Laura Pepe
Ed. Laterza, Bari 2018
pagg. 244
L’autrice, professoressa di Diritto greco antico all’Università di Milano, affronta, in questo suo saggio, la cultura greca e romana dal punto di vista del vino.
Nei poemi omerici il vino è una presenza costante; la sua abbondanza è giustificata dall’altissimo valore sociale che ad esso è collegato. A chi giunge nella propria dimora, il personaggio omerico, per il rispetto della regola di dare una degna accoglienza, ne offre una coppa.
Sconosciuto a Omero è invece il simposio. Ad esso possono partecipare solo individui liberi di sesso maschile - le uniche donne ammesse al simposio sono le etère - sdraiati sui klinai, i letti disposti lungo i muri, equidistanti dal centro – dove sarà posto il cratere con il vino - in modo tale che nessuno occupi una posizione privilegiata, in osservanza al concetto di uguaglianza. Ma è un’uguaglianza per pochi.
E a Roma? Nella città eterna, che subisce il fascino della cultura greca, il simposio diventa il convivio e i klinai diventano i triclini,cioè letti a tre posti. Le differenze sostanziali tra le due civiltà, però, sono l’ammissione delle mogli ai convivi e la riduzione del vino a ruolo di semplice comparsa, infatti “non c’è più lui al centro della sala; c’è invece una tavola ricca di ogni genere di leccornie.”
Il vino, protagonista di alcune feste sia nel mondo greco che romano, è “l’unica bevanda alcolica degna di essere bevuta, tipica di un superiore livello di civiltà”, da contrapporre alla birra, consumata dai “barbari”. Indice di civiltà, però, non è solo cosa si beve, ma come si beve: l’ebbrezza incontrollata procura, infatti, vergogna e disonore.
Per Platone “bere è un esercizio di temperanza che comporta non già la rinuncia al piacere, ma l’acquisizione degli strumenti per controllare il piacere.” Comunque,lo stato di ebbrezza non è bandito, anzi, “tanto il controllo quanto la perdita del controllo erano elementi integranti dell’etica delle bevute collettive” dove “l’ebbrezza era ritualizzata per diventare, proprio grazie al rito, un’espressione di cultura almeno al pari del suo opposto, la sobrietà.[…] L’importante era, il giorno dopo, riacquistare la solita compostezza e ritornare a essere quelli di sempre, dimenticando ciò che era avvenuto nel simposio.”
Solo alle donne, quelle appartenenti ad una famiglia altolocata e soprattutto, alle donne romane, era fatto divieto assoluto di bere. Mentre, quindi, il simposio è un luogo di regole dove “il vino è la struttura portante, il cemento culturale di un evento complesso nel quale i ragazzi vanno corteggiati e insieme educati, nel quale le etère devono intrattenere e dare piacere, il convivium, almeno in età imperiale, è invece il luogo dove tutto è lecito”, con il vino “alleato prezioso e indispensabile dell’eros che lì si cerca e si alimenta.”
Gianlorenzo Capano