Perché accusare il capo di Stato di una potenza straniera di essere un assassino?

19/03/21

Nell’intervista rilasciata a George Stephanopoulos per ABC news, il presidente statunitense Biden ha toccato vari temi: ovviamente ha parlato della pandemia, ma anche di tassazione, immigrazione e politica estera.

Riguardo quest’ultima, ha suscitato parecchio scalpore sulla stampa internazionale la parte dedicata alla Russia, dove si è accusato Putin di ingerenze nelle elezioni americane, e Biden ha ribadito il suo commento che Putin “non ha un anima”. Queste parole sono un riferimento alla frase di Bush del 2001, pronunciata dopo il summit in Slovenia: “Abbiamo avuto un ottimo dialogo. Ho avuto modo di farmi un’idea del suo animo”.

Quando il giornalista ha domandato se Biden conoscesse Putin e se lo reputasse un assassino, la risposta di Joe Biden è stata un assertivo mormorio, seguito da un più chiaro “I do”, lo penso. Trattandosi di un’intervista registrata è abbastanza probabile che Biden si stesse rendendo pienamente conto della portata della sua affermazione, un vero faux pas in termini diplomatici, solo in parte addolcito dalle frasi immediatamente successive, sulla necessaria cooperazione sui temi più importanti “per l’umanità”, come i trattati sugli armamenti nucleari.

Va tuttavia considerato il contesto; il 16 marzo infatti è stato pubblicato il rapporto del National Intelligence Council, detto ICA (Intelligence Community Assessment), a tema “Minacce straniere alle elezioni federali USA 2020”.

Nel rapporto si afferma esplicitamente la responsabilità del presidente della Federazione Russa: “riteniamo che il presidente Russo Putin abbia autorizzato, e varie organizzazioni governative russe abbiano condotto, operazioni di influenza allo scopo di denigrare la candidatura del presidente Biden e del Partito Democratico, supportare l’ex presidente Trump, minare la fiducia della popolazione nel processo elettorale ed esacerbare le divisioni sociopolitiche negli USA. (...)”. Accuse simili, ma in forme più lievi, sono rivolte anche all’Iran, mentre del tutto assolta è la Cina: “riteniamo che la Cina non abbia messo in atto sforzi di interferire e abbia considerato, ma non attuato, sforzi di influenza volti a cambiare l’esito delle elezioni presidenziali USA”.

Appare quindi chiaro come le affermazioni di Biden si inseriscano in una direttrice già delineata dagli apparati statunitensi, cioè quella di riversare su un nemico esterno la responsabilità delle fratture interne alla società americana, che queste elezioni hanno drammaticamente messo in luce. Questa mossa, in termini politici, serve a un duplice scopo:

  1. innanzitutto dovrebbe contribuire, se non altro idealmente, a ricompattare la popolazione o almeno quella parte più sensibile ad una narrazione patriottica e che vede nella Russia un’antagonista tradizionale degli USA. Assegnare a un attore esterno come la Russia la responsabilità delle tensioni interne e di tutto ciò che non ha funzionato come avrebbe dovuto, pur non sanando le problematiche sociali interne (perché hanno altra origine, più profonda), potrebbe tuttavia permettere di guadagnare tempo e risorse per farlo.
  2. in secondo luogo prepara il terreno per quelle sanzioni, già minacciate dagli Stati Uniti e ribadite (seppure restando nel vago) da Biden nel prosieguo dell’intervista, che perseguono sì scopi ben più pragmatici, ma che necessitano di una giustificazione a livello narrativo.

Insomma anche l’amministrazione Biden non vuole rinunciare alla ormai rodata narrazione di una Russia nemica, in particolare visti gli stretti legami tra Biden stesso e il contesto Ucraino, uno di quei terreni di scontro tra le due grandi impostazioni geopolitiche imprescindibili delle due potenze.

Infatti, mentre gli USA, in qualità di potenza egemone, mirano a contenere la Russia per evitare ad ogni costo un qualche tipo di minaccia al loro dominio del continente europeo, a sua volta la Russia non può prescindere dal tentare di limitare quella che percepisce come una vulnerabilità, e cioè l’esposizione ad occidente, attraverso degli stati cuscinetto sotto la sua sfera di influenza, compresi tra i confini della Federazione e quelli dell’Occidente vero e proprio. Con in mente questa considerazione è più comprensibile come mai la risposta a “fughe verso Ovest” di leaders di paesi confinanti, quali Georgia o Ucraina, sia sempre stata durissima.

Non è da escludere che quella statunitense sia anche una replica alla “diplomazia dei vaccini” russa, da quest’ultima abbastanza aggressivamente messa in atto in questi mesi per cercare di rompere il senso di accerchiamento e l’isolamento politico che l’ha caratterizzata negli ultimi anni. Indubbiamente gli apparati americani non possono aver visto di buon occhio la distribuzione dello Sputnik V a diversi stati del centro e sud America, e una reazione è inevitabile.

Nel quadro più ampio dunque le parole di Biden potrebbero anche non essere, come commentato da Medvedev, quelle di un uomo “non risparmiato dal tempo”. Prevedibilmente la risposta russa è stata di condanna, sia a livello formale, con il richiamo dell’ambasciatore a Washington Anatoly Antonov, che a livello mediatico, con dichiarazioni lasciate inizialmente all’entourage russo. Ad esempio Konstantin Kosachyov, capo commissione affari esteri del Consiglio federale, il quale ha auspicato che le parole di Biden fossero “dovute all’età” e frutto di “problemi di udito”, o Vyacheslav Volodin, portavoce della camera bassa, il quale ha parlato di offesa a tutto il popolo russo.

Solo in un secondo momento sono arrivate le repliche dello stesso Putin, che ha commentato come “chi è in una casa di vetro non dovrebbe lanciare pietre” e ha fatto poi riferimento alle parti più oscure della storia americana, come l’uso dell’atomica. Al di là della querelle mediatica restano vere le considerazioni del ministro degli esteri russo Lavrov, che ha osservato come le relazioni tra USA e Russia siano al momento in un vicolo cieco.

Infine non va dimenticato che la Russia è sì una potenza in crisi sia in termini economici, dove paga il prezzo delle sanzioni e di una crisi economica che il Covid ha solo accentuato, sia in termini demografici, e dove la leadership di Putin, per quanto ancora indiscussa, appare più stanca dell’abituale, tuttavia resta assolutamente intatta la sua capacità di proiezione di potenza, in particolare nel suo estero vicino.

Non si può guardare che con una certa apprensione all’ulteriore deterioramento dei rapporti con la potenza leader dell’Occidente. Infatti, non vi è dubbio alcuno che la Federazione Russa se messa all’angolo, soprattutto con la minaccia a quella che essa considera i suoi interessi vitali (in Bielorussia, Ucraina o altri stati direttamente confinanti), reagirà e, meno opzioni avrà a disposizione, più sarà probabile un esito conflittuale.

Bruno Santorio (Centro Studi di Geopolitica e Strategia Marittima)

Foto: ABC News / Office of the Director of  National Intelligence / U.S. DoD / Kremlin