Alziamo anche noi il sipario su un teatro che, per la maggior parte degli italiani in particolare, più che una zona geografica, richiama viaggi new age, lane e capi di vestiario costosi: il Kashmir, un locus che, negli anni, è sempre stato teatro di un conflitto latente a medio bassa intensità; solo la distanza ha finora tenuto il Kashmir lontano dai riflettori, una lontananza che non ha impedito agli stessi USA di definirlo come il punto più pericoloso e militarizzato del pianeta.
L’affrettata opera decolonizzatrice britannica di Lord Mountbatten, che ha privato la corona britannica della sua gemma più preziosa, ha dato il via ad un’instabilità regionale che, da subito, ha mostrato incongruenze e punti di attrito destinati a sfociare in conflitti aperti e non1, e che non ha mai considerato la possibile evoluzione geopolitica ed economica sia degli attori regionali che degli altri egemoni interessati a mantenere un controllo su una zona strategicamente da sempre rilevante, e con prospettive geopolitiche e geoeconomiche rimarchevoli, che permeano sia dinamiche a carattere locale, sia a connotazione globale.
L’attuale scontro in atto tra India e Pakistan, laddove dovesse assumere aspetti bellici conclamati, potrebbe far deflagrare, con un effetto domino, varie altre serie di situazioni al momento in una fase di equilibrio precario.
Religione, politica, etnie, economia, armamenti evoluti: tutto sta concorrendo a creare la miscela potenzialmente perfetta per l’accensione della scintilla di una guerra dagli esiti imprevedibili, una guerra che, nelle intenzioni dei belligeranti, potrebbe completare l’opera britannica di spartizione, o ricompattando l’India o completando l’Umma pakistana.
Con Enduring Freedom la coalizione internazionale si avvede (tardivamente) che il Kashmir è una zona ad altissimo rischio, in quanto costituisce, con l’Afghanistan ed il Pakistan, l’asse ideale per il transito talebano e, last but not the least, rimane il punto di giunzione geopolitico di due soggetti politici dotati di armamenti nucleari. L’Afghanistan si rivela per ciò che è sempre stato per tutti gli egemoni, un pantano da cui districarsi è praticamente impossibile; la conseguenza è consistita nell’aver spostato verso Oriente un impossibile punto di equilibrio che ha coinvolto ancora di più il Pakistan, di conseguenza il Kashmir, ma senza liberare l’Occidente.
Il Kashmir stesso, politicamente, costituisce un perfetto paradosso anglosassone: pur abitato da una popolazione in maggioranza mussulmana, per effetto di accordi intercorsi nel 1947 con il Marajah hindù Hari Singh, decide di aderire provvisoriamente all'India, vincolata così a contrastare le irruzioni di milizie musulmane dal Pakistan. Il Kashmir rimane a New Dehli, più che mai cosciente di non poter cedere nemmeno un centimetro di una zona così strategicamente importante.
Di fatto, il Kashmir costituisce il primo fallimento della politica di Gandhi, teso a dimostrare una difficile convivenza tra etnie, potenzialmente legate solo da un ideale ecumenico di impossibile realizzazione. Ad oggi, la risoluzione ONU del 5 gennaio 1949 rimane lettera morta, ed il previsto referendum di autodeterminazione rimane un’impossibile utopia politica; a ciò va aggiunto l’arrivo della Cina, che ha assunto il controllo della zona di nord est, una delle più popolose. La revoca indiana dell’autonomia concessa ex art. 3702, con il contestuale declassamento pakistano delle relazioni diplomatiche e la proposta di divisione in due territori, risveglia dunque conflitti mai sopiti; pur appartenendo allo Stato Indiano, il Kashmir rimane, nell’immaginario collettivo pakistano, la terra da dover riconquistare.
È solo una responsabilità indiana? Difficile poterlo affermare; se è vero che il partito nazionalista di maggioranza Bharatiya Janata Party (PJB), deve esercitare il mandato per cui è stato premiato alle ultime elezioni, è altrettanto vero che il Pakistan poco o nulla ha fatto per pacificare una zona che vede un sempre più crescente interventismo di marca islamica, e dove è ancora viva la ricerca di una vera identità nazionale.
Jihad e spinte centrifughe
La storia del Kashmir è contorta; creato artificialmente dagli inglesi nel 1846, è assegnato per 1/3 al Pakistan, e per il resto all’India: oggetto di aggiustamenti di confine, di conflitti con la Cina, rappresenta in fondo un rischio geopolitico per le nazioni che confinano con l’India; una New Dehli pacificata potrebbe assurgere a partner volitivo; d’altra parte, esiste anche un ipotetico rischio legato al fatto che l’improvvisa assenza dello storico nemico pakistano potrebbe portare a pericolose spinte volte a disgregare l’unità indiana.
Dal 1989 il conflitto indo pakistano ha preso una via non convenzionale, una forma di insurrezione permanente tra mujahidin jihadisti filopakistani e forze indiane, impegnate a contrastare ed a reprimere violentemente l’impegno fornito dalla comunità islamica internazionale.
Soluzioni all’impasse non appaiono alla portata, tanto che il Kashmir è stato talvolta visto come una sorta di nuova Irlanda del Nord, con azioni politiche mai davvero incisive e segnate o da immobilismi o repentine e pericolose accelerazioni, volte o a generare contrasti diretti in loco, o azioni terroristiche sul territorio indiano.
Cosa attendersi? Il Kashmir rimane isolato, e non si possono escludere ulteriori violente contestazioni, con una sicura repressione che non può non tenere conto né dell’abbattimento, nel febbraio scorso, di velivoli indiani impegnati ad attaccare presunte basi jihadiste a Balakot in Pakistan, né degli ultimi attentati condotti con armamenti di origine pakistana da affiliati al gruppo Jaish e Mohammed, che hanno riacceso l’ira mai sopita di New Dehli, che non può trascurare nemmeno la rivendicazione dell’Isis3 di aver creato una provincia corrispondente all’area meridionale del Kashmir. Tutto questo non può che condurre ad una riaffermazione in chiave nazionalista della politica estera indiana, che sembrerebbe puntare ad un cambiamento della base demografica Kashmira, operazione questa che, in futuro, potrebbe determinare gli esiti di un ipotetico referendum.
Da ultimo, non è possibile trascurare la guerra per l’acqua. L’Indo è un fiume importante sia per l’India, che per il Pakistan, ed è l’unica risorsa idrica in un territorio in larga parte arido o semi-arido. Il Pakistan e l’India traggono dal fiume le risorse per provvedere sia all’irrigazione che alla produzione idroelettrica.
Secondo il Pakistan, il controllo dell’Indo è problema vitale, dato che non dispone di altri corsi d’acqua, e considerato il fatto che l’India fruisce di posizioni strategiche per il controllo dei flussi idrici. Se Islamabad rinunciasse alle proprie pretese sul Kashmir, automaticamente rinuncerebbe anche ai fiumi Jhelum e Chenab, per poi dipendere totalmente dall’India per l’approvvigionamento d’acqua dolce.
Gli altri...
Data la posizione ed i trascorsi storici, non possono essere escluse azioni da parte USA; se è vero che il Pakistan rimane spesso la chiave di volta delle iniziative americane nell’area, non si possono né dimenticare la decisione presa circa il ritiro dei reparti combattenti dall’Afghanistan, né il principio di spostamento dell’asse politico indiano verso gli Stati Uniti per effetto della proattività cinese nell’area, né il desiderio di Xi Jinping che nessuna area interessata alla Nuova Via della Seta possa essere coinvolta in attività destabilizzanti.
La Cina coltiva rilevanti interessi nell’area indiana del Brahmaputra, evita accuratamente confronti politici diretti, e di certo il passaggio della sua Via della Seta in zone potenzialmente sconvolte da un conflitto quanto meno a media intensità, non può indurre a sonni tranquilli, data anche la rilevanza degli investimenti compiuti e già programmati, in base ai quali il Pakistan dovrà fungere da collegamento tra le linee terrestri e quelle navali con il porto di Gwadar.
Il problema cinese, al momento, è quello di riuscire a conciliare gli opposti indo pakistani, dato che quota parte delle infrastrutture necessarie alla OBOR dovranno transitare sulla parte pakistana del territorio conteso con l’India; infine, la Cina sa perfettamente che qualsiasi equilibrio che prescinda dagli interessi indiani non potrà che essere precario, anche alla luce delle prese di posizioni restrittive di New Delhi (uno dei primi partner commerciali cinesi) su Huawei, e considerata la forte posizione pro Pakistan assunta dalla Cina sulla querelle Kashmir.
Da non trascurare la presa di posizione indiana verso la Cina, tesa ad evitare indebitamenti a carico delle comunità locali e le conseguenti possibili pratiche di land grabbing. Sullo sfondo, gli interessi commerciali russo francesi verso l’India.
Conclusioni?
Ambedue i Paesi hanno il medesimo interesse nel controllare la regione, sia esso strategico, economico, religioso, politico-sociale. La soluzione ipotizzata di trasformare la Line of Control in confine internazionale accettando lo status quo, non ha trovato convinti proseliti.
Malgrado la presenza di forti interessi sovranazionali, la crisi kashmira deve necessariamente far riflettere su possibili evoluzioni che possono andare oltre l’usuale visione occidentale; ambedue i Paesi dispongono di analogo armamento nucleare, ma solo l’India ha formalmente adottato la politica del non first use. L’alternativa potrebbe essere quella di uno scontro almeno inizialmente di tipo convenzionale, dove tuttavia la differente entità numerica tra Pakistan ed India, potrebbe far propendere per l’utilizzo successivo di mezzi più incisivi, tenuto anche conto delle dichiarazioni aggressive del premier pakistano Imra Khan.
Il panorama economico, se possibile, è ancora più fluido e pericoloso: a fronte di un intreccio di interessi sino pakistani, si contrappone la posizione assertiva indiana che, pure, non trascura né l’import export cinese, né il possibile ed interessato appoggio americano che, in una sorta di politica del doppio forno, intrattiene rapporti collaborativi anche con i pakistani.
Nota di interesse: in Guerra senza limiti – l’arte della guerra asimmetrica, già nel 1999 i cinesi esaminavano il Kashmir ed il suo conflitto latente. Non male per un Paese di cui si parla sempre in termini strategici legati a Sun Tzu, ma di cui poco o nulla (ufficialmente) si sa sull’orientamento attuale.
1 1949 primo conflitto indo-pakistano; i conflitti continuarono tra la seconda metà degli anni 60 e la prima metà degli anni 70, con interessamento dell’attuale Bangladesh; 1999 “guerra di Kargil’
2 Proibiva, tra l’altro, insediamenti permanenti indiani e l’acquisto di terreni
3 Maggio 2019
Foto: Indian Army / web