Su richiesta di alcuni lettori, abbiamo deciso di fare un’analisi estremamente sintetica dell’impatto della pandemia sul settore farmaceutico, per vedere quanto c’è di vero nella vulgata secondo cui “oltre alle società tecnologiche, le aziende farmaceutiche sono le uniche che hanno dato qualche gioia” dato che in definitiva per loro il COVID-19 è stato “una macchina da soldi”1 e un’occasione per fare “profitti immensi”2.
Che Big Pharma, cioè i grandi produttori di medicinali, siano il cinghialone da cacciare lo dicono anche proposte come quella grillina della “sospensione totale dei brevetti” allo scopo di “programmare la produzione di vaccini in tutto il mondo. L’India avrebbe una capacità dirompente a quel punto”. Peccato che certe idee, che respingiamo al mittente, vengano da ex ministri che dovrebbero sapere che - anche se l’Agenzia europea per il farmaco (EMA) ha sede nei Paesi Bassi - è il nostro Paese il primo produttore europeo di medicinali, dopo lo storico sorpasso a danno della Germania nel 2017: 31,2 miliardi di euro di medicinali prodotti contro 30,6 miliardi di euro in quell’anno.
Perché dovremmo fare il gioco dell’India (o della Cina, come in altre occasioni) e di chi non investe in ricerca e sviluppo, quando le nostre aziende sono al vertice in spese in innovazione in ambito chimico-farmaceutico? Peccato soprattutto, dato che la proposta viene da un medico oltre che ex ministro, che l’India non segua gli standard internazionali di qualità e sicurezza: chi somministrerebbe ai propri figli o genitori vaccini prodotti in impianti lontani anni luce da standard minimamente accettabili?
Ma torniamo a Big Pharma. Davvero tutto il settore si è, per così dire, “coperto d’oro”?
A dire il vero, secondo le statistiche, “la pandemia di Covid-19 ha avuto un grande impatto sul mercato dei farmaci senza obbligo di prescrizione (N.d.R. quelli da banco), registrando – sia sul lato dei consumi sia su quello della spesa – una forte flessione delle vendite, la peggiore degli ultimi 15 anni”, con un impatto pari a poco più di 2,3 miliardi di euro3.
Secondo gli addetti ai lavori, si è osservata “una decisa contrazione dei consumi… dovuta principalmente ai medicinali per la cura delle affezioni dell’apparato respiratorio il cui consumo è crollato quasi del 50% rispetto…al 2019: l’utilizzo delle mascherine, il distanziamento sociale e l’igiene delle mani insieme alle misure di contenimento del contagio con forme differenziali di lockdown e una più generale modifica delle abitudini di vita hanno ridotto significativamente la circolazione dei virus influenzali e parainfluenzali”. Il che dimostra come spesso non tutto il male venga per nuocere…
Il calo dei consumi è un effetto di breve termine e con impatto limitato rispetto al cataclisma, con effetti a medio e anche a lungo termine, costituito dalla sospensione delle sperimentazioni cliniche causata dalla pandemia: oltre 200 clinical trials in ambito oncologico sono stati stoppati, provvisoriamente o definitivamente, solo nella primavera del 2020. Di questi, quasi la metà erano nell’ultima fase.
Secondo la prestigiosa rivista scientifica Nature4, “la pandemia di COVID-19 sta sconvolgendo la ricerca clinica in gran parte del mondo”, con oltre quattro quinti delle operazioni sospese. È bene notare che si tratta non solo di progetti da miliardi di dollari ciascuno, ma anche dell’unica (e ultima) speranza per migliaia di pazienti ai quali i farmaci antitumorali esistenti non hanno dato risultati.
Sempre a danno dei pazienti oncologici, “la pandemia da COVID-19 ha ostacolato i progressi e danneggiato la qualità degli studi clinici. L'incontro online, il follow-up remoto, la consegna via corriere di farmaci e il monitoraggio remoto nell'ambiente epidemico possono aiutare in una certa misura il progresso delle sperimentazioni cliniche, ma non possono garantire la stessa qualità di prima. È particolarmente importante per la sicurezza e lo stato psicologico dei soggetti che (il personale medico, NdR) possa dedicare più tempo ed energie per garantire la qualità e il regolare progresso degli studi clinici nel periodo di pandemia da COVID-19”5. A questo non pensano nemmeno i complottisti…
Che dire, poi, del fatto che il COVID-19 ha anche intercettato una parte sostanziale degli investimenti del settore farmaceutico, con un possibile rallentamento dello sviluppo scientifico in tutti gli altri ambiti?
“Quasi un quarto degli accordi relativi all'innovazione annunciati tra febbraio e luglio 2020 erano direttamente correlati al COVID-19. Questi accordi rapidamente configurati includevano terapie (34%), diagnostica (26%) e vaccini (14%) e si concentravano in gran parte sulla scoperta e sulle collaborazioni di ricerca e sviluppo in fase preclinica e sul co-sviluppo. Nello stesso periodo, le attività non legate al COVID-19 era stata ridotta in tutte le aree terapeutiche, con un calo di circa il 23% rispetto al 2015-2019”6. Un vero tsunami per la generazione a venire la cui salute si basa sugli investimenti di oggi.
Infine, diamo uno sguardo ai numeri che contano, cioè all’andamento delle azioni e al valore delle aziende farmaceutiche, per vedere quanto “sono ingrassate” per merito della pandemia. Lo faremo prendendo come riferimento gli indici della Borsa di New York e basandoci sul dato del 20 o 21 febbraio 2020 come punto di partenza e a quello del 6 agosto 2021 per vedere come sono andate le cose…
Ebbene, vi stupirà sapere che Merck è calata quasi del 4%, Amgen del 5%, Novartis del 5,8%, Takeda è addirittura “dimagrita” del 13%. Come stupirsene, essendo queste aziende sotto la spada di Damocle della sospensione della sperimentazione clinica?
Certo, le cose saranno andate a meraviglia per chi ha lanciato i vaccini! O forse no? Pfizer, Johnson & Johnson e AstraZeneca, a dirla tutta, sono cresciute rispettivamente del 17,8%, del 15% e del 12%. Se vi sembra tanto, considerate che i due indici più importanti, il NASDAQ e il Dow Jones, sono saliti nello stesso periodo del 55% e del 21%, vale da dire più di tutti e tre i “giganti” delle vaccinazioni.
Certo, ci sono i casi di BionTech e Moderna, che però fanno storia a sé: la prima nemmeno era quotata negli Stati Uniti nel febbraio 2020 e ora ha una capitalizzazione di 108 miliardi di dollari, mentre la seconda ha visto il valore delle proprie azioni crescere di ben 27 volte in un anno e mezzo. Va detto che secondo gli analisti “la valutazione della società di biotecnologie (Moderna, NdR) è 'ingiustificabile su base fondamentale', poiché la sua analisi suggerisce che il prezzo del titolo dovrebbe essere inferiore di circa il 75% ai livelli attuali”7.
Insomma, chi ci ha guadagnato? Sicuramente, i produttori di reagenti per i tamponi. Loro sì, si sono “fatti d’oro”.
“Il valore di mercato di gruppi diagnostici come il colosso farmaceutico svizzero Roche e Abbott Laboratories con sede a Chicago è aumentato vertiginosamente grazie alla fame nel mondo per i loro prodotti. Le società di test Covid-19 sono state le grandi vincitrici della pandemia. Secondo Our World in Data, solo l'America e l'India hanno eseguito quasi un miliardo di test dallo scoppio del virus. Il boom ha contribuito a far aumentare la capitalizzazione di mercato combinata di otto dei maggiori produttori di test quotati, tra cui Qiagen, BioMerieux e Thermo Fisher Scientific, del 38% o 228 miliardi di dollari da allora, all'inizio del 2020”8.
In conclusione, amici lettori, non vi nascondo il mio stupore mentre raccoglievo, elaboravo e sintetizzavo i dati nello scoprire che come nei romanzi di Agatha Christie, alla fine il colpevole (o meglio, chi ci ha guadagnato più di tutti) è chi meno ti aspetti. E lo scopri solo alla fine.