È un dato di fatto che esistano notizie più notiziabili di altre. In un’era nella quale le comunicazioni capillari permettono la diffusione in tempo reale di qualsiasi cosa accada in (quasi) ogni parte del pianeta, scegliere quali siano i principali fatti da raccontare attraverso i media è un passaggio obbligato: è impossibile informare ed essere informati su tutto. Un insieme di regole auree, i criteri di notiziabilità, definiscono le caratteristiche che deve avere un fatto per diventare notizia… caratteristiche che, evidentemente, non appartengono alla strage degli attentati di Pasqua avvenuti nello Sri Lanka il 21 aprile scorso. Non lo dico con tono polemico, né ho intenzione di cavalcare la retorica del “di quei morti non importa a nessuno”. Semplicemente, partendo dalla ricostruzione di ciò che è accaduto nello Sri Lanka, questo articolo vuole essere un invito a riflettere su alcune tematiche sulle quali, negli ultimi mesi, l’attenzione mediatica del nostro Paese sembra essere calata: il terrorismo di matrice jihadista, l’attività di Daesh (che per semplicità e uniformità chiameremo ISIS) dopo la perdita dell’elemento territoriale, l’attenzione e il significato attribuiti agli attentati contro i fedeli e i simboli della religione cattolica.
Nella prima mattinata del 21 aprile scorso, mentre la comunità cristiana celebrava la Pasqua, una serie di attentati terroristici ha colpito due dei principali luoghi di culto cristiani situati nei dintorni di Colombo: il Santuario di Sant’Antonio e la Chiesa di San Sebastiano. Una terza esplosione ha colpito la Chiesa evangelica di Sion a Batticaloa (Provincia Orientale). Poco dopo, intorno alle 9, a Colombo si sono verificati in rapidissima successione altri quattro attentati in altrettanti alberghi di lusso; infine, il settimo ed ultimo attentatore si è fatto esplodere intorno alle 15:20 presso un complesso residenziale nei sobborghi della città.
Il bilancio totale delle vittime è stato di 259 morti e più di 500 feriti.
Dalle indagini della polizia cingalese è emerso che gli attentatori sarebbero stati appartenenti al gruppo jihadista cingalese National Thowheet Jama’ath (Organizzazione Monoteista Nazionale – NTJ). Successivamente, il 23 aprile, l’ISIS ha emesso un comunicato nel quale confermava il pieno supporto agli attentati.
Tuttavia, va evidenziato che a questo proposito sono sorte alcune perplessità. Innanzi tutto, da subito è sembrato poco credibile che NTJ avesse agito in autonomia, poiché si tratta di una formazione piuttosto ridotta, fino ad allora nota più che altro per atti di vandalismo ai danni di simboli e statue buddhiste. Dunque, le risorse limitate e il modus operandi consueto di NTJ è sembrato non compatibile con la dinamica degli attentati di Pasqua. La conduzione di più attacchi suicidi avvenuti quasi simultaneamente in località diverse richiede un processo di pianificazione impegnativo e sofisticato, oltre ad un certo livello di efficacia tattica e operativa, e alla disponibilità di una squadra di terroristi numerosa e ben coordinata: tutti requisiti che NTJ non sembrava possedere in quel momento.
Parallelamente, è significativo che la rivendicazione da parte dell’ISIS sia arrivata in maniera piuttosto tardiva (ben due giorni dopo) e differente rispetto alle modalità consuete. L’elemento più eclatante è la mancata presentazione di prove inconfutabili del coinvolgimento negli attentati. È stata diffusa solo una fotografia, di cui peraltro non è stato possibile verificare l’autenticità, nella quale compare colui che l’ISIS ha indicato come il capo degli autori dell’attacco.
In questa situazione sulla quale ancora non si è fatta chiarezza, si può comunque considerare plausibile che vi sia in effetti stata una collaborazione tra NJT e ISIS, che fa comodo ad entrambi: il “Califfato” ha dato l’opportunità alla piccola formazione cingalese di spendere il proprio marchio, probabilmente fornendo una qualche forma di supporto organizzativo e logistico, senza il quale NJT non avrebbe potuto condurre attentati di questa portata. Inoltre, la rivendicazione ha avuto lo scopo di restituire visibilità all’ISIS, confermandone in maniera eclatante la piena vitalità nonostante stesse attraversando una fase di riorganizzazione dopo la definitiva perdita della dimensione territoriale in Siria e in Iraq nel marzo scorso, e ribadendo la volontà e la capacità di portare avanti la propria causa estremista non solo nelle regioni mediorientali, ma persino in teatri fino ad allora periferici come, appunto, lo Sri Lanka.
Dopo aver brevemente ricostruito i fatti e i ragionamenti su chi siano stati i responsabili, ampliamo ulteriormente la nostra analisi tentando di rispondere ad una domanda: perché di questi attentati non se è sentito parlare quasi per niente? Il quesito potrebbe sembrare provocatorio ed infarcito di una certa retorica (quella, come detto all’inizio, secondo cui “di quei morti non importa a nessuno”). Al contrario, in questa sede l’approccio è molto meno passionale e molto più cerebrale: riflettere, in maniera quanto più asettica possibile, su due elementi chiave che caratterizzano il fatto in questione.
Primo: lo Sri Lanka si trova a 15mila chilometri di distanza. Questo dato, ancora una volta, porta ad una conclusione che può sembrare banale ed invece non lo è affatto, ossia che ciò che accade lontano da noi ci interessa meno o, comunque, colpisce molto meno la nostra attenzione e la nostra sensibilità. Gli stessi media sanno bene come funziona questo meccanismo, per cui se ragionassimo da un punto di vista puramente logico non dovrebbe stupirci che di un avvenimento del genere non si sia più di tanto parlato.
Secondo: le vittime degli attentati di Pasqua sono fedeli cristiani cattolici, ed in questo momento nell’agenda dei media occidentali il tema delle persecuzioni contro i cristiani non è certo al primo posto1. Al contrario, sembra esserci una generale tendenza a spogliare i simboli della religione cattolica del loro significato spirituale, considerandoli più che altro “oggetti” culturali. Basti pensare alle immagini dell’incendio di Notre Dame, e al cordoglio espresso da molti nei confronti di un’eredità culturale che andava letteralmente in fumo. All’essenza spirituale di Notre Dame, al suo essere prima di tutto cattolica, quasi nessuno ha fatto cenno. Analogamente, durante le numerosissime dirette del rogo, l’impressione è che l’occhio mediatico abbia considerato questa cattedrale più come un prezioso e ricchissimo museo, che come un simbolo della religione cattolica in tutto il mondo.
Insomma, in questo momento storico il cattolicesimo non va di moda nemmeno quando a essere colpito è un simbolo religioso che si trova praticamente in casa nostra, nel cuore dell’Europa.
Mettendo a sistema questi due elementi si può, forse, rispondere in modo esaustivo alla domanda su quali siano le ragioni per le quali la strage degli attentati di Pasqua nello Sri Lanka è passata in sordina nell’agenda dei media occidentali.
1 Va precisato che i cristiani rappresentano il 7% della popolazione cingalese e lo Sri Lanka si trova al 46° posto nella classifica dei 150 Paesi nei quali i fedeli di questa religione subiscono un alto livello di persecuzioni (fonte: World Watch List 2019 dell’ONG Porte Aperte).
Immagini: fotogramma CBS / web / GodefroyParis