Nella notte tra il 25 e il 26 marzo è giunta nel porto di Odessa la “Ocean Glory”, una nave cargo americana contente almeno 350 tonnellate di materiale militare e una trentina di mezzi HMMWV (Humvee). La spedizione è parte dell’aiuto militare promesso all’Ucraina dall’amministrazione americana e ribadito dal Pentagono agli inizi di marzo con l’annuncio ufficiale dello stanziamento di ulteriori 125 milioni di dollari per la Ukraine Security Assistance Initiative. I fondi dovranno servire ad “aiutare le forze ucraine a preservare l’integrità territoriale, mettere in sicurezza i confini e migliorare l’interoperatività con la NATO” e, nel caso gli osservatori americani dovessero essere soddisfatti dei progressi dell’Ucraina, verranno seguiti da altri 150 milioni, allocati a simili funzioni.
Dalla guerra con la Russia del 2014 gli USA hanno investito circa due miliardi di dollari nelle Forze Armate ucraine, per migliorarne l’equipaggiamento ma anche la capacità operativa, di analisi e di intelligence; il tutto è in una aperta ottica di adeguamento dei settori chiave della difesa ucraina agli standard NATO, di cui però Kiev non è ancora membro. Un fatto che l’Ucraina sembra da anni intenzionata a cambiare, ed è di pochi giorni fa la conferma dell’adesione al percorso intrapreso, con la firma da parte del premier ucraino dell’ “Annual National Program under the auspices of the NATO-Ukraine Commission for 2021” una iniziativa nata per accompagnare gli apparati ucraini alla partecipazione all’Alleanza Atlantica.
Come ha dichiarato la responsabile per l’integrazione europea ed euro-atlantica Olha Stefanishyna: “L’ANP per il 2021 è, di fatto, il nostro piano interno, in linea con il quale ci stiamo muovendo verso l’appartenenza alla NATO, in quanto questo documento, come il suo predecessore, l’ANP 2020, è quanto più vicino possibile al NATO Membership Action Plan. Muovendosi lungo questa strada, l’Ucraina sta gradualmente portando i propri standard più vicini a quelli dell’Alleanza, il che è il prerequisito per l’appartenenza alla NATO”.
In questo momento però il governo Ucraino è alle prese con una problematica più stringente che la possibile ammissione nella NATO, infatti la situazione legata alla pandemia di Covid 19 è attualmente più grave che in paesi paragonabili, con più di 10000 nuovi infetti al giorno nell’ultima settimana, l’indice di riproduzione superiore ad 1 ed in crescita. A questo si aggiunge il fatto che la campagna vaccinale in Ucraina è molto arretrata a causa di gravi problemi di approvvigionamento e di logistica, e stenta a decollare anche per via del bassissimo interesse della popolazione a ricevere il vaccino.
Nelle parole del premier Volodymyr Zelensky (foto) “il problema ora è la sfiducia nelle vaccinazioni e il rifiuto della popolazione a ricevere il vaccino”; infatti, se già l’Ucraina non si trovava negli anni passati particolarmente in alto nelle statistiche di vaccinazione, nel caso del Covid 19 la situazione è ulteriormente peggiorata, con il 40% del personale sanitario che si definisce come “esitante”. A questo hanno senza dubbio contribuito gli errori oggettivi nella gestione della campagna, quelli di comunicazione dei ministeri Ucraini, spesso accusati dai critici di essere troppo confusionari, e gli scandali legati alla corruzione: una situazione su cui si è potuta innestare facilmente una campagna di disinformazione di matrice filorussa.
È nella occasione creata dalla pandemia che la Federazione Russa cerca infatti di inserirsi e riguadagnare il terreno perduto in termini di soft-power all’interno dell’Ucraina. Quando i citati piani di adesione alla NATO, messi in opera con il supporto americano dalla parte più filo-occidentale degli apparati ucraini, hanno cominciato a prendere forma, la Russia ha visto violata quella linea rossa ideale, da Kaliningrad alla Transinistria, che costituisce ai suoi occhi il confine difensivo invalicabile dei propri interessi geostrategici.
L’esito ultimo della tensione creata dalla tendenza di Kiev di allontanarsi dall’orbita Russa è stata la guerra del 2014 e l’annessione della Crimea. La Crimea, infatti, significa per la Russia l’affaccio ai mari caldi, con tutte le conseguenze che questo comporta, ed è una delle irrinunciabili tendenze profonde della potenza russa dai tempi degli zar, e addirittura prima. Da un punto di vista strategico il mantenimento del controllo di Sebastopoli (foto) e della Crimea è di primaria importanza, motivo per cui i Russi non si sono fatti scrupolo di agire in maniera conflittuale pur di mantenerlo. Questa azione ha tuttavia polarizzato la società Ucraina, facendo perdere alla potenza russa non pochi consensi tra gli Ucraini stessi, essendo vista come aggressore.
L’offerta di vaccini, logistica e personale sanitario, fatta con grande risalto mediatico dai russi, si inserisce in un tentativo di riguadagnare parte dei “cuori e menti”, con un atteggiamento da “fratello maggiore” tipico del panslavismo russo. È improbabile che l’azione abbia un esito positivo, anche considerato che per il premier attuale accettare qualsiasi aiuto da parte russa si tradurrebbe in un suicidio politico; tuttavia la pressione interna per la malagestione della crisi da Covid comincia a crescere notevolmente e il governo ucraino non ha mancato di segnalare le proprie necessità agli alleati, in primis gli USA naturalmente, con le prime richieste risalenti ancora a dicembre 2020. Il fatto che la risposta americana sia stata tiepida è da imputare senz’altro ai problemi interni che gli USA stavano e stanno attraversando, ma anche alla considerazione da parte statunitense che l’alleanza con Kiev è fondamentalmente per contrastare la Russia, ed i benefici per l’Ucraina sono quasi collaterali. In quest’ottica si spiega perché inviare armamenti sia considerato prioritario rispetto a vaccini o infermieri; infatti, non è da escludere l’ipotesi che, nel più vasto scacchiere europeo, sarà necessario inasprire ancora i rapporti con la Russia, per poter giustificare un intervento che impedisca la realizzazione del Nord Stream 2, vera e propria spina nel fianco degli apparati statunitensi; l’Ucraina, con il conflitto nelle province contese del Donbass ancora latente, potrebbe rappresentare un terreno ideale su cui spingere la Russia a compiere azioni sanzionabili.
Da parte sua la Federazione Russa sembra consapevole della situazione e cerca da un lato di guadagnare quanto più margine di soft-power le sia possibile, dall’altro di fare sfoggio della sua prestanza militare, per affermare il proprio ruolo di potenza ed esercitare una forma di deterrenza, ma il tutto sempre tentando di non tagliare definitivamente i ponti con gli Stati Uniti, conscia che tornare nell’isolamento o allo scontro difficilmente le porterebbe risultati positivi.
Bruno Santorio (Centro Studi di Geopolitica e Strategia Marittima)
https://www.thelancet.com/journals/laninf/article/PIIS1473-3099(21)00156-0/fulltext
Foto: U.S. Navy / presidenza Ucraina / MoD Fed. russa