L’espansionismo economico e politico di Pechino, le intemperanze della Corea del Nord e i tentativi russi di allargare la sua influenza nel più ampio scacchiere indopacifico stanno dinamizzando le politiche di sicurezza di molte nazioni. Tra esse vi è l’Australia, che sta cercando di rimediare all’immobilismo, rumoroso ma inconsistente, del governo conservatore del primo ministro Scott Morrison.
Il nuovo governo progressista di Antony Albanese si caratterizza da un forte attivismo e si muove su diversi ambiti. Il primo è quelle delle alleanze internazionali. Canberra, sempre un forte alleato di Washington, ha accettato la richiesta statunitense di ospitare, anche se in una forma non permanente (finora, per il futuro non si sa) alcuni B-52, dovrebbero essere sei, presso la base della RAAF (Royal Australian Air Force) di Tindal (Northern Territory). Si tratta di un incremento massiccio per una area, quella dell’Australia settentrionale, che già ospita, a Darwin (la capitale dello stato), l’U.S. Marines Rotational Force-Darwin, una Air-Ground Task Force dell’USMC. Anche questa presenza, seppure non permanente, rappresenta il forte legame militare tra USA e Australia.
Il 16 novembre 2011, l’allora primo ministro di Canberra Julia Gillard e il presidente Barack Obama annunciavano che a partire dal 2012 i marines statunitensi si sarebbero schierati a Darwin a rotazione per circa sei mesi all’anno per condurre esercitazioni e addestrarsi con le unità dell'Australian Defence Force e la prima rotazione ha avuto luogo con una compagnia già nell’aprile successivo. E nel 2013 è stato annunciato che il contingente di marines sarebbe aumentato a 1150 e successivamente a 2500, raggiungendo la forza di un MATGF.
Visto il contesto, la decisione di schierare i B-52 (la cui flotta è sottoposta un massiccio programma di ammodernamento dei sistemi, delle cellule e della motorizzazione) è un avvertimento per la Cina, verso la quale crescono i timori per un possibile blitz nei confronti di Taiwan, considerato possibile tra il 2025 e il 2027, secondo la pianificazione del Pentagono, quando cioè le forze armate cinesi, secondo Pechino sarebbero in condizione di rintuzzare le operazioni USA (e dei vari alleati nella regione) a difesa di Taipei.
Dal 2020 i pianificatori militari cinesi hanno iniziato a essere più possibilisti alle richieste del vertice politico e questo in base a un massiccio rafforzamento delle capacità operative e logistiche. Il timore persistente è di non riuscire a chiudere la cosa in 48 ore ed evitare di ripetere il disastro russo in Ucraina, per poter mettere il mondo di fronte al fatto compiuto, ma la determinazione su questo tema da parte del presidente Xi Jinping al 20° Congresso del Partico Comunista deve fare meditare.
La crescente importanza dell'Australia settentrionale per gli Stati Uniti rende Darwin e Tindal possibili obiettivi di attacchi preventivi cinesi (unitamente a Guam, le Marianne, le Midway e fino a Diego Garcia).
I lavori per adattare Tindal a ospitare i B-52 dovrebbero costare circa 100 milioni di dollari e concludersi nel 2026. La struttura della base aerea di Tindal includerà hangar, bunker per munizioni, serbatoi di stoccaggio per il carburante (questo aspetto particolarmente rilevante, vista la decisione USA di ampliare la rete di queste strutture, originariamente basata a Pearl Harbor, a tutta la regione), permettendo cicli operativi di 15 giorni durante la stagione secca.
Una maggiore presenza delle forze americane in Australia è stata discussa durante le riunioni ministeriali annuali dello scorso anno, note come AUSMIN (meccanismo bilaterale di consultazioni istituito nel 1985) ed è prevedibile, che unità, strutture e personale del U.S. Army e Navy seguiranno quelle del USMC e USAF, il tutto in una prospettiva di consolidamento della presenza statunitense, che includa anche la presenza di sistemi di difesa antiaerea e antimissile di ampia capacità (Patriot PAC3+, SkyCeptor [PAAC-4] e THAAD).
La cooperazione tra Washington e Canberra include i programmi di ampliamento delle capacità di sorveglianza e intelligence di Pine Gap (il cui nome ufficiale è Joint Defence Facility Pine Gap, vicina ad Alice Spring, nel centro dell’Australia). I suoi potenti sensori sono ora concentrati sulla Cina e la ricerca di siti missilistici, siti di comando, basi terrestri, navali e aree, centri di sperimentazione e produzione è ora prioritaria. Pine Gap giocherebbe un ruolo estremamente significativo, in particolare per quanto riguarda i sistemi di difesa missilistica e permetterebbe ai sistemi antimissile USA di identificare con grande anticipo lanci ostili da parte di Pechino, per la quale la eliminazione del sito sarebbe un grande risultato strategico, analoga come importanza alla soppressione di Tindal e Darwin.
Canberra, resta pragmatica e allo stesso tempo spera in un ripristino di relazioni meno tese con Pechino dopo che la Cina ha imposto sanzioni per 20 miliardi di dollari sulle merci australiane, registrando la prima frenata a una crescita economica ininterrotta iniziata nel lontano 1992.
Il rafforzamento dei legami di sicurezza e difesa con gli USA non è la sola iniziativa dell’Australia, infatti Canberra punta a sviluppare una intesa forte anche con il Giappone, estremamente preoccupato della sua sicurezza a causa delle minacce cinesi e nordcoreane e per l’ambigua relazione con la Russia. Nel mese di ottobre il primo ministro giapponese Fumio Kishida, ha visitato l’Australia per colloqui con il suo omologo Anthony Albanese, con l’obiettivo di rafforzare la cooperazione militare ed energetica tra i due paesi. Kishida vorrebbe aggiornare e rafforzare il patto bilaterale di sicurezza, sottoscritto nel 2007. L’aspetto della sicurezza energetica è stato un aspetto importante della visita del primo ministro giapponese, che ha definito Canberra partner strategico speciale.
Il Giappone dipende dall'Australia per quasi il 40% del suo GNL e sta cercando disperatamente di assicurarsi un approvvigionamento energetico stabile nel pieno delle turbolenze che investono i mercati globali a seguito dell’aggressione russa all’Ucraina. Bisogna ricordare che l’Australia, unitamente a Giappone, India e USA sono parte della architettura di dialogo Quad.
Nonostante i dubbi dell’India per il rafforzamento della dimensione della sicurezza e difesa del Quad, Tokyo, Canberra e Washington hanno intessuto una rete di accordi bilaterali e condividono la visione per la sicurezza regionale e il Giappone spera di elevare ulteriormente la sua cooperazione con l'Australia.
Kishida e Albanese hanno preso in considerazione l'ulteriore attuazione dell'accordo di accesso reciproco, stipulato da Kishida a gennaio scorso con l'allora primo ministro australiano Scott Morrison che permetterà lo svolgimento di esercitazioni militari congiunte in entrambi i paesi.
In mezzo alla crescente assertività della Cina nella regione, il Giappone ha ampliato la sua cooperazione militare negli ultimi anni con USA, Australia e ha anche sviluppato legami di difesa con altri paesi della regione Asia-Pacifico e dell'Europa (il dialogo con la NATO è iniziato nel 1980 e unitamente a Australia, Nuova Zelanda e Corea del Sud, Tokyo è considerata una ‘global partner’ dell’Alleanza Atlantica) ed è proprio della fine di ottobre l’attivazione di una intesa militare tra Gran Bretagna e Giappone (commentando il fatto, e non casualmente, Global Times, il sempre meno ufficioso quotidiano anglofono di Pechino, ha definito l’iniziativa anglonipponica come pericolosa e che segnala lo spirito aggressivo della politica di sicurezza degli USA e dei suoi alleati nella regione come AUKUS e Quad).
Giappone e Australia condividono anche le preoccupazioni per la crescente influenza della Cina sulle nazioni insulari minori del Pacifico, accresciute all'inizio di quest'anno quando Pechino ha firmato un patto di sicurezza con le Isole Salomone, sollevando i timori per la creazione di una base navale cinese nel Pacifico meridionale. E un altro pilastro della politica di sicurezza dell’Australia è il legame con i piccoli stati insulari del Sud Pacifico; come accennato in precedenti occasioni, l’accordo, i cui termini non sono ancora del tutto chiari, tra Pechino e Salomone, originato da un clamoroso errore di valutazione del governo guidato da Scott Morrison, ha lasciato una porta spalancata alla penetrazione di Pechino che cerca di utilizzare le Salomone come un trampolino per accrescere l’influenza cinese nella subregione. Albanese sta cercando di correre ai ripari e una delle sue prime azioni è stato quello di inviare urgentemente nell’ottobre del 2021 in un tour nella subregione, l’appena nominato ministro degli esteri Penny Wong, per rassicurare i piccoli stati, che per debolezza strutturale sono particolarmente esposti alle lusinghe e pressioni (quando non minacce) cinesi. Il primo tour è stato poi seguito da diversi altri segnalando la percezione di preoccupazione dell’Australia per la penetrazione cinese nell’area.
Tra questi stati, alcuni hanno una attenzione speciale agli occhi dell’Australia, in quanto amministrati sino agli anni ’70, come ex colonie tedesche e poi giapponesi, come Papua Nuova Guinea e Bougainville. Ma la situazione istituzionale di questi territori non facilita la ricerca di Canberra di intese e dialogo. Il presidente del governo autonomo di Bougainville, Ishmael Toroama, che aspirerebbe all’indipendenza dalla Papua Nuova Guinea nel 2023 ha accusato il ministro della Difesa australiano, Richard Marles, di aver minacciato le aspirazioni indipendentiste di questo territorio della Papua Nuova Guinea. Marles aveva indicato che l'Australia era interessata a accordi militari rafforzati con la Papua Nuova Guinea e firmare un trattato di difesa con Port Moresby. Tra i motivi addotti dal ministro vi sono il legame storico tra i due Paesi e la crescente proiezione della Cina nel Pacifico. Toroama considera questa posizione una velata minaccia contro il percorso di indipendenza di Bougainville e una chiara indicazione che l'Australia non rimarrebbe più imparziale nell'attuazione dell'accordo di pace di Bougainville, di cui Canberra è firmataria e che aveva consentito lo svolgimento del referendum sull'indipendenza di Bougainville nel 2019, che ha visto il 98% dei voti favorevole alla secessione da Papua. Il referendum non è vincolante e l'ultima parola spetta al Parlamento della Papua Nuova Guinea, dove per il prossimo anno è prevista una votazione cruciale sulla questione. La Papua Nuova Guinea può scegliere di accettare l'indipendenza di Bougainville o offrirle un'autonomia estesa.
Inizialmente, Port Moresby anche per una sua debolezza non sembrava intenzionata a contrastare la secessione di Bougainville, ma stanno emergendo tendenze contrarie. Con le dichiarazioni di Marles, vediamo come il governo australiano sostiene il governo della Papua Nuova Guinea per destabilizzare ancora una volta il diritto all'autodeterminazione di Bougainville, ha valutato Toroama. Bisogna ricordare che poi la medesima Papua Nuova Guinea si trova a fare fronte a un movimento popolare diffuso della Papuasia occidentale, che è parte, a seguito di una controversa cessione dell’Olanda nel 1962, dell’Indonesia e che vuole l’unificazione con Port Moresby e che l’Indonesia è un partner economico e commerciale importantissimo per l’Australia.
Il vero problema della sicurezza e difesa australiana è anche legato al dibattito nazionale sulle spese per la difesa. Nonostante un incremento delle spese per la difesa, arrivato quasi al 6% del PIL, il governo di Canberra mantiene un robusto welfare (27% del PIL) e gli stessi governi conservatori sono stati restii a comprimerlo.
Tuttavia, le circostanze richiedono che l'Australian Defence Force guardi ad attrezzature differenziate e in gran numero: missili, mine intelligenti, capacità informatiche, droni e attrezzature senza equipaggio in tutti i domini. Al di fuori della difesa vera e propria Canberra vorrebbe costruire una resilienza nazionale che coinvolga altri dipartimenti federali, stati e territori e il settore privato, affrontare e risolvere il critico tema delle riserve di carburante e il rafforzamento della marina mercantile.
Tra le priorità della difesa, resta ancora incerto un settore che nel recente passato ha scatenato una intensa, anche se breve crisi politica, quella dei sottomarini. Come si ricorderà il governo conservatore, cancellò con un tratto di penna il contratto (in essere) con la Francia per un lotto di unità a propulsione convenzionale dei sottomarini della classe ‘Barracuda’ (in costruzione per la Marine Nationale) per acquisire battelli, a propulsione nucleare di produzione statunitense e/o britannica e questo a coronamento della costituzione dell’AUKUS (patto di sicurezza tra Canberra, Washington e Londra).
Il crescente attivismo dei sottomarini cinesi (e la loro crescente sofisticazione) sono una sfida alla sicurezza dei traffici marittima australiana, e nel quadro dei programmi di rafforzamento militare, il mantenimento, rafforzamento di una capacità subacquea, unitamente ai caccia F-35 (a terra e imbarcati) e alla difesa antiaerea e antimissile da parte di Canberra sono una priorità. Tuttavia vi sono una serie di problemi di non facile soluzione. L'Australia è determinata a sostituire i suoi sottomarini diesel-elettrici di classe ‘Collins’ progettati in Svezia con battelli a propulsione nucleare, ma sembra sempre più chiaro che la RAN (Royal Australian Navy) non dispone di risorse umane e tecniche per far entrare in linea e operare questi sistemi. La quota minima in servizio operativo e permanente risulta essere di due sistemi. Ma già il passaggio dalla classe, di progettazione e costruzione inglese ‘Oberon’ (sei, anche se avrebbero dovuto essere otto) ai sei ‘Collins’ (anche essi avrebbero dovuto essere otto, secondo i programmi) è stata problematica per la marina australiana.
A causa della mancanza di capacità nei cantieri navali statunitensi e britannici, gli SSN dovrebbero essere costruiti in Australia, anche per salvaguardare e accrescere le capacità dei cantieri locali. Una strategia di transizione che combini la build con il progetto successivo del Regno Unito per la classe ‘Astute’, in servizio presso la RN, come sembra essere stato suggerito di recente dal segretario alla Difesa del Regno Unito, potrebbe consentire una build ibrida. Ad esempio, la metà anteriore del sottomarino, contenente le armi, l'alloggio dell'equipaggio e la sala di controllo, potrebbe essere costruita nei cantieri di Adelaide e la parte posteriore, contenente la propulsione, nel Regno Unito. Ciò consentirebbe di distribuire il carico di lavoro, offrire economie di scala e consentire l'integrazione di armi statunitensi e un sistema di combattimento statunitense, più vicino, anche per ragioni logistiche, alle esigenze dell'Australia, con l'assistenza alla progettazione degli Stati Uniti. Una tale strategia, tuttavia, aumenterebbe notevolmente la complessità, rischi e tempi. Nel frattempo, i ‘Collins’, ancora in servizio, richiederebbero un impegnativo aggiornamento e la riesumazione dei ‘Barracuda’ convenzionali come gap filler ritorna tra le opzioni di Canberra, aumentando la poca chiarezza che avvolge tutto il tema, visto che l’ingresso in servizio dei primi sottomarini nucleari australiani non è prevedibile prima del 2032.
In conclusione, l’Australia, solido partner di USA, Giappone, Corea del Sud, Europa/NATO si trova di fronte a una situazione non facile da gestire: con debolezze intrinseche, una popolazione scarsa e un territorio enorme da proteggere cerca di rafforzare i suoi legami con i partners vicini e lontani e allo stesso tempo non esacerbare le già difficili relazioni con Pechino anche alla luce di importanti relazioni economiche, riproponendo le ambiguità dei vari competitors e partners della Cina.
Foto: U.S. Air Force