Le dimensioni entro cui la Geopolitica opera sono diverse; il tempo è un’accezione del potere globale basata su un quando che agevola le potenze in ascesa, punisce quelle in declino, che scorre secondo un unico orientamento enfatizzato da Christopher Nolan nel suo ultimo film, Tenet, in cui una sorta di geopolitica temporale, agisce come una forza e secondo una direzione ben precisa, in accordo ad una ratio definita; in tempi di pandemia abbiamo potuto osservare come ogni fattore, dalla crescita esponenziale dei contagi a quella del numero delle vittime, sia stato valutato in chiave temporale: mai come in questi mesi si è sentito ripetere ossessivamente “muoversi per tempo”.
L’altra dimensione è quella dell’estensione fisica, chiave interpretativa non limitata alla banale associazione spazio – geografia, ma passaporta alla Harry Potter, che consente cioè l’accesso a diverse concettualità, tutte aventi riflessi geopolitici e geoeconomici.
Le vie di comunicazione si mostrano quindi per ciò che sono sempre state, ovvero linee di oggettivazione del rapporto tra tempo, spazio e potere, in un connubio dove la volitività dell’iniziativa umana ha prevalso sulle contingenze geografiche: raccordi viari e marittimi, con la localizzazione dei gangli del potere, sono divenuti requisiti inscindibili, sia che si presentino come elementi preesistenti, sia che il potere stesso determini la necessità di impiantarne di nuovi, caratterizzati da specificità spaziali, dalla geografia umana, da gestioni e progettualità demandate alla politica.
È qui, in questo ambito che si manifesta una delle concettualità più interessanti, quella della politica dei corridoi, un’accezione che, ridefinendo spesso la sovranità statuale, trae origine da diversi ambiti; una politica volta a definire una dimensione più ampia e riguardante la gestione dei territori riferita sia all’aspetto strategico delle supply chain logistiche, sia all’efficienza delle infrastrutture, sia alla governance locale. In questo senso, nella loro essenza di vie di collegamento speciali, i corridoi devono essere intesi bidimensionalmente: sia quale tessuto connettivo infrastrutturale interno ad una rete, sia quali facilities amministrative capaci di agevolare comunicazioni e spostamenti. Una sorta di management capitalistico anticipatorio della dimensione temporale futura in versione neoliberale.
I corridoi possono dunque essere tanti, tanti quante sono le problematiche che sottendono: ad esempio i progetti infrastrutturali, le connessioni strategiche in termini di modalità di scambio, di comunicazione, di velocizzazione delle interazioni con un incremento dei posti di lavoro ed una crescita del PIL.
È evidente che la connettività trasformi il come lo spazio viene vissuto; ce lo racconta del resto la narrazione della BRI (Belt and Road Initiative, la "Nuova Via della Seta", ndr)), che punta al rafforzamento delle liaison tra Europa e Cina, grazie anche alla Maritime Silk Road, cui è connesso il raddoppio del Canale di Suez, con il conferimento al Mediterraneo di una nuova centralità animata da un turbolento mercato energetico.
Dall’Asia all’Africa, con i nuovi corridoi, Pechino continua a puntare sulla fluidità di un progetto globale neoimperialista, e senza doversi cimentare, per il momento, in uno scontro diretto con la U.S. Navy. È proprio qui che tornano d’attualità gli studi di H. Mackinder, che circa un secolo fa previde la rilevanza strategica dei trasporti, cui vanno addizionati gli aspetti logistici, finalizzati alla conquista del primato sul sistema mondo, grazie anche alla complessa ridefinizione geografica delle rotte marittime, popolate non solo da petroliere, ma anche dalle portacontainer, in un’ottica che ha visto il passaggio dal concetto di rotta a quello di catena logistica; tutto ciò senza dimenticare la prossima apertura della rotta artica del mitico passaggio a nord ovest con forti e preesistenti interessi russi.
Il termine corridoio, considerate le presenze di passaggi in Mediterraneo, in Europa, in Asia da est verso ovest, si riconduce quindi a determinati elementi essenziali: uno sviluppo lineare, flussi, marcate differenze territoriali e politiche in relazione agli spazi che attraversa.
Solo elementi positivi? No. L’argomento è sempre stato così sensibile che, già nel primo dopoguerra, K. Haushofer sosteneva, con ovvie motivazioni pangermaniste, la dannosità del corridoio di Danzica, di cui non riusciva ad individuare che “finalità prevalentemente distruttive” del sistema politico tedesco che subiva la divisione del proprio territorio sovrano, facendo presagire le successive dinamiche di ordine bellico.
Anche il Medio Oriente non è stato estraneo alla politica dei corridoi; caso particolare è quello persiano. Grazie all’Operazione Countenance, sovietici a nord e britannici a sud, si impadronirono dal ‘41 al 45 dell’Iran, Paese neutrale ma manifestamente filo tedesco e dunque potenziale ostacolo al transito dei materiali bellici USA del Programma Lend-Lease1; un duopolio infranto nel 42 dall’arrivo degli USA.
Mohammad Reza Pahlavi, figlio del deposto Rezah2 poi esiliato in Sud Africa, dichiarò guerra alla Germania che, tuttavia, con l’Operazione Volpe d’Argento3, per poco, non riuscì a recidere l’arteria logistica che contribuì, con i suoi 7,9 milioni di tonnellate di materiali occidentali4 arrivati via nave in vari porti del Golfo Persico e poi trasportati a nord per ferrovia o su gomma, a salvare l’Unione Sovietica dal collasso.
Il corridoio persiano nel complesso funzionò egregiamente; non a caso proprio a Teheran si tenne la conferenza alleata del 43, foriera del ritorno in Parlamento di Mohammad Mossadeq, il futuro primo ministro che nazionalizzerà il petrolio nel 51.
Il corridoio funzionò anche in senso inverso, permettendo il transito di circa 250mila prigionieri polacchi, in parte catturati nel 39 dai sovietici, e destinati a combattere nella campagna d’Italia fino a Montecassino, al comando del generale Anders, anziché sul fronte orientale al fianco dell’Armata Rossa.
Arriviamo ad oggi. La Repubblica Islamica è presente in tutto il Medio Oriente e nel Golfo, con una geopolitica che passa da un nuovo corridoio a forma di mezzaluna, la Mezzaluna sciita, caratterizzata dall’inversione degli equilibri mediorientali. Con il ridimensionamento americano, la Siria destabilizzata, l’Iraq sotto influenza sciita e con l’apparente declino dell’Isis, Russia e Turchia si sono fatte avanti.
La strategia teocratica si è sviluppata su due direttrici, la prima animata da Hezbollah, e l’altra da al-Hashd ash Sha’abi, una forza sciita di marca irachena; l’influenza iraniana si è quindi estesa dalla Siria occidentale a quella orientale, giungendo fino a Baghdad.
Secondo Maurizio Molinari, l’Iran controlla potenzialmente il territorio che va da Teheran a Beirut passando da Baghdad e Damasco; l’autostrada sciita, come l’hanno stigmatizzata gli israeliani, un pericolo esiziale per i sunniti, come lo ha definito re Abdallah di Giordania.
Un corridoio, la Land Route to the Mediterranean Sea, che garantisce una linea che taglia in due la vecchia carta mediorientale, un cuneo che penetra nel cuore sunnita dove si dislocano miliziani iracheni, hezbollah libanesi, afghani in Siria, i combattenti al fianco di Hamas a Gaza, cui si sono aggiunti, quale prezioso legato testamentario del martire Soleimani, gli Houthi yemeniti, la spina nel fianco saudita, che potrebbero garantire il controllo, anche se indiretto, dello stretto di Bab el-Mandeb.
Potenzialmente gli iraniani potrebbero avere così accesso alle coste mediterranee, grazie anche all’interessato appoggio dei russi che inquadrano gli sciiti come l’utile mezzo per allontanare i concorrenti americani da Siria e Medio Oriente.
Gli ostacoli non mancano: la Turchia, epigona imperiale, nutre malcelati desideri di proiezione di potenza nelle zone confinarie siriane; Israele si oppone a Hezbollah in Libano; laddove manca ancora un valido alter ego di Soleimani, ha invece fatto sentire il suo peso geopolitico il coronavirus, che ha amplificato l’effetto delle sanzioni occidentali unitamente al ribasso dei prezzi petroliferi, giunti nei mesi scorsi ad un sorprendente valore negativo per effetto di errate valutazioni politico economiche russe; è esploso il default libanese, con un debito pubblico al 170% del Pil ed un inedito malcontento popolare nutrito per Hezbollah, senza contare la pungente pervasività di Heyl Ha'Avir5.
Ma il nuovo corridoio persiano si può considerare un obiettivo realistico? Come poter superare la sindrome iraniana da accerchiamento?
Al momento, più che una porta sul Mediterraneo, il corridoio appare come un collage di zone di influenza caratterizzate da un soft power funzionale al condizionamento delle decisioni politiche dei paesi limitrofi, anche perché, oggettivamente, la difendibilità dei trasporti su una così vasta estensione terrestre rimane difficile, viste le vie di rifornimento così allungate.
Da un punto di vista operativo, va inoltre considerato il tipico ricorso iraniano a mezzi e tattiche asimmetriche, non facilmente attuabili sulle sponde mediterranee: rimangono dunque sicuramente più paganti una Siria allineata e l’esportazione del modello Hezbollah in Iraq. D’altro canto, se da un lato vanno considerati ormai tramontati i tempi dei corridoi franco inglesi di Dakar - Gibuti e Cairo – Città del Capo, non si può nemmeno non valutare l’utilità della continuità territoriale e delle vie desertiche, che renderebbero più agevole schierare truppe o trasferire equipaggiamenti, permettendo così a Teheran di evitare di sottostare alla minaccia di un blocco aeronavale.
La strategia iraniana prossima ventura, dunque, dovrà esprimersi circa la natura dell’asse geopolitico mediterraneo che intende stabilizzare, se improntato unicamente al contenimento di Israele, nemico potenzialmente molto più coriaceo di quelli finora affrontati e che fornisce una forte componente ideologica, o anche verso le altre possibili minacce magari continuando a coltivare una strategia basata su una moral suasion regionale.
Geopoliticamente, è estremamente difficile che la politica dei corridoi possa trovare un suo compimento definitivo; sogno proibito dei regolatori degli equilibri di potenza riporta con l’immaginazione al barcellonese Cimitero dei Libri Dimenticati, non a caso un immenso labirinto fatto di scaffali e soprattutto di corridoi, che permettono solo a pochi eletti di arrivare ai volumi desiderati.
1 La tesi, va detto, non è unanimemente condivisa; Il Lend-Lease, conosciuto anche come legge affitti e prestiti, fu una iniziativa politica con la quale gli USA fornirono a Regno Unito, URSS, Francia, Cina e altri paesi alleati grandi quantità di materiale bellico durante la II GM tra il 41 ed il 45. Il programma ebbe inizio nel marzo 1941, ossia nove mesi prima dell'attacco a Pearl Harbor, e terminò con la Resa del Giappone il 2 settembre 1945.
2 Artefice della ferrovia transiraniana, opera inquadrabile nello sforzo modernizzatore dell’allora Shah
3 ovvero l’attacco tedesco-finlandese alla città ed al porto russi di Murmansk
4 Più alcune migliaia di aerei
5 Aeronautica Militare Israeliana
Foto: IRNA / U.S. Navy