Mirko Crocoli: Nel nome di Craxi

Mirko Crocoli
Ed. A.CAR.
pagg. 446

Guardo la sfera di cristallo e vedo un gran buio. Una politica in gran parte residuo del vecchio, avvolta in una babele di linguaggi soprattutto in materia di ciò che dovrebbe essere il nuovo. Da qui l’incertezza, la confusione, la difficoltà di fare previsioni sul destino della politica, quella con la “P” maiuscola, e cioè dotata della volontà, della capacità e della forza necessarie per dirigere e tutelare le sorti di una comunità nazionale.

(Bettino Craxi)

Un “viaggio” appassionato, una ricerca scrupolosa e un lavoro ricco di preziosi spunti incentrato totalmente sulla figura dell’ex leader Socialista e Presidente del Consiglio. Dopo “Nome in codice Gladio” (dello stesso autore) è il turno di Craxi.

Un saggio che, oltre a ripercorrere le tappe salienti della vita dello Statista, si ferma su alcune pungenti e – quanto mai attuali – riflessioni conclusive. Le notti di volantinaggio con i pantaloni alla zuava per il padre Vittorio (candidato in Parlamento); la prima tessera (non ancora maggiorenne) sottoscritta presso la sezione del PSI di Lambrate; i turbolenti anni universitari; le formative esperienze nelle amministrazioni lombarde; le cariche interne al PSI locale (fino alla segreteria nazionale datata ’76); la conquista dello scranno a Montecitorio, l’insanabile strappo con i comunisti italiani (Ungheria ’56 e Praga ’68); il contributo nella battaglia per la liberazione di Aldo Moro; l’appoggio al primo governo Cossiga per l’“affare” Euromissili, il sostegno al laico Giovanni Spadolini; la Presidenza del Consiglio dei Ministri del 1983 (il suo fu l’esecutivo più longevo della Prima Repubblica), ma anche l’Achille Lauro, Sigonella, il rimodernamento dell’apparato pubblico, la lotta al terrorismo con Dalla Chiesa, il rilancio del Made in Italy, il semestre europeo, il “sogno” della Grande Riforma e il prestigio internazionale.

L’Italia degli anni di Craxi si collocava al quarto posto tra le nazioni più industrializzate del mondo, miraggio se vista con gli occhi di oggi. Un approfondimento particolare è stato inevitabilmente rivolto anche al periodo di “Mani pulite”.

Un’opera accurata, scritta con uno stile diretto, a tratti avvincente e priva di fronzoli, resa possibile grazie all’ausilio del materiale documentale appartenente alla Fondazione Craxi e alle testimonianze esclusive e inedite (in presa diretta) - inserite in vari punti - di illustri personaggi (politici e non) che hanno ruotato per decenni attorno alla vita del protagonista, a vent’anni dalla sua morte.

Apre con la prefazione Paolo Pillitteri, giornalista, storico sindaco di Milano e deputato del PSI. Lo seguono Gennaro Acquaviva, esponente di spicco del partito, Ugo Intini (ex portavoce e direttore dell’Avanti!), Claudio Signorie (ministro del Mezzogiorno e dei Trasporti, vicesegretario e braccio destro di Craxi), Filippo Panseca (genio visionario, creatore del simbolo del garofano), Cinzia Mansi (collaboratrice di Via del Corso); Stefano Perri (suo agente di scorta per 10 anni), Alessandro Zella (curatore della pagina social “Bettino Craxi”). E ancora, tre generali; Ercolano Annicchiarico, Antonio F. Cornacchia e Paolo Inzerilli, rispettivamente Sigonella, Moro e Gladio; l’economista Luca Caselli, Stefano Cagliari (figlio dell’ex presidente dell’Eni Gabriele, suicidatosi a San Vittore), Dina Nerozzi (moglie del prof. Gaetano Frajese), Stefano Andreotti (figlio del pluripremier e capo dicastero Giulio), Enzo Carra (ex portavoce e capo segreteria di Arnaldo Forlani), Tiziana Parenti (magistrato del pool “Mani pulite”), ma anche opinionisti, scrittori, saggisti.

Dott. Crocoli, qual è stata la fonte di ispirazione per il suo nuovo libro?

L’idea era in piedi già da 3 anni. Pensata, programmata e ideata nel 2017, poi sospesa per altri progetti in cantiere. Tuttavia l’intento era quello di concluderlo entro il 2020, anno particolare per Bettino Craxi (ventennale della sua morte ad Hammamet). La fonte di ispirazione è stato il “buio”, inteso come vuoto attorno a noi. Mi spiego meglio. Si chiama nostalgia, voglia di ricredere in qualcosa, desiderio di italianità, amor di patria e senso di appartenenza a qualcosa a cui non apparterremo più: una NAZIONE GRANDE! Tutto perduto. Approfondisco ancor di più.

Il disarmante vuoto politico che ci circonda, l’incapacità di un’intera classe dirigente, l’incompetenza, l’approssimazione, la faciloneria e la spregiudicatezza con cui si è affrontata anche la pandemia “Covid19” (e non solo), la moria dei comparti industriale, imprenditoriale e del commercio, il disastroso atteggiamento nei confronti del fenomeno incontrollato dell’immigrazione, la sudditanza ad un’Europa sempre più arrogante, gli scandali che hanno messo in luce il vero sistema che alberga all’interno della magistratura e il silenzio dei vertici di un Quirinale sempre più complice di un tale mastodontico scempio (che ha ridotto la grande Patria Italia ad una barzelletta globale) sono stati la vera molla che mi ha spinto a ricordare uno Statista di siffatto calibro.

Viviamo in un’epoca nella quale da un lato troneggiano gli “accomodati”, i banchieri, gli inciuciari per antonomasia e i traffichini del “sottobosco” e dall’altro, in alleanza, c’è ancor di “meglio”. È lo squadrismo dell’inettitudine, dell’incapacità, del pressappochismo, dell’imperizia, della sciatteria e della totale inadeguatezza nel trattare la cosa pubblica. In Libano ci sono i libici, la Russia sfocia nel Mediterraneo, Pinochet ha governato il Venezuela e magari la Siria è in Costa Azzurra. I livelli sono questi. Una volta lessi da qualche parte una frase che mi colpì. Diceva: “se dovessimo misurare la differenza di preparazione culturale tra l’era Craxi e l’attuale governance italiana, in distanza, in chilometri, saremmo costretti ad utilizzare gli anni luce”. La classe dirigente attuale è quella che anni fa tirava le sassaiole al Raphael e la classe politica è quella che, un giorno sì e l’altro pure, lanciava un “Vaffanculo” dalle piazze al Quirinale. Gli anticasta che adesso sono più casta della casta stessa.

Non stupiamoci però se il delicato potere giudiziario è ormai fuori controllo, se gli “affari esteri” sono morti e sepolti, se la sanità è in perenne stato di abbandono e la scuola in balìa del nulla. Sulla gestione dell’immigrazione stendiamo un velo molto pietoso! Un dramma biblico. Questo per dire che rammemorare l’Italia di Craxi oggidì è come fare un meraviglioso tuffo nel passato, un sonno con tanto di sogno dal quale preferisci non svegliarti mai per non avere a che fare con la devastante realtà.

Tra le varie testimonianze, ho letto con molto interesse quelle dei gen. Annichiarico, Cornacchia, Inzerilli, rispettivamente nei capitoli concernenti Sigonella, Moro, e Gladio…

Ho scomodato mezzo mondo. Alcuni li ho presi per sfinimento. Ex politici, ministri, importanti esponenti del PSI dell’epoca e anche il mondo militare. Il Generale Ercolano Annicchiarico è stato fondamentale per addentrarmi nella notte di Sigonella, poiché stiamo parlando del comandante che in quelle ore era il più alto in grado. Mi ha lasciato una piacevole intervista all’interno del capitolo “Achille Lauro e Crisi di Sigonella”. Mi ricordo un titolo di quegli anni che citava: “È pugliese il Colonnello che ha sfidato i Rambo americani”. Testimonianza sicuramente preziosa. Il Generale Antonio Federico Cornacchia invece l’ho ascoltato per la questione del sequestro e l’assassinio di Aldo Moro. D’altronde egli nel 1978 ricopriva la carica di Comandante del Reparto Operativo del Carabinieri di Roma. Nulla si muoveva senza il suo benestare. A tal proposito lui sostiene (come riportato a pag. 109) che: “A rompere il fronte della fermezza scese in campo il segretario del PSI Bettino Craxi. A quel punto l’Italia si divise in due: da un lato i partiti (quasi tutti) e coloro (gli intransigenti) che escludevano la possibilità di qualsiasi trattativa con le Brigate Rosse, dall’altro l’On Craxi e coloro (pochi) che non disdegnavano uno sblocco negoziale affinché si tentasse l’impossibile per salvare la vita del povero Moro”.

Con Paolo Inzerilli, altro ufficiale, comandante dell’organizzazione Gladio e per decenni a capo della nostra Intelligence è una cosa un po’ particolare, forse speciale. Ho collaborato per anni con lui, in occasione del volume del 2017 dedicato proprio alla Stay-behind italiana. Durante la stesura di “Nome in codice Gladio” ci siamo confrontati per mesi, se non anni. Lo abbiamo praticamente creato insieme e, col tempo, è nata una bella amicizia. Non stiamo escludendo oltretutto l’idea di uscire entro un tempo ragionevole con il secondo volume, un “bis” con nuove ed esclusive verità fin’ora rimaste inedite e/o celate. Ma questa è un’altra storia e spero veda luce a breve. Ho chiesto al Generale Inzerilli un suo ricordo su Craxi. Egli è stato ai vertici del Sismi per un lungo periodo (17 anni), nei quali si sono alternati 11 ministri della difesa e 17 governi, tra i quali il Craxi I e il Craxi II. Quando Inzerilli affrontava il calvario dello scandalo Gladio emerso nei primi ’90, Craxi stava per entrare nella “tempesta perfetta” denominata Mani pulite, alias la falsa rivoluzione. Mi sembrava doveroso coinvolgerlo, poiché entrambi hanno avuto la stessa sfortuna di essere stati travolti da un insolito destino nelle grigie trame dei Palazzi romani. Due veri patrioti di un’Italia immensa, due giganti (l’uno della politica e l’altro della sfera militare) trattati da agnelli sacrificali sull’onda di un giustizialismo dannato, becero e violentissimo che ci ha barbaramente tolto quel poco di sovranità nazionale che ancora ci rendeva un Paese degno di chiamarsi tale.

Tiziana Parenti, magistrato del pool di Mani pulite, nel suo libro sostiene che: “Sono comunque giunta alla conclusione che il difficile percorso politico della cosiddetta Prima Repubblica, forse per una sua fragilità intrinseca, è andato facilmente in frantumi per un concorso di volontà ed interventi interni ed esteri che, attraverso una magistratura da decenni già ampiamente politicizzata, ha avuto gioco fin troppo facile ad annientare la storia della resurrezione democratica italiana e a rendere l’Italia permanentemente debole sul piano economico ed istituzionale. La storia la scrivono da sempre i vincitori, anche se alla fine, nel nostro Paese, in quel periodo, siamo stati tutti degli sconfitti!”

Cosa intende la Parenti con siamo stati tutti degli sconfitti?

Le rispondo brevemente. A quel tempo gli italiani erano un tutt’uno contro la “casta”, pur sbagliando casta. Si dice che un popolo non muore per una sconfitta, ma quando si dimentica di essere popolo. Gli italiani si sono dimenticati di Craxi e del bene che Craxi aveva fatto per loro negli anno d’oro. Mente corta e riconoscenza zero. C’è tuttavia pentimento, rimpianto, rammarico ma ciò non basta. Con il senno di poi non si può più cambiare la storia. Claudio Signorile, ex Ministro del Mezzogiorno e dei Trasporti, come riportato a pag. 375 del libro, laconicamente mi confida che: “Attraverso di lui sono stati scontati i peccati di un’intera classe politica. La cosa più grave e assolutamente inumana fu il fatto che non venne messo nelle condizioni nemmeno di curarsi dai comunisti italiani. Non solo, essi intervennero sui francesi per far sì che non lo ospitassero in Francia per sottoporsi ai necessari interventi che, probabilmente, gli avrebbero permesso una degenza più dignitosa”.

Più sconfitti di così!!!

Dobbiamo qualcosa come Paese a Bettino Craxi?

Le rispondo tramite le parole di Piero Sansonetti, direttore del Riformista. Uomo di sinistra ma intellettualmente onesto (uno dei pochi ancora rimasti). Egli – come ho anche riportato sul libro a pag. 259 – afferma che: “Craxi era colpevole. Nello stesso modo nel quale erano stati colpevoli De Gasperi, Togliatti, Nenni, La Malfa, Moro, Fanfani, Berlinguer, De Mita, Forlani… Sapete di qualcuno di loro condannato a 10 anni in cella e morto solo e vituperato in esilio?”. E ancora, si chiede: “è giusto che un paese, e il suo popolo, riempiano di fango una figura eminente della propria storia democratica, come è stato Craxi, solo per comodità, per codardia, per “patibolismo”, deturpando la verità vera, rinunciando a sapere cosa è stato nella realtà il proprio passato? Io penso di no. Da vecchio anticraxiano penso che dobbiamo qualcosa a Bettino Craxi”.

Non credo ci sia altro da aggiungere.

Maria Grazia Labellarte