Gli Stati Uniti non hanno mai avuto una politica estera coerente e nell’indopacifico sono poco credibili con l’attuale amministrazione comunque considerata di transizione, malgrado vogliano indurre i loro partner asiatici a mantenere un equilibrio di potere nell'Indo-Pacifico, apparentemente per impedire alla Cina di diventare un egemone regionale.
Gli Stati Uniti temono – e lo dimostrano sin troppo apertamente, indebolendosi - che Pechino possa gradualmente convincere i suoi vicini a prendere le distanze dagli Stati Uniti, ad accettare la supremazia cinese e a rimandare ai desideri di Pechino su questioni chiave di politica estera.
Il dilemma diventa quindi se continuare su questa linea o preoccuparsi in forma diversa dell'egemonia cinese in Asia: i timori possono a volte essere interpretati come una potenziale profezia, una spirale di convincimento di qualcosa che poi avverrà.
È interessante risalire a qualcuno dei precedenti di questa erratica politica: nel 2018, ad esempio, l'allora segretario alla Difesa statunitense James Mattis avvertiva che la Cina “cova disegni a lungo termine per riscrivere l'ordine globale esistente”...“La dinastia Ming sembra essere il loro modello, anche se in modo più muscolare, chiedendo ad altre nazioni di diventare Stati tributo, inchinandosi a Pechino”.
Tesi riprese costantemente, con argomentazioni simili, certamente rafforzate dalle dichiarazioni della Cina di essere una "potenza globale di primo piano" e dai suoi continui tentativi di alterare lo status quo nel Mar Cinese Meridionale.
L'Indo-Pacifico non è un monolite, c’è chi ha fatto scelte decisive, c’è chi opta e spera in una terza via (che si torni a chiamarla di non allineamento non ha più senso) e c’è chi ha l’ha già scelta, con la formula del multi-allineamento
È troppo riduttivo parlare di Stati "recalcitranti": si tratta di Stati che in un quadro di ricomposizione degli assetti globali rifiutano i binari geopolitici a somma zero a favore del multi-allineamento.
Recentemente Washington ha cercato di convincere i cosiddetti "recalcitranti" - Paesi con sfumature diverse in questa posizione, come India, Indonesia, Malesia, Singapore e Vietnam - a unirsi alla sua coalizione per contrastare la Cina, gli Stati Uniti si sono rivelati deboli.
Una debolezza emersa proprio un viaggio del presidente Biden nell'Indo-Pacifico per rafforzare la credibilità e l’immagine degli Stati Uniti: ha interrotto una missione di grandi aspettative per motivi di politica interna, una decisione che ha provocato una valanga di critiche.
Era il momento di maggior pressione da parte degli Stati Uniti su alcuni Paesi per rischierare (qualcuno diceva "de-rischiare") le loro economie, dall'imposizione di controlli sulle esportazioni di semiconduttori al divieto di Huawei dalle loro reti 5G, per allertare ed evitare investimenti cinesi nelle infrastrutture.
Il risultato non è stato quello di un maggior consenso, di una maggiore sensibilità o diffusa atenzione, ma quello di una regione divisa in due campi: quelli che sostengono gli Stati Uniti e quelli che tendono verso la Cina.
Secondo questa visione, i Paesi che attualmente si stanno coprendo non fanno altro che rimandare un'inevitabile decisione di allineamento, in parte perché temono che gli Stati Uniti non siano un partner affidabile; se questo fosse certo, con più attenzione, visite, presenze ed e investimenti, Washington avrebbe potuto o potrebbe far pendere la bilancia a suo favore e conquistare la “fedeltà” di questi Paesi (il tempo direbbe quanto esclusiva ...).
Pochi Paesi dell'Indo-Pacifico valutano la scelta che hanno davanti in termini dicotomici, e molti hanno già fatto una scelta: il multi-allineamento, quella di stringere relazioni sovrapposte con diverse grandi potenze.
Per questi Stati non si tratta di un'opzione di riserva, ma della loro prima scelta. Sarà anche perché l’indecisione se non il pendolarismo può portare a dividendi.
Molti Paesi della regione esprimono certamente crescente preoccupazione per alcuni comportamenti cinesi, in particolare per l'aggressività di Pechino e la mancanza di rispetto delle norme internazionali nel Mar Cinese Meridionale, ma allo stesso tempo molti Paesi, spesso con l’atteggiamento dello struzzo ed una visione a corto termine, non condividono né la percezione della minaccia cinese da parte degli Stati Uniti né la visione semplicistica dell'amministrazione Biden che vede il mondo separato in Stati autocratici e democratici.
L'Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN) ha contribuito a costruire un ordine regionale basato sulla cooperazione reciprocamente vantaggiosa e i suoi Stati membri, insieme alle nazioni insulari del Pacifico, accolgono con favore il contributo della Cina alla crescita economica e allo sviluppo.
È improbabile che rinuncino ad approfondire i legami commerciali e di investimento con la Cina anche se gli Stati Uniti e i loro alleati democratici dovessero riuscire a mantenere la promessa di uno "sviluppo sostenibile per tutti", indipendentemente da quante volte e per quanto tempo un presidente USA visiterà la regione.
L'approccio regionale di Washington non tiene conto di questo punto.
Se non ci sarà un cambio sostanziale di politica e di alleanze guida (AUKS / QUAD ?) la "presenza sostanziale" della Cina nella regione significa che i Paesi "devono tutti imparare a convivere con la Cina".
Sono gli interessi (spesso immediati), e non i valori, a guidare le scelte politiche degli Stati dell'Indo-Pacifico, che si trovano anche nella necessità di lavorare con coloro che "non la pensano completamente allo stesso modo, ma con i quali si hanno molti problemi e i cui interessi si allineano" come ha affermato il primo ministro di Singapore, non certo tacciabile di vassallo cinese .
L’attuale Amministrazione USA sembra sorda e cieca, sembra sottovalutare la riluttanza degli Stati del Sud-Est asiatico e della regione insulare del Pacifico ad allinearsi inequivocabilmente con gli Stati Uniti come un sintomo di indecisione temporanea, mentre gli Stati valutano maggiori opzioni, anche come potenziale strategico dei partner nel nuovo ordinamento a blocchi.
In realtà, questi molti Stati hanno già scelto il multi-allineamento come il modo migliore per tutelare i propri interessi.
Un esempio per tutti, seguendo le ultime vicende, spunto di queste considerazioni: Biden aveva programmato di sottoscrivere un nuovo accordo di cooperazione in materia di difesa in Papua Nuova Guinea, ma l'accordo in sé non è un segno che il Paese sta scegliendo Washington rispetto a Pechino.
Al contrario, Papua Nuova Guinea, che ha ampi legami economici e di sicurezza con la Cina e l'Australia, cerca di diversificare ulteriormente.
Il multi-allineamento, come quello adottato dalla Papua Nuova Guinea, non è neutralità, non è far parte di un nuovo blocco come quello dei non-allineati della guerra fredda, ma piuttosto una decisione attiva di costruire legami amichevoli con più grandi potenze, lavorando a stretto contatto con il partner che meglio risponde agli interessi economici e di sicurezza del Paese su una determinata questione.
Ma... allora, questo gioco del multi-allineamento, in un quadro confuso che vede scendere di nuovo in campo la Russia, che vede nuovi interessi (ma anche necessità) europee, che vede una proiezione europea nell’ Indopacifico, non potrebbe offrire un ruolo anche alla UE ed in pochi, specifici casi, anche si suoi membri... esserci è importante, può portare a qualche dividendo, di corto o lungo periodo, non esserci è lesivo e sarebbe fuori dalla logica.
Per quanto riguarda l’Italia, in particolare, l’Indopacifico non è solo l’Estremo Oriente, come spesso, volutamente, viene fatto intendere...
Gian Carlo Poddighe (CESMAR)
Foto: prime minister's office of Japan