La crisi russo ucraina, risvegliando sopiti ricordi degli anni ’30 del ‘900, ha vellicato il desiderio di ulteriori sponde; abdicato a quella libica, la politica italiana si è orientata verso la francofona Algeria.
Solo un desiderio? No, una necessità da canna del gas. E non è una battuta. Anche perché approcciare l’Algeria, rentier state1 petrolifero e gasiero immenso, soggetto politico accentratore ed autoritario caratterizzato da sporadiche spinte autonomiste e pungoli jihadisti, è tutt’altro che di facile inquadramento; l’esposizione alle oscillazioni dei mercati degli idrocarburi, ha posto in rilievo una carenza economica strutturale che ha evidenziato la mancanza di protezione sociale per le ricadute interne.
La crisi economica innescata dalla pandemia si è accompagnata ad una riduzione della produzione petrolifera con sospensione e taglio sia dei progetti non essenziali che dei costi di produzione. Le promesse di consolidamento della democrazia fatte proprie dal presidente Abdelmadjid Tebboune, peraltro colpito in prima persona dal Covid e per questo trasferito in Germania per le (contestate) cure necessarie, sono ancora di là dall’essere realizzate. L’esecutivo algerino, cui è stata imputata una scarsa attenzione alla campagna vaccinale, è un governo tecnico plasmato per ridurre l’influenza dei partiti e permettere il contenimento dei movimenti di protesta.
È solo dal ’56 che la scoperta del petrolio nel sud del paese ha permesso una redistribuzione delle rendite che avrebbero dovuto facilitare la pacificazione di un nord da sempre più agitato e che ha attinto a piene mani senza permettere però un’adeguata compensazione socio economica nel meridione; non da ultimo la querelle del gas di scisto2 ha costituito elemento di mobilitazione popolare nelle zone del sud mosse dal timore dell’inquinamento delle falde acquifere indotto dalla pratiche estrattive.
Anche la politica estera risente del momento di crisi, tanto da dover fare annotare l’attrito con il Marocco, vivo dal ‘57 per l’irrisolta controversia relativa al popolo Saharawi il cui governo, in esilio per effetto dell’occupazione marocchina del Sahara Occidentale, è ancora oggi ospitato nel campo profughi di Tindouf; un attrito che Tebboune ha concretizzato ponendo fine all’accordo che legava Algeri e Rabat attraverso il gasdotto MEG3 che, attraverso i territori marocchini, ha fornito gas a Spagna e Portogallo. Questo evento ha portato l’Algeria da un lato a fornire comunque ai partner iberici le più ampie rassicurazioni circa la continuità del servizio e, dall’altro, direttamente da parte dello stesso presidente algerino, ad accusare il Marocco e il suo alleato, l’entità sionista4, di avere compiuto atti ostili contro l’Algeria, dato il sostegno offerto ad una sedicente organizzazione terroristica ritenuta responsabile dei roghi che hanno devastato l’entroterra algerino.
Comprendere chi davvero comandi in Algeria non è facile, visto il tipo di apparato di potere in cui l’Esercito, pur avendo rivestito un ruolo determinante, è solo uno e non l’unico degli elementi fondanti, rinvenendo gli altri nel passato coloniale, nei trascorsi della guerra di indipendenza, nel mescolarsi di politica ed economia, cui hanno fatto da contraltare prima l’ascesa del FIS5, e poi i recenti emendamenti costituzionali.
Uno stato che non ha mancato di marcare unilateralmente l’area di influenza per quanto riguarda la sua ZEE in una zona caratterizzata da una notevole rilevanza marittima per la nostra economia; uno stato comunque così presente nella problematica palestinese, da proporsi tra i principali finanziatori con diversi milioni di dollari.
Anche i rapporti con la Russia non vanno sottovalutati; tra le astensioni al voto dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite si è dovuta registrare quella algerina che ha marcato un’ambiguità contrastante le posizioni espresse dagli altri paesi d’area che hanno condannato l’aggressione di Mosca. Non c’è dubbio che la cooperazione militare sia centrale nelle relazioni russo algerine, visti i rapporti intrattenuti e gli armamenti forniti, tutti elementi che testimoniano priorità e interessi comuni sia in ambito petrolifero6 sia in ambito politico regionale.
Sul fronte del gas la situazione appare notevolmente più complessa, visto che è sull’Algeria che tanti paesi contano per colmare il gap creato dall’interruzione delle forniture russe, anche in funzione delle assicurazioni fornite da Sonatrach7, l’agenzia idrocarburica algerina, gruppo integrato controllato dallo Stato che opera in Africa, Europa, Sudamerica, con oltre 115 mila dipendenti; del resto, avrebbe mai potuto affermare il contrario? Eppure non appare così facile, visto che Algeri non sembra in grado di supplire pienamente allo stop di forniture, per effetto della carenza di politiche di ristrutturazione e diversificazione del sistema gestionale del settore.
Malgrado ciò, Toufik Hakkar, CEO di Sonatrach ha confermato l’instradamento del gas richiesto dall’Europa attraverso il gasdotto Transmed8 (o Mattei), che collega l’Algeria all’Italia attraverso la Tunisia ma ad una condizione, ovvero che le ulteriori forniture di gas naturale o di gas naturale liquefatto rimangano dipendenti dalla disponibilità residua dopo la soddisfazione sia della domanda interna sia degli impegni negoziali nei confronti di altri contraenti, tenendo conto che il gasdotto lascia una capacità di 10 miliardi di m3 da esportare, con unità di liquefazione che funzionano al 50% delle possibilità.
Occorrerebbe l’unica cosa che ora più manca: il tempo, 4 o 5 anni, per permettere tecnicamente la preparazione all’invio di quantità maggiori di gas, tenendo in debito conto investimenti ed introiti, ed il ritorno di Sonatrach in Libia purché in sicurezza.
Il problema è che, per quanto riguarda il greggio, Sonatrach porterà i prezzi a superare i 100 dollari per barile a medio termine per effetto del basso livello di investimenti in R&S, scenario che impone la considerazione della tenuta del sistema algerino nel futuro prossimo; nel 2019 le riserve idrocarburiche sono risultate in calo progressivo, e si è cercato di contenere il decremento delle entrate ricorrendo all’ingresso di capitali stranieri. Il reiterarsi della criticità delle riserve, in particolare di gas naturale, pone dunque un concreto problema di sicurezza energetica per tutti i Paesi dell’UE.
Per quanto riguarda gli aspetti geopolitici, tra monarchie del Golfo e Turchia ed Iran, Russia e Algeria condividono le stesse linee d’azione, con Mosca che ha saputo mantenere buoni rapporti con gran parte dell’area MENA che, comunque, non potrà non subire i peggiori effetti dell’invasione russa, relativamente ad una forte insicurezza alimentare9.
Il non condannare l'attacco russo è di fatto funzionale al ménage regionale che suggerisce l’allineamento con gli USA evitando però scontri con Cina o Russia.
Torniamo all’Europa, dove l’assenza di una politica energetica comune è andata a detrimento della visione continentale, con la scelta di favorire l’esposizione alle importazioni secondo una logica economica che non considera la geopolitica, e da cui traspaiono tutti gli errori dovuti alla mancata diversificazione strutturale che mette nell’angolo l’UE, ridotta a strumento di contrattazione parallela.
Come accaduto per la crisi politico militare, anche quella energetica affonda le sue radici in irrazionalità divenute concrete. Si può fare a meno dell’energia che potrebbe non essere più erogata? Molto difficile, costoso e sicuramente non in breve tempo. L’ipotesi meno plausibile contempla l’improbabile ed integrale rispetto dei contratti a lungo termine con l’utopica attuazione del Green Deal.
Ora la Tassonomia. Nonostante la contrarietà formale, è ovvia la necessità di prevedere un sistema combinato energetico gas-nucleare, non fosse altro che per difendere gli investimenti già lanciati; rifiutare acriticamente l’una o l’altra soluzione sarebbe un nonsense, se si guarda agli obiettivi 2030 e 2050. In Italia, mai come ora, si dimostra dunque indispensabile sfruttare il gasdotto TAP, diversificando le fonti di approvvigionamento. Il problema è avere chiari obiettivi e conseguenti investimenti, correlati alla difesa del sistema produttivo, impresa non da poco.
Cosa può mettere sul piatto il nostro Paese? La Mattei’s Legacy lancia il suo piano di sicurezza energetica nazionale: la diplomazia ENI a sostegno della Presidenza del Consiglio e della Farnesina con contatti mirati in Algeria, Qatar, Congo, Angola, dove le relazioni sono consolidate grazie al CEO Descalzi, uno dei pochi italiani in grado di sedersi con cognizione di causa a tavoli negoziali così complicati. Esaminiamo rapidamente i problemi affrontati; intanto servirà tempo. In Algeria, Egitto e Qatar la produzione ENI andrà implementata con nuovi investimenti e licenze. In Angola e Congo ENI prevede due impianti di liquefazione con una produzione fino a 2 milioni di tonnellate l’anno, pronti per l’Italia però dopo il 2023.
Rimangono due punti dolenti, molto: la Libia, a cui la guerra civile ha mozzato la produzione del Green Stream, e la produzione nostrana, scesa a 3,3, miliardi di m3 ed assolutamente da raddoppiare, con buona pace dei riottosi.
Secondo le ultime stime di Snam10, l'Algeria è diventato il primo fornitore del nostro paese, con la Russia al secondo posto seguita dall’Azerbajian, grazie alla Tap, osteggiata in Italia e che l’Europa vuole implementare.
Rumors. Secondo un parere da non sottovalutare di Platts Analytics, nel 2022 l’Algeria potrà fornire all’Europa altri 7 miliardi di metri cubi di gas attraverso il TransMed, ma con diversi elementi da considerare: l’instabilità politica interna, che potrebbe incidere sulle forniture secondo gli stilemi ex sindrome libica; la crescente domanda nazionale di gas, che riduce le disponibilità per l’export; il bisogno di ulteriore tempo per esplorazione, sviluppo, investimenti in grado di incrementare la produzione; gli stretti legami diplomatici con Mosca.
Tenuto conto che l’Algeria non ha investito in energia rinnovabile, riesce difficile capire dove possa reperire una quota residua di prodotto da destinare all’export e, soprattutto, dove e come possa acquisire capitale per gli investimenti per la diversificazione, vista l’incisività di spesa e consumi interni che assorbono non meno di 68 miliardi di m3 annui, senza contare gli altri 20 miliardi di m3 di reimmissione di gas nei pozzi di idrocarburi per mantenere attivi i giacimenti.
Al momento il calo della produzione di gas naturale algerino sta inducendo alla negoziazione di contratti a 10 anziché a 20 anni ma con condizioni variabili data l’entità dei prevedibili (ed irrinunciabili) introiti determinati dall’aumento dei prezzi; inevitabile dover ricorrere alla complessa arte del compromesso, per cui da un lato ENI garantirà il rafforzamento della capacità di estrazione, e dall’altro ricorrerà a contratti spot a (salati) prezzi correnti.
Al netto delle difficoltà di un risorgente ed ipotetico East Med in grado di portare gas israeliano attraverso le turbolente acque mediterranee orientali, sul tappeto rimangono aspetti da dover considerare con attenzione: capacità tecniche, disponibilità effettiva di prodotto, coperture finanziarie, persistenti instabilità politiche regionali.
Con la più disarmante sincerità, viste le evoluzioni in corso, riteniamo sia più concreto e saggio fare affidamento, come sempre, sulle pragmatiche capacità dell’establishment ENI, e su una diversificazione delle fonti difficile, ma indispensabile.
1 L’economia algerina è basata prevalentemente sul settore del petrolio e del gas, con una quota tra il 95% e il 98% delle entrate da esportazioni, il 75% del bilancio statale ed oltre un terzo del PIL del Paese.
2 Si è manifestato un interesse per lo shale gas nell’ambito di partnership con società americane
3 Maghreb-Europe Gas Pipeline
4 Riferimento a Israele
5 Fronte Islamico di Salvezza
6 Da ricordare la cooperazione bilaterale si è approfondita con un Memorandum d’intesa tra Gazprom, Lukoil e Sonatrach, più gl accordi nucleari civili con Rosatom
7 Nel 2018 Sonatrach ha acquisito la proprietà della raffineria di Augusta (SR) da Exxon Mobil, con un’operazione che ha destato sorpresa per il valore simbolico nei rapporti tra Algeria e USA.
8 Le principali importazioni di gas naturale provengono dalla Russia attraverso quattro direttrici verso l’Europa settentrionale, centrale e meridionale. Il passaggio settentrionale sarebbe stato costituito dal gasdotto Nord Stream, che attraverso il Mar Baltico doveva raggiungere la Germania per articolarsi in due diramazioni a sud e ovest. L’altro gasdotto settentrionale Russia-Europa è Jamal. Si biforca in Bielorussia: verso ovest in direzione di Polonia e Germania, verso sud attraverso l’Ucraina per raggiungere Slovacchia e Austria. La rete meridionale avrebbe dovuto articolarsi nel progetto South Stream sostenuto da Gazprom, Eni, Edf e Wintershall, con un gasdotto attraverso il Mar Nero e una diramazione Balcanica in direzione Italia e Austria. La direttrice centrale del gas russo è imperniata sulla rete di trasmissione ucraina.
9 Ucraina e Russia forniscono circa un quarto delle esportazioni mondiali di grano
10 Società a controllo pubblico che gestisce la distribuzione di metano
Foto: ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale