creato così tante e tali difficoltà? L’Iran sta vivendo una fase politico – economica delicatissima; fortemente toccato dalle proteste di piazza di non più di qualche mese fa, è governato da un apparato teocratico che deve fare i conti, come in gran parte dell’Africa del Nord e del MO, con una realtà sociale e generazionale in evoluzione e difficilmente contenibile.

Il pragmatista Rohuani, a differenza del suo predecessore Ahmadinejad e della guida suprema Khamenei, avendo avuto percezione dei malumori interni, ha dunque puntato tutto su un’apertura esterna che tuttavia, per avere successo, non può prescindere dall’assenza di sanzioni e dalla possibilità di disporre di un sistema creditizio meno farraginoso e soprattutto libero di accedere a mercati e ad accordi quadro. Un JCPOA in vigore può sostenere una politica interna scevra da demagogie e soprattutto da vincoli di bilancio che continuano a vedere una prevalenza delle istanze finanziarie avanzate dalla componente religiosa più retriva e, last but not the least, dal sistema economico e di potere militare e politico creato dai Pasdaran, sempre più pericolosamente paralleli allo Stato e di fatto suoi concorrenti; un accordo che, viceversa, pone dubbi non fa che riaccendere populismi e posizioni demagogiche che non hanno altro effetto che quello di fiaccare un fronte progressista sempre più in debito di credibilità e soprattutto valutato come perdente e remissivo di fronte ad un antagonista che, ora più che mai, e malgrado quanto detto in principio circa l’effettivo coinvolgimento nella regione, comunque fa suoi (sia pur indirettamente) i timori sauditi ed israeliani.

La soluzione, ammesso che sia ancora perseguibile, rimane indubbiamente e solo politica, proprio al fine di contenere gli aspetti proiettivi di potenza iraniana in un ambito esclusivamente regionale. È indubbio che la Repubblica Islamica persegua una sua propria strategia che, allontanando dal proprio territorio qualsiasi possibile pericolo, alimenta focolai di instabilità in Libano, con il sostegno prestato a Hezbollah, ed in Siria, dove il supporto militare offerto ad Assad sta di fatto avvicinando ai confini Israeliani basi e mezzi di portata balistica ritenuta intollerabile da Gerusalemme.

Ritorniamo allora in Europa: può il vecchio Continente fornire quelle garanzie di tenuta così pressantemente richieste da Rohuani? È possibile ipotizzare una moral suasion che, partendo dal sostegno finanziario, anche solamente in euro e non più in dollari, utile ad una effettiva start up iraniana, possa poi tradursi in negoziati atti a contenere la politica di potenza persiana nella regione? Difficile ipotizzarlo: l’Europa è drammaticamente carente in quanto a reale peso politico, e le vere linee guida sono impostate e discusse dalle singole cancellerie che, as usual, curano sovranamente gli interessi nazionali; l’UE, prevalentemente propensa ad un’esclusiva valutazione economica e scarsamente politica, laddove messa alle strette, potrebbe indirizzare i propri sforzi alla preservazione del mercato nord atlantico, sicuramente più remunerativo di quello Iraniano.

Ma quali potrebbero essere allora le conseguenze politiche? Recrudescenza degli aspetti più demagogici degli attuali contenziosi ed una nuova spirale di instabilità che, partendo dall’Iran, coinvolgerebbe fatalmente buona parte del MO, Golfo Persico compreso. L’Ayatollah Khamenei, sfiduciando di fatto Rohuani, ha del resto già portato avanti in queste ore quello che era e rimane il pensiero delle ali più conservatrici: impossibile fidarsi dell’Occidente, anche se europeo che, invece, unitariamente, dovrebbe cercare di aprire con urgenza nuovi ed ancora più validi tavoli di dialogo e contrattazione nell’interesse collettivo.

Data la consistenza e la natura delle forze in campo ora in Siria, terra crocevia di innumerevoli destini, non è possibile escludere una rapida escalation degli avvenimenti, stanti anche gli strikes israeliani su Aleppo. Va comunque sottolineato che lo scorso 3 maggio a Roma (finalmente anche un po’ d’Italia), si è tenuto un incontro che, stante l’alto livello della composizione delle delegazioni partecipanti sia europee che iraniane, lascia sperare che si possa ancora trovare un punto di incontro e di bilanciamento tra asperità finanziarie già esistenti e possibili nuove sanzioni statunitensi.

In conclusione, una questione tecnico - politica, sia pur delicata ma controllabile, dati anche gli innumerevoli vincoli posti in capo agli iraniani, sta correndo il rischio di trasformarsi in una rischiosissima querelle che, partendo da considerazioni di ordine meramente economico ed egemonico regionale, può condurre a nuove e violente fiammate ben oltre le sponde mediterranee.

(foto: IRNA / IDF)