Maria Luisa Suprani
Ed. Carta Canta, Forlì (FC) 2020
Pag.225, euro 18,00
L’autrice, dottore in Scienze filosofiche e diplomata al Conservatorio, descrive, in questo suo saggio, la figura di Francesco Baracca, partendo da una lettura approfondita della sua corrispondenza, degli appunti riportati sulle pagine del suo taccuino personale e dalle testimonianze dei suoi commilitoni.
I primi anni del ‘900 erano gli anni dello sviluppo del volo, gli anni della convivenza “del più leggero dell’aria” con il “più pesante dell’aria”. In quegli anni, esattamente nel 1906, Francesco Baracca visitò l’Esposizione Universale di Milano, dove assistette all’ascensione di sette palloni; l’anno dopo entrò nella Scuola Miliare di Modena per uscirne, nel 1909, con il grado di sottotenente di cavalleria ed entrare nella Scuola d’applicazione di cavalleria di Pinerolo. Nello stesso anno Wilbur Wright, nell’aeroporto romano di Centocelle, diede lezioni di volo a due ufficiali italiani, Mario Calderara, ufficiale di marina, e Umberto Savoia, ufficiale dell’esercito; nel 1913 Enrico Forlanini, a Milano, compì il suo primo volo con il dirigibile di sua progettazione.
Erano gli anni in cui ancora “la cavalleria continuava a essere l’arma di riferimento per i giovani ufficiali provenienti da un contesto familiare di antica tradizione, desiderosi di affermarsi nella carriera militare.” Ma erano anche gli anni in cui questa nobilissima arma si stava avviando verso il declino per lasciare il posto alla nascente aviazione. “Prima che l’aviazione si affermasse come mezzo bellico di ricognizione, il compito dell’esplorazione era affidato, in pianura o su terreno lievemente ondulato, alla cavalleria e in montagna a drappelli di truppe alpine.” Inizialmente quindi essa fu “accettata soprattutto in virtù della maggior velocità con cui avrebbe potuto sostituire alcuni compiti della cavalleria. […] Il volo di guerra si trovò a compiere così i primi passi al seguito della cavalleria, affiancandola e superandola definitivamente quando la soglia raggiunta dallo sviluppo tecnologico generale unita al mutare repentino delle esigenze belliche le aprì definitivamente la strada.”
Baracca, intanto, dopo aver comunicato ai genitori la sua intenzione di dedicarsi al volo, si recò in Francia, a Reims, dove iniziò a volare. Conseguito il brevetto di pilota, al suo rientro in Italia egli fu assegnato al battaglione Aviatori, che allora era parte dell’Esercito.
In Italia il concetto di aereo non era ancora stato assimilato. C’era infatti, ancora, della diffidenza e, quindi, della resistenza nei suoi confronti. “Il livello di tecnologia avanzata che avrebbe contraddistinto il primo conflitto mondiale decretò l’obsolescenza del più leggero dell’aria, reo di aver dirottato le risorse in un settore scarsamente dotato di lungimiranza: i dirigibili, infatti, si rivelarono attaccabili sia dall’artiglieria di terra, sia dai caccia.”
Il 24 maggio 1915, data d’ingresso dell’Italia nella Grande Guerra, molte erano le deficienze tecniche dei mezzi aerei. “Gli aviatori di guerra combattevano con tre nemici sempre contemporaneamente: con l’aviatore austriaco, con il proprio motore, con il proprio apparecchio” scrisse Fulco Ruffo di Calabria, pilota e collega di Francesco Baracca. Senza contare che all’inizio delle ostilità gli aerei italiani erano sprovvisti di armi da fuoco.
Il 7 aprile 1916 Baracca abbattè il primo aereo austriaco, dandone notizia al padre, per lettera, dove, “alla descrizione del velivolo, subentra il turbamento davanti alla vista dell’avversario,” lasciando spazio alla solidarietà: “ho parlato a lungo con il pilota austriaco, stringendogli la mano e facendogli coraggio perché era molto avvilito,” scrisse Baracca.
“Per i piloti il momento più critico non era, come si potrebbe pensare, quello del combattimento vero e proprio. […] Il momento più angoscioso era quello in cui il vincitore, dopo aver realizzato di essere ancora in vita, si recava, quando possibile, presso il velivolo abbattuto per gli accertamenti di rito.” Egli rispettò sempre la sorte avversa dell’avversario caduto “anche attraverso una partecipazione sobria agli entusiasmi che inevitabilmente seguivano ogni sua brillante affermazione.”
Nel 1917, dopo il riconoscimento formale di cinque vittorie, Baracca conseguì il titolo di Asso.
Il primo maggio fu costituita la 91^ squadriglia, passata alla storia come Squadriglia degli Assi. Dopo poco più di un mese Baracca ne divenne il comandante. E “se era già arduo entrare a farvi parte, poter essere accettati nel gruppo poteva rivelarsi ancora più difficile,” a causa di un implacabile terzo grado cui venivano sottoposti coloro che aspiravano ad entrarne a far parte, volto a scoraggiare l’ingresso di eventuali figli di papà.
Intanto “gli incidenti letali all’interno del campo di volo erano diventati un problema gravissimo”: 693 furono gli aviatori morti per incidente a fronte dei 225 caduti in combattimento.
Durante il periodo del conflitto furono 5.193 i piloti italiani che vennero formati e, nei primi 8 mesi del 1918, i duelli aerei fra italiani e austroungarici arrivarono a toccare il considerevole numero di 2.225. L’industria italiana, però, non riusciva a tenere il passo con la richiesta di aerei necessaria al fabbisogno nazionale.
“Il 19 giugno 1918 il maggiore Baracca è chiamato a un’azione di supporto alle forze di terra impegnate sul Montello.” Aveva già raggiunto la 34^ vittoria aerea. Decollato alle 18:15, non fece mai più ritorno al campo. “La salma verrà ritrovata alle ore 15 del 24 giugno accanto ai resti del velivolo in località Busa delle Rane.” Diverse furono negli anni le ipotesi sulla sua morte. “La versione ufficiale lo dava colpito dal fuoco nemico proveniente da terra.” Ci fu anche chi sostenne che il maggiore si fosse sparato, ipotesi poi abbandonata.
Molto probabilmente Baracca fu vittima della sua cavalleria. Egli, infatti, “aveva l’abitudine, prima di sparare, di fare un cenno alla sua vittima perché si arrendesse pacificamente. Questo gesto di squisita cavalleria era molto apprezzato dagli austriaci: però non trovò corrispondenza presso un osservatore che, attaccato da Baracca sul Montello, profittò di quell’istante di tregua per scaricargli pochi colpi che lo abbatterono.” Non ci fu quindi combattimento: “Francesco Baracca rimane invitto, colpito da una palla in fronte mentre guarda l’avversario negli occhi, sacrificato mentre supportava i soldati di fanteria che per lui nutrivano un’ammirazione senza precedenti.”
Gianlorenzo Capano