La Storia, quella vera, non quella della conta dei bossoli, ha ripreso a correre ovunque, seguendo il tracciato fluorescente delle proiezioni di potenza; il Cremlino ridisegna mappe e confini ed assegna limitazioni alla sovranità come in Ucraina; Ankara sfida Atene sul mare; il Medio Oriente ribolle da Gerusalemme a Kabul; Pechino persegue la politica del divide et impera grazie a investimenti finanziari e pseudo interventi sanitari, malgrado le prime scottature causate dalla bolla speculativa di Evergrande; gli USA vivono il loro momento di declino mentre si riaffacciano gli spettri di una nuova guerra fredda alimentata dai fatti di Crimea.
Dama di altri tempi, avulsa dai contesti dinamici, l’Europa annaspa, paga dazio alla sua impersonalità politica che le impedisce di fornire risposte collegiali a chiunque; tra aneliti geopolitici ed aspirazioni a politiche di potenza, non c’è soggetto che non reclami, pour la Vieille Dame, un ruolo rinnovato e preminente che impedisca la sua trasformazione in inane fantoccio politico.
Nell’epoca dell’irrazionale cancel culture sarebbe opportuno ricordare che all’Europa occidentale, per porsi al centro dell’attenzione politica, sono occorsi più di 1000 anni, e che fino al XVI secolo, negli affari globali, non è riuscita a rivestire significativa importanza. Comprensibile come i cambiamenti figli del biennio 89/91 non abbiano favorito, per gli attori dell’Europa centrale, un’automatica e celere comparazione con quelli occidentali. È un problema di maschere, di frammentazione della personalità, di comportamenti contingenti, di saper assumere di volta in volta la forma dell’acqua.
La geopolitica è strategia, è politica di potere arricchita dei territori e dei loro attori amalgamati e coesi al loro interno in virtù di una coerente narrazione storica e sociale e con, sullo sfondo, rapporti di potere caratterizzati dallo stigma dell’incontro/scontro di civiltà. Focus sull’Europa centro orientale, dove la geopolitica gioca con le conseguenze degli spostamenti determinati dal domino delle relazioni internazionali.
Con la Russia, l’UE, dopo l’annessione della Crimea e l’attrito con l’Ucraina, ha tentato avvicinamenti bilaterali ispirati all’insensata auspicabilità e non alle reali possibilità diplomatiche, cosa che ha evidenziato una carenza strategica moscovita, sottolineata dai riconoscimenti di un autoritarismo votato alla limitazione degli spazi marittimi ucraini; un quadro generale che ha sottolineato sia l’instabilità determinata dalle attività militari in Crimea ed a supporto della Bielorussia, sia la necessità e l’opportunità europee di sostenere e tutelare l’integrità territoriale di Georgia e Ucraina dove, in ottica filorussa, Kiev ha tentato la strada di una politica multivettoriale1, garanzia di un impossibile non allineamento resa inverosimile dalla stessa conformazione geografica ucraina che la porta ad affacciarsi, attraverso il Mar Nero, a Caucaso e MO; l’Europa a sud est non può del resto essere intesa come un limes terminale, ma come uno spazio intermedio tra Europa, Asia e Medio Oriente. E proprio l’Ucraina, che è priva di una forza nucleare propria cui ha ironicamente rinunciato in cambio di garanzie sul possesso della Crimea da parte di USA, UK e Russia, ed il cui nome non a caso significa area di frontiera, è uno dei Paesi su cui soffermarsi per poi estendere il raggio di analisi; avvinti agli USA dal 20142, durante il quale le forze di Kiev abbandonarono il campo crimeano senza sparare un colpo, gli ucraini costituiscono la base dell’antemurale con la Russia, una minaccia sì incombente contro la quale schierare ora uomini finalmente combat ready, ma sovrastata dalla querelle indo-pacifica, palestra di realismo geopolitico.
La sottile linea rossa moscovita è più che consolidata militarmente al nord malgrado gli Stati baltici, che devono giocoforza confidare in un impegno americano pari a quello che, dopo il ‘45, ha poi garantito la permanenza nella Nato di Turchia e Grecia pur con l’abbandono al proprio destino della Polonia; la red line al centro è causa di contesa con Ucraina e Bielorussia; sul Mar Nero fino al Bosforo, ed in aree dove, ultimamente, si è perigliosamente avventurata la Royal Navy, è corda che vibra per le incertezze dovute all’ondivaga politica turca. Il tratto russo si stende sul fianco orientale dell’Alleanza, e tocca Polonia, che non ha esitato ultimamente a dotarsi di droni turchi Bayraktar, e Romania, dove sono ubicate le basi missilistiche Aegis Ashore, idonee al doppio impiego difensivo/offensivo, le batterie missilistiche THAAD, e basi aeree troppo distanti dalle coste per poter essere oggetto di attacchi aeronavali.
In quest’ottica tra i progetti infrastrutturali del Trimarium3 vi è la ferrovia Rail2Sea la cui rilevanza non risiede tanto negli scambi commerciali che dovrebbe agevolare tra Danzica e Costanza, quanto nella possibilità di trasferire rapidamente equipaggiamenti militari lungo il fianco est della Nato. Vista l’impossibilità russa di realizzare un’opera speculare, rimane il caveat moscovita circa il possibile ingresso Nato in Ucraina, ideale spada di Damocle missilistica. È tuttavia proprio grazie al Trimarium che gli USA, sull’asse polacco romeno, possono monitorare le ambizioni dell’iperattivo alleato tedesco, mentre dalle basi in Atlantico e Mediterraneo possono esercitare la loro talassocrazia su Artico e Mar Nero, sostenendo il fronte presidiato da Norvegia, Finlandia e Repubbliche Baltiche, la cui perdita non è stata mai metabolizzata dal Cremlino.
La strategia russa nel Mediterraneo orientale, basata prevalentemente su una diplomazia simbolica, ricerca vantaggi e non soluzioni condivise, dà spunti di politica energetica, offre vacue promesse finanziarie, soffia sul fuoco di un più ampio disegno volto a destabilizzare la coesione di Nato ed UE; gli interessi del Cremlino puntano al rafforzamento della dipendenza energetica europea, un consolidamento che passa per Turchia4, Cipro e Grecia, entità politiche più facilmente vulnerabili.
Due i Paesi su cui ruotano interessi e strategie: Polonia e Ucraina; la prima, dal punto di vista Nato, è deputata alla proiezione di potenza nell’area nord a garanzia della tenuta in caso di attacco frontale e del collegamento con i Paesi alleati sul Mar Nero; la seconda, con la Bielorussia ormai rientrata nella sfera moscovita, è entrata nel pieno della contesa con la Russia, forte del controllo esercitato su Transnistria e Donbas, ed ancora attraversata da un conflitto a bassa intensità in via di riacutizzazione5,ed attrice degli accordi di Minsk del 2014, in cui la Russia risulta paradossale patrona dei russofoni ribelli e non effettiva controparte. Di fatto, la dissoluzione dell’URSS ha generato uno spazio conflittuale ancora più ampio, che parte dai Balcani, tocca il Mar d’Azov e giunge alle repubbliche caucasiche: l’arco di crisi di Brzezinski.
Ad oggi la Polonia si pone quale punto di riferimento di una sfera d’influenza anglosassone estesa su Mar Nero, Baltico e Adriatico, volta a contenere joint venture russo tedesche, rischiose per il potere marittimo americano congiunto al dominio dell’heartland. Sotto questa prospettiva anche l’Ucraina, in ottica Brzezinski, diviene Stato cardine per Mosca, alle prese sia con la nuova politica dell’amministrazione Biden sia, obtorto collo, con la necessaria ed interessata sinergia con la Cina di Xi; in Ucraina, peraltro, la vittoria presidenziale dem americana è stata accolta con senso di liberazione, visto il coinvolgimento di Kiev nel processo di impeachment a carico di Trump, per le attività esperite da Hunter Biden, figlio del presidente6.
Al momento, se da un lato gli USA puntano al monitoraggio alla lotta alla corruzione, dall’altro il presidente Zelensky7, che pure si sta rendendo protagonista di iniziative legislative ad hoc e di cui si teme l’instabilità politica dovuta al passaggio da uno spiccato populismo ad un irrigidimento realista tipico del post sovietismo, sta tentando il contenimento dei filo russi sul proscenio interno, unitamente alla richiesta di un accordo di cooperazione interessante sicurezza e difesa, inclusivo di assistenza militare, con un’ipotesi di Membership Action Plan per la Nato, puro fumo negli occhi per il Cremlino che non vuole trovarsi accerchiato sul lato occidentale.
In una sorta di parallelismo storico, c’è da chiedersi se esista un nuovo lungo telegramma capace di innescare una reazione da parte degli USA, da un lato scoperti nella loro essenza politica dall’esperienza afghana, capace di ingenerare molti dubbi circa la loro affidabilità, e dall’altro del tutto privi di personalità politiche coerenti, in un’ottica per cui la querelle della Crimea, destinata a trasformarsi in base strategica russa, dovrebbe invece servire a far comprendere a tutti, Cina compresa, l’intollerabilità delle unioni forzose.
Va detto che, a fronte dell’auspicato ingresso ucraino nell’Alleanza, John J. Mearsheimer (foto) ha ipotizzato il mantenimento della neutralità di Kiev per fare dell’Ucraina la nuova Austria, in modo da plasmare un nuovo stato cuscinetto cui, tuttavia, dover poi spiegare il senso del ridicolo ed imbarazzante ripensamento occidentale dopo aver deliberatamente provocato una drammatica crisi di governo.
In Ucraina, dove l’azione russa in difesa dello spazio post sovietico ha infranto gli equilibri stabiliti dopo il ’90, e dove Mosca ha recentemente ammassato uomini e mezzi per quelle che sono state definite come semplici esercitazioni ma che hanno ridestato le preoccupazioni atlantiche per le sorti di Kiev, Putin gode di un indubbio vantaggio geopolitico, ma non può certo affidarsi alle perdute capacità strategiche sovietiche. In ogni caso, le esercitazioni sono state utili per testare le reazioni americane verificando così l’effettiva entità di un possibile sostegno all’Ucraina; nonostante gli USA abbiano ribadito il supporto all’Ucraina nel caso di un’ipotetica invasione del Donbas, un supporto americano non è scontato.
Dal punto di vista russo, un eventuale attrito con Kiev sarebbe poco conveniente secondo una valutazione costo-efficacia, dato che Mosca può trarre maggiori ricavi grazie ad una diplomazia aggressiva basata su di una guerra ibrida.
A partire dal 2014 l’Ue, con la Polonia sostenuta dagli USA, ha esteso con più decisione la spinta integrativa ad est, intaccando la dimensione spaziale legata agli interessi securitari russi; l’errore è consistito nell’aver puntato su una pretesa debolezza di Mosca, tale da far accettare al Cremlino la perdita della sua zona cuscinetto, alla stregua di quanto avvenuto con la ritirata dall’Europa dell’est, invece di tenere conto dei reali interessi del Cremlino, e lavorare per offrire congrue compensazioni per la perdita di influenza. Se l’Ucraina desidera il ritiro delle forze russe, il Cremlino chiede elezioni locali e status speciale regionale, in un contesto qui destinato ad un comodo congelamento di ogni tipo di iniziativa, ed altrove ad un’approfondita riflessione realista, come nel Nagorno Karabakh, dove Mosca ha permesso la sconfitta dell’alleato armeno.
Il difficoltoso evolversi delle relazioni russo americane è riscontrabile anche nei rapporti riguardanti il North Stream 2, gasdotto deputato al trasferimento di risorse energetiche alla Germania, che ha frammentato l’unità europea sul fronte delle relazioni interstatali, attraverso il Baltico, bypassando Polonia, peraltro molto scettica sulla costosa transizione green, ed Ucraina, così private di introiti e di significative capacità negoziali; di fatto, mentre l'Ucraina si avvia verso il quarto decennio di indipendenza politica, il suo settore energetico non assicura un adeguato sostegno finanziario in termini di entrate e potenziamento economico. Varsavia intanto intende indirizzarsi verso altre opzioni che consentano approvvigionamenti da altre fonti.
È utile ricordare la progettazione del Baltic pipeline project che, collegando la Norvegia alla Polonia via Danimarca, consentirà di evitare la forca caudina degli accordi con Gazprom; poiché la capacità del BPP sarà superiore al fabbisogno nazionale, risulta evidente come la Polonia miri a trasformarsi in un hub energetico regionale da cui far attingere anche altri partner europei, in primis l’Ucraina. Quel che più colpisce, nello specifico frangente, è il ruolo geopolitico assunto dal gas, un tempo parente povero dei combustibili fossili.
Il 2021 diventa quindi un anno cruciale per via del completamento del North Stream 2 che complica il futuro dei gasdotti ucraini. Dopo la rinuncia statunitense alle sanzioni verso le società coinvolte nella realizzazione del North Stream 2, si sono palesate tutte le preoccupazioni sull’Ucraina, paese di transito che tenta di far quadrare i suoi conti facendo appello ad una forma di economia controllata senza ricorrere al mercato ma ad approcci populisti, e che cerca impossibili soluzioni a breve termine, impossibili senza una chiara strategia di spesa. In ogni caso, in ambito internazionale molto è cambiato dal 2009, e l’Europa è oggi molto più pronta nell’affrontare interruzioni delle forniture di gas; tra l’altro va anche ricordato come sia variata la disponibilità globale di LNG in considerazione delle esportazioni americane, australiane e mozambicane che, comunque, non possono ancora insidiare il primato russo.
Tenuto conto di abbondanza del prodotto e competitività dei prezzi, si sta manifestando una riduzione del potere negoziale russo, per cui nessun Paese europeo è costretto a dipendere esclusivamente da Mosca per le proprie forniture di gas, benché la Russia non abbia rinunciato ad esercitare la sua influenza geopolitico energetica con il North Stream.
Breve ma indispensabile considerazione; al di là delle valutazioni geopolitiche, la sicurezza degli approvvigionamenti energetici risiede nella diversificazione di fonti e trasporti; con North Stream, Russia e Germania, che ha deciso la dismissione di impianti nucleari e a carbone, dipenderanno da un’unica infrastruttura, potenziale oggetto di attacchi hacker, come accaduto alla Colonial Pipeline americana8.
La conclusione della vicenda politica del North Stream con il compromesso tedesco americano ad opera dell’amministrazione Biden, ha comunque creato malumori ucraino polacchi; se la Germania, in cui poco avvedutamente gli USA confidano per contenere la Cina, è riuscita ad ottenere di non chiudere i rubinetti anche nel caso in cui Mosca ricattasse Kiev con l’energia, è pur vero che si è impegnata a finanziare le infrastrutture del Trimarium, compensando l’Ucraina per i mancati introiti dai diritti di transito del gas: peccato non sia stato stabilito come ed in quale misura, specialmente ora che gli americani hanno intimato di non interferire con azioni di lobbying parlamentari contro North Stream 2.
Insomma, se per Washington Berlino val bene una messa, bisogna ancora comprendere quanto valga Kiev, oltre alle generiche rassicurazioni ed agli aiuti militari.
La situazione di Polonia, Paese del socialismo reale, ed Ucraina, si comprende del resto dalla loro valutazione storica e geografica; l’Ucraina nacque come Repubblica sovietica e pur costituendo il cuore slavo dell’URSS insieme con Russia e Bielorussia, non è mai stata immune da uno spiccato nazionalismo affine a quello baltico, che ha ciclicamente riportato in auge Stepan Bandera, padre fondatore dell’esercito insurrezionale ucraino nel 1942 e figura politicamente molto controversa dato il suo collaborazionismo.
Quella di Ucraina e Polonia è peraltro una storia accomunata dal sangue di eventi tragici e rappresaglie come a Volyn ed in Galizia, cui aggiungere, una per tutte, la decimazione degli ufficiali polacchi a Katyn per mano del grande fratello russo che con Austriaci e Prussiani, nel tempo, ha contribuito a condizionare gli eventi.
Anche la Polonia, pronta a schierare mezzi corazzati sul confine orientale, è un antemurale con l’oriente russo, sostenuta da una politica decisa ed orientata secondo le indicazioni fornite dall’appartenenza al Gruppo di Visegrad, al Trimarium, necessario a separare la Russia dalla Germania e che coltiva relazioni con Kiev, ed al rapporto con gli USA, di certo più soddisfacente del Triangolo di Weimar del 1991, con Germania e Francia fisiologicamente poco avvezze alla condivisione di vantaggi e benefici, a fronte dell’impegno russo nel consolidare organizzazioni e reti votate alla guerra ibrida. Non c’è dubbio quindi che le relazioni bilaterali polacco-ucraine riflettano particolari complessità e desideri di più stretta e realisticamente conveniente partnership ispirata dalla reciproca percezione di rilevanti capacità strategiche, ma che richiedono il superamento, operato dalla coscienza collettiva, degli eventi storici precedenti. Pragmaticamente, Varsavia e Kiev devono coltivare interessi comuni che prescindano da sentimentalismi.
La preservazione di Stati-cuscinetto è di stretto interesse polacco; per l’Ucraina, la Polonia costituisce il miglior sistema possibile di avere una sponda occidentale emancipandosi dal giogo russo. Se Varsavia è cosciente che rimettere in gioco il confine orientale riaprirebbe contese simmetriche circa la linea polacco-tedesca dell’Oder-Neisse, Kiev è consapevole che per sopravvivere deve coltivare il riconoscimento internazionale dei suoi confini, ragion per cui la stabilizzazione della frontiera polacca rimane di importanza capitale, come rimane fondamentale mantenere lo status quo geopolitico conseguente alla dissoluzione sovietica, tenendo conto del fatto che la politica estera polacca si fonda su un complesso di rapporti bilaterali autonomi. Washington, che ha individuato in Varsavia il catalizzatore delle riforme infrastrutturali dell’est, è convinta che, malgrado i tentennamenti, un’Ucraina indipendente possa essere la migliore garanzia contro il ritorno imperiale russo.
La mappa europea, se analizzata in direzione Nord-Sud, porta a collegare il Baltico di Danzica con il Mar Nero di Odessa, con una serie di direttrici protese da e per Berlino, Varsavia, Cracovia, Kiev. L’elemento principe che coagula gli interessi ucraino polacchi è il mercato energetico, dove Varsavia e Kiev stanno cercando di opporsi a North Stream 2 consapevoli, almeno loro, del fatto che si tratta di un progetto indirizzato ad aumentare l'influenza energetica russa in Europa. Al momento, le uniche flebili chance che rimangono ai due Paesi, sono indirizzate ad impedire la capacità di utilizzo del gasdotto a pieno regime, anche in considerazione del deciso appoggio tedesco all’operazione. La politica regionale, in quanto ad importanza, si estende al Baltico, e Polonia, Lituania e Ucraina hanno formato il Triangolo di Lublino con l’intento di espandere la cooperazione e, soprattutto, di prevenire le minacce ibride e sostenere l’Ucraina nelle sue aspirazioni Nato e di accesso all’UE.
Chiudiamo la trama, partendo dalla considerazione che le scelte politiche sono accettabili solo se sono alla base di una narrazione razionalmente sostenibile che compendi gli eventi in un ambito temporale più esteso. I valori ideologici meglio lasciarli in panchina. L’est Europa, pur riconosciuto importante, è al centro della politica di potenza degli egemoni in carica; i problemi insorgono quando questa politica mostra i suoi caratteri disforici, penalizzando gli uni per favorire gli altri, salvo poi premiare in via subordinata i primi, lasciandoli però nel frattempo di guardia sulle mura dell’ennesima Fortezza Bastiani.
Gli USA, specialmente nella loro versione dem, desiderano tutto: la sincera alleanza tedesca, quiete relazioni con il Cremlino, una competizione controllata con il Dragone, la perfezione economico-sociale, magari anche la pace ecumenica nel mondo; egemone giovane e rampante ma privo di radici estese, l’America continua a non tenere conto della storia altrui, delle spinte che provengono dal profondo, delle ragioni di imperialismi che hanno animato la storia per secoli, e cerca di barcamenarsi secondo un comprensibile ma poco elegante cerchiobottismo realista di stampo internazionale che, tra North Stream e Crimea, ha rievocato i fantasmi di un appeasement che la Polonia ancora rammenta dolorosamente bene.
In una crescente carenza di sicurezza, mentre gli attori politici occidentali seguono strategie all’insegna del perseguimento del singolo vantaggio nazionale, gli Stati dell’est, provati da una storia quanto mai dura e tagliente, compensano la mancanza di indirizzi unitari con associazioni quali quella del Trimarium.
Mentre l’America divaga, e l’Europa politicamente si scinde, l’est si interroga su un futuro quanto mai difficile da interpretare.
1 Sostenuta dall’allora presidente Victor Yanukovich
2 Nel 2014 il conflitto si è originato a seguito della rivoluzione filo-occidentale di Euromaidan, che ha portato alle dimissioni e alla fuga del presidente filorusso Viktor Janukovyč
3 Repubbliche baltiche, Polonia, Cechia, Slovacchia, Austria, Slovenia, Croazia, Ungheria, Romania e Bulgaria
4 La Russia è riuscita a razionalizzare le sue differenze con la Turchia tanto da sviluppare una joint venture, sia pur traballante, in Siria e nel Caucaso meridionale, ed all’insegna della concorrenza in Libia e Ucraina. L'acquisto turco del sistema missilistico russo S-400 ha determinato una crisi in ambito NATO, e l'espulsione turca dai programmi F-35 e Patriot.
5 Da ricordare le forze separatiste delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk
6 Trump è stato accusato di aver ricattato Kiev sugli aiuti militari per spingere il governo ucraino a indagare su Biden – all’epoca aspirante candidato presidenziale – e suo figlio Hunter, membro del consiglio d’amministrazione della Burisma, azienda petrolifera ucraina.
7 Zelens'kyj interpreta nel 2015 il ruolo di presidente ucraino nella serie televisiva Sluha Narodu (letteralmente, Servitore del popolo) incarnando un capo di Stato onesto e capace. Nel marzo 2018 nasce un partito politico omonimo creato dallo staff di Kvartal 95, produttrice della serie.
8 Da ricordare i 4 gasdotti nel Mediterraneo sud, due (Green Stream e Trans-Med) che raggiungono l’Italia e due (Medgaz e Maghreb-Europe) che raggiungono la Spagna. Di prevista realizzazione: due nel quadrante baltico: l’NSI West Gas (Europa occidentale), l’NSI East Gas (tra Baltico, Adriatico, Egeo, Mediterraneo orientale e Mar Nero), il Southern Gas Corridor (destinato a collegare Caspio, Asia centrale, Medio oriente e Mediterraneo orientale all’UE) e il BEMIP Gas (per connettere i tre Stati baltici e la Finlandia). Va aggiunto anche il TurkStream che connette Russia e Turchia
Foto: U.S. Army / Kremlin / John J. Mearsheimer / The Presidential Office of Ukraine