La politica estera non rallenta, pur se sollecitata da qualsiasi situazione conflittuale si manifesti. Spostando il focus verso l’Asia Centrale si va a toccare un’area di importanza significativa ma di non facile presa.
Le cinque repubbliche ex sovietiche di Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan e Turkmenistan, riverberando i riflessi della guerra ucraina, si presentano come un punto di faglia dove strategia e risorse energetiche attirano i maggiori soggetti politici. L’ombra del Cremlino nel tempo ha continuato ad oscurare il profilo geopolitico di una regione versata per l’autocrazia e tuttavia incapace di prevenire le contestazioni manifestatesi prima nel 2005 in Kirghizistan; poi in Uzbekistan con la sanguinosa repressione sfociata nella strage di Andijan1; dopo in Kazakistan con l’intervento della CSTO a guida russa nel 2022. Il problema risiede nell’impermeabilità di un sistema di potere capace di innescare una reazione che, ubbidendo al terzo principio della dinamica, si sviluppa in modo uguale e contrario e che alimenta un’opposizione clandestina fondamentalista, agevolata nelle sue motivazioni dal dissesto sociale seguito alla fine del relativo welfare comunista.
È innegabile che gli anni sovietici abbiano lasciato il segno, anche per quanto riguarda aggregazione dei gruppi etnici e laicizzazione della società; il tutto ha condotto i Paesi dell’area a riscoprire o ad inventare la propria identità nazionale dato che nessuno di essi era mai esistito nell’ambito dei propri confini odierni.
La scoperta post sovietica di giacimenti idrocarburici ha parzialmente alleviato la situazione socioeconomica causando però un aumento delle sperequazioni sociali e squilibrando la situazione politica regionale, che ha rimarcato la rilevanza del bacino del Caspio, prima di stretto e chiuso appannaggio russo iraniano, ora apertamente corteggiato da Kazakistan, Turkmenistan e Azerbaigian.
È la geografia a comandare e dispiegarsi: l’Asia centrale è circondata da attori globali e regionali, separati dall’elemento di instabilità afghano, e con le proiezioni di potenza Indo Pakistane, cosa che deve far costantemente rammentare come l’area sia il più rilevante punto di intersezione mondiale di potenze nucleari. Il rischio che le instabilità di origine socio-economica divengano funzionali ad una prospettiva di sicurezza militare è fondato, tanto da non poter dare per impossibile l’affermazione, sul medio-lungo periodo, di Cina o di elementi fondamentalisti sostenuti dal Pakistan.
Ai tentativi di stabilizzazione americana successivi all’11 settembre, si è contrapposta la singolarità di un’area eterogenea e frammentata che replica le sue dinamiche nella provincia cinese dello Xinjiang (non a caso Turkestan orientale), residenza di più di un milione di kazaki. A fronte della crescente presenza cinese, che definisce i confini orientali della regione, si impone la presenza islamica quale elemento culturale unificante, benché l’atteggiamento generale verso un utilizzo strumentale della religione nella vita pubblica sia molto controverso. L’Islam politico marca la zona uzbeka, dove il regime sostiene un nazionalismo fondato sugli elementi musulmani della tradizione; un islamismo ritenuto altrove, pur nella sua marginalità a seconda dei casi, minaccioso fattore da reprimere ed il cui contenimento è funzionale ad una leggenda che rende questi paesi appetibili agli investimenti occidentali.
Per Mosca l’Asia centrale rimane un serbatoio strategico di risorse sia in termini economico-securitari, sia per il capitale umano, vista l’ingente massa migratoria che si è spostata verso il nord russo, anemizzato da un sensibile crollo demografico. Per il Cremlino l’Asia centrale rappresenta la piattaforma da cui impostare la politica estera indirizzata al mondo musulmano2, visto anche l’arrivo delle forze americane e la competizione che queste hanno acceso, mettendo in discussione il diritto naturale russo di intervenire nelle questioni interne, al fine di tutelare le comunità russofone. Mosca è presente in tutte le strutture multilaterali d’area entro uno spazio economico unificato che racchiude anche la Bielorussia, e che concorre a ricomporre la vecchia carta politica sovietico.
Last but not the least, ecco l’uranio, la vera risorsa futura. Quel che manca da tempo alla politica russa è la visione concreta e ponderata di lungo periodo, ancillare al bilanciamento necessario a riequilibrare gli effetti della penetrazione strategica americana che considera, tra gli altri, il fattore energetico, caratterizzato dai corridoi creati da oleodotti e gasdotti che mutano il tipo di apertura geoeconomica, e che forniscono ai Paesi in cui sboccano una leva geopolitica.
L’invasione ucraina ha di fatto sconfessato la apparentemente compassata politica russa nei confronti degli ex spazi satelliti; il ritorno imperiale e revisionista di Mosca ha indotto la maggior parte dei paesi dell’ex area sovietica ad un atteggiamento cauto ed ambivalente3 perché logicamente intimoriti da possibili rappresaglie e conseguenze strategiche ed economiche.
Di rilievo la posizione del Kazakistan, il cui presidente, soccorso dai tumulti interni in gennaio dalla Russia con il CSTO, ha tuttavia dichiarato di riconoscere l'integrità territoriale ucraina, mentre altri funzionari kazaki hanno asserito che il loro paese non avrebbe legittimato l'indipendenza delle repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk, alla stessa stregua dell’Uzbekistan; utile qui ricordare la difesa d’ufficio della sovranità kazaka da parte di Xi e lo stupido insulto di Medvedev4 verso un paese che sta cercando alternative al trasporto utile alle sue esportazioni energetiche.
Quella kazaka è una reazione modulata e comprensibile alla luce della sicurezza e della dipendenza economica finora assicurate da Mosca, un attore ancora centrale nonostante la perdita di influenza; sotto questo aspetto non si può non considerare che l’Asia centrale è la regione di paesi che da almeno 30 anni cercano di consolidare sovranità e identità nazionali, dunque nulla di strano che l’entusiasmo per l’invasione di un vicino per giunta coevo, tentenni.
Gli appelli di deputati russi per la denazificazione del Kazakistan5, o le minacce rivolte contro la Transnistria non possono che suscitare timore e rifiuto, visto che peraltro la controffensiva ucraina ha aperto scenari impensabili e complessi per una paese, la Russia, che per la prima volta negli ultimi 200 anni si trova nella posizione dell’attaccante retrocedente e non del difensore asimmetrico; un conflitto in cui il blocco delle forniture energetiche ha agevolato il sacrificio del surplus commerciale moscovita, ed in cui il consenso si è sostenuto sull’evitamento di una retorica anti-bellicistica diffusa nelle città principali del versante europeo, finora risparmiate da impopolari chiamate alle armi.
Il dubbio su cui riflettere riguarda la correttezza delle visioni che il Cremlino sta coltivando, a partire dalla Cina, sempre più preoccupata per le evoluzioni ucraine, fino ad arrivare ai territori separatisti georgiani e moldovi6. Le mobilitazioni decretate, dalla discussa entità numerica, potrebbero aprire alla possibilità di rappresaglie ucraine finalizzate a far crollare il morale. Ovviamente ricorso al nucleare tattico escluso visto che, secondo la Teoria del Grand Moff Wilhuff Tarkin7 (altrimenti strategia di escalation-to-de-escalation), è garantito da una paura che non esonera dal rischio di finire disintegrati sul proprio vascello. Ma questa è un’altra storia, a meno che non ci si arrischi ad estrarre l’ultimo coniglio bianco dal cilindro, giocando su aspetti cognitivi e di disinformazione.
La guerra, quale logica prima conseguenza, non potrà che sospingere per la diversificazione della politica estera inducendo gli “Stan” sia a rapporti multivettoriali, sia ad assumere posizioni certe ed inequivocabili.
Per gli USA l’Asia centrale è l’ultimo anello di una catena che, partendo dall’Europa dell’est ed arrivando al Caucaso dopo essere passata per Balcani e Mar Nero, deve contenere Mosca nelle sue incursioni periferiche; una linea politica che rimane incerta, vista la perdita di influenza e la poco tollerata ingerenza esercitata negli affari interni dei vari paesi.
Anche la Cina punta forte sull’Asia centrale ma non c’è dubbio che lo Xinjiang, tra Tibet e Mongolia, risvegli gli aneliti nazionalisti turcofoni uiguri, soffocati dall’immigrazione Han e sollecitati dall’Afghanistan, dove sia americani che russi8 hanno dovuto deporre, dopo Londra, le loro velleità imperiali, e dove è risultato evidente che qualsiasi tipo di investimento è a rischio. Per Pechino si tratta di uno spazio irrinunciabile dato il suo valore strategico che permette proiezioni verso Medio Oriente, subcontinente indiano e Siberia. Il valore è sia energetico che securitario, visto che l’80% del fabbisogno di risorse proviene da SLOC9 che possono essere interrotte e che devono contemplare una valida alternativa10.
La debolezza russa e i dubbi sulla sicurezza, potrebbero dare a Pechino un maggiore incentivo ad essere più coinvolta nelle vicende regionali. La Cina non procede secondo logiche commerciali: il suo fine è quello di bloccare quante più risorse possibili per permettere la creazione di stock di riserve necessarie ad un approccio di lungo periodo, curando solo ed esclusivamente il proprio interesse secondo l’assunto di Lord Palmerston; prova ne sia l’interesse talebano per la BRI (Belt and Road Initiative, ndr), che garantirebbe fondi ed opere a Kabul di cui però non si fiderebbero più i gruppi più ortodossi che intrattengono rapporti con l’Uzbekistan, e (in)sicurezza a Pechino.
Si può star certi che i contabili cinesi abbiano fatto presente che in quell’area politicamente sismica, il China Pakistan Economic Corridor è già costato circa 62 miliardi di dollari a fronte dei 282 stimati e dati in prestito in via globale. Crystal clear. Non può esserci dunque dubbio che la SCO11, che prova ad affacciarsi sul Mediterraneo, provochi più di un brivido in Occidente, soprattutto da quando si sono aggregati quali osservatori Pakistan, India, che non ha mancato di strigliare la Russia per le vicende ucraine, e Iran12, che ha firmato un memorandum of obligations, che aprono alternative alla politica occidentale nell’area; il rovescio della medaglia è che la SCO ha difficoltà sia nel rendere compatibili le esigenze di soggetti politici così variegati, sia nel regolare la competizione fra Cina e Russia, che si sente minacciata dalla leadership di Pechino che punta ad un mercato comune a fronte del consolidamento politico militare desiderato dal Cremlino.
Poiché la politica non è fatta di impalpabilità, non ci sarebbe da stupirsi se, con l’arretramento russo in Ucraina, la Cina aumentasse la sua influenza nelle repubbliche asiatiche centrali variando gli equilibri geopolitici ma rammentando gli esiti delle previsioni sull’est Europa dell’americano Brzezinsky, che prevedeva forti instabilità ad est. Del resto i miracoli se non si compiono qualche volta si sfiorano, così come si sono sfiorati Xi ed il Pontefice, transitati entrambi per Nur Sultan, ed entrambi interessati alla soluzione del problema delle nomine vescovili cinesi bisognose dell’approvazione imperiale del Dragone. Probabilmente, ratione materiae, ci si attende più di un prodigio che, in quanto tale, la scuola realista delle relazioni internazionali si ostina a non riuscire a vedere, come non riesce a scorgere facili exit strategy per la crisi ucraina.
Per il Papa la politica è arte e vocazione nobile, e le arti sono eccelse manifestazioni di capacità umane che di trascendente hanno poco, tanto che lo stesso Pontefice, pur ammonendo circa la necessità di perseguire un dialogo, ha richiamato l’attenzione circa il suo immancabile olezzo. A fronte dell’amicizia senza limiti di febbraio spicca l’opinione del Washington Post che scrive: la Russia ha visione e interessi in Asia Centrale, e la Cina li sta lentamente divorando. Ecco qui di nuovo gli interessi nazionali di Lord Palmerston. Del resto, se Xi intende confermare i pronostici della sua riconferma ai massimi vertici istituzionali cinesi, come potrebbe lasciarsi avvinto alla zavorra russa?
Tra l’altro rimangono ancora irrisolti i problemi finanziari, la querelle di Taiwan con il sostegno americano al Vietnam e la reprise del Covid, che costringono ad accantonare le proiezioni di una BRI in declino, e consigliano di perseguire una politica cauta ed ambivalente che non rinunci ad un ruolo leaderistico quando si confronta con la Russia, pura esportatrice di materie prime, come a Samarcanda. Se è vero che l’incontro uzbeko è stato alternativo a possibili ed analoghi rendez vous occidentali, è altrettanto vero che non c’è stata un’adesione acritica alla visione russa: nessuno scontro o sconfessione, ma freddezza e reciproca sfiducia, anche perché non si può dimenticare che la Turchia è ancora un paese Nato, che l’India aderisce al Quad, e che in occasione delle recenti esercitazioni navali congiunte nel Mar del Giappone, Mosca non ha trovato di meglio che schierare una nave spia come capo gruppo.
Nella regione, potenziale crocevia di una nuova rete logistica di trasporti, spicca la presenza di Ankara13, patrona delle repubbliche turcofone coinvolte nel mantenimento dell’asse energetico est-ovest14. Se il Kazakistan, che coltiva rapporti importanti con la Cina per essere paese di transito del gas del Turkmenistan, è in cerca di tutele da parte turca, cinese ed europea, il Kirghizistan15 non ha esitato a prendere le parti russe, mentre sullo sfondo incombono i rischi di una ripresa degli scontri interetnici fra kirghizi e uzbeki, che mantengono una posizione distaccata sull’Ucraina, e tra Tagikistan16, teatro di una guerra civile sanguinosa, e Kirghizistan.
Da ricordare gli scontri tra l’Armenia (non assistita dall’alleato russo e pungolata dalla Turchia) e l’Azerbaigian, fornitore di gas per l’Europa e amante della politica del doppio forno che lo porta su sponde russe ed ucraine, per l’annosa questione del Nagorno Karabakh, mentre intrattiene rapporti anche con l’Iran; da rammentare la condanna dell’invasione da parte dell’Uzbekistan, anche per effetto delle conseguenze economico finanziarie delle sanzioni che, pur dirette alla Russia, stanno danneggiando i paesi limitrofi17, eccetto, forse, il Turkmenistan, legato a Mosca e Teheran, e che coltiva relazioni con l’Afghanistan. In questo contesto la Cina, molto concretamente, continuerà a fornire supporto diplomatico alla Russia, magari consigliando di riattivare il Nord Stream europeo, per controbilanciare Washington e la pressione finanziaria occidentale, senza tuttavia prestare un supporto tattico che ne dilapiderebbe il patrimonio di prestigio e credibilità.
Escludendo azioni militari nell’immediato, non è così difficile ipotizzare un futuro desiderio russo di rivalsa verso Baku o Nur Sultan (prossimamente di nuovo Astana), utilizzando l’Armenia quale proxy, o fomentando rivolte kazake interne.
La Westeros del Trono di Spade, ed ora della Casa dei Draghi, offre un’interessante parallelismo per le vicende regionali trattate: gli Stati combattono l’uno contro l’altro apertamente o in forma più o meno occulta, animando la perenne anarchia delle relazioni internazionali e giustificando qualsiasi fine e qualsiasi mezzo pur di massimizzare gli interessi alla Palmerston; il tutto mentre divampa la costante ricerca della conquista e del mantenimento del potere in un mondo che guarda all’unipolarismo della casata statunitense insidiata dai nuovi pretendenti ed alleati a tempo sino-russi.
Impossibile non pensare alla deflagrazione di un conflitto che designi il nuovo, o confermi il vecchio, legittimo detentore della corona, capace di contenere e controllare qualsiasi spinta disgregatrice.
Ma chi sarà il sovrano riconosciuto? Nella storia reale, dove fantasy e realtà talvolta si fondono, manca l’impossibile idealità di un Jon Snow, realisticamente condannato all’esilio da quello stesso Nord che pure aveva liberato.
1 13 maggio 2005. Le truppe del Servizio di sicurezza nazionale uzbeko hanno sparato su una folla di manifestanti. Le stime degli uccisi vanno da 187, secondo dati governativi, a diverse centinaia. Molti corpi sarebbero stati sepolti in fosse comuni. Le motivazioni ufficiali citano l’istigazione, contestata da molti, di movimenti islamici.
2 Iran, Cina, Pakistan
3 Pur appoggiando Mosca, finora la Bielorussia si è opposta all'invio di truppe; Moldova e Georgia hanno condannato l'invasione accelerando gli sforzi per aderire all'UE, non esente da responsabilità per le decisioni adottate dal decisore politico tedesco. Le reazioni degli altri paesi hanno oscillato tra non condannare l'aggressione russa e sostenere l'integrità territoriale ucraina. Si sono astenuti dal votare Armenia, Kirghizistan, Tagikistan, Kazakistan, o hanno evitato di farlo Azerbaigian, Turkmenistan e Uzbekistan.
4 Kazakistan stato artificiale; da ricordare anche il discorso dell’agosto 2014 (poco dopo l’annessione della Crimea) in cui Putin, affermando che i kazaki non avevano mai avuto uno Stato, li invitava a rimanere nel grande mondo russo.
5 26 marzo. KazTAG - Il deputato del Partito Comunista della Federazione Russa (KPRF) Sergey Savostyanov, che siede alla Duma di Mosca, ha chiesto la "denazificazione" e la "smilitarizzazione" del Kazakistan sull'esempio dell'Ucraina, riferisce l'agenzia.
6 Abkhazia, Ossezia, Transnistria
7 Star Wars, Una nuova speranza, 1977. Il governatore Tarkin è il comandante della Morte Nera
8 Il ritiro degli USA dall'Afghanistan non ha portato ad un completo vuoto di sicurezza vista la presenza di oltre 8.000 soldati russi in Tagikistan e di una base militare in Kirghizistan.
9 Sea Lines Of Communications
10 La Cina è presente nello sfruttamento di gran parte delle risorse centroasiatiche: idroelettriche in Tagikistan e Kirghizistan, metallifere in Kazakistan, metalli rari in Tagikistan, uranio di cui il Kazakistan possiede il 17% delle riserve mondiali.
11 Shangai Cooperation Organization durante la quale a Samarcanda si è discusso di cooperazione energetica tra Russia, Pakistan, India e Cina, che si è assicurata risorse per un ammontare di 44 mld di USD da gennaio. Da giugno la Russia è divenuto il primo esportatore di petrolio verso Pechino rimpiazzando Riyad. Membri a pieno titolo, oltre ai cinque originari e all’Uzbekistan, oltre a Pakistan e India (sempre divisi da forte rivalità), si aggiungono gli osservatori Afghanistan, Mongolia, Bielorussia e Iran. I partner di dialogo sono Sri Lanka, Turchia, Cambogia, Nepal, Azerbaigian e Armenia, Egitto e Qatar. Per il futuro sono candidati a questo status anche Bahrein e Maldive
12 Ha fornito i droni Shahed utilizzati dalla Russia in Ucraina
13 La Turchia ha stretto un accordo di partenariato strategico e un accordo commerciale con l'Uzbekistan, ha concordato la creazione di una fabbrica di droni ANKA con il Kazakistan, è giunta ad una dichiarazione congiunta con il Kazakistan, Azerbaigian e Georgia sul corridoio di trasporto est-ovest.
14 Azerbaigian, Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan. Manca il neutrale Turkmenistan
15 Ospita un’importante base dell’aeronautica russa a Kant, a circa 20 chilometri dalla capitale Byshkek
16 la capitale Dushanbe ospita una divisione di fanteria russa
17 La Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo ha dichiarato in marzo che l'Asia centrale sarebbe stata pesantemente colpita dal calo del valore del rublo e dalle restrizioni alla sua convertibilità, in quanto fortemente dipendente dalle rimesse ricevute dalla Russia
Foto: Cremlino - TASS / web