Andrea Santangelo
Ed. Carocci, Roma 2022
pagg. 286
“Non posso prevedere le azioni della Russia. È un indovinello avvolto in un mistero che sta dentro un enigma”. Così diceva Wiston Churchill, in un discorso pronunciato alla BBC, il 1° ottobre 1939. “Nonostante la Russia fosse evidentemente too big to fall ('troppo grande per cadere') nell’arco di sette secoli sono stati una decina gli invasori che ci hanno provato.”
La prima invasione della Russia, ad opera dei mongoli, avvenne nel 1236. I tre tentativi di invasione che, però, vengono analizzati dall’autore, storico militare, in questo suo saggio, sono: quello svedese da parte di Carlo XII, quello francese da parte di Napoleone e quello tedesco da parte di Hitler.
Il primo fa parte di un conflitto chiamato “Grande guerra del Nord”. Carlo XII, diventato re di Svezia nel 1697, a soli 15 anni, dopo la morte del padre Carlo XI, dovette fronteggiare, fin da subito, i nemici di allora, cioè Danimarca, Polonia e Russia, ai quali non piaceva il fatto che gli svedesi “avessero il possesso di tutti i porti baltici e controllassero i commerci fluviali dei maggiori fiumi tedeschi dell’area. Non c’era merce che viaggiasse senza che gli svedesi non ne guadagnassero qualcosa”. La Svezia, comunque, aveva “un valido esercito, un’efficiente marina e una burocrazia statale che con efficacia li approvvigionava di uomini, rifornimenti, soldi e armi”, fatto, questo, che permise a Carlo XII di ottenere, nel novembre del 1700, una delle più grandi vittorie di tutta la storia militare svedese, sconfiggendo l’esercito russo, che aveva invaso l’Estonia, nella battaglia di Narva.
L’esercito svedese non era numeroso, “ciononostante, riuscì a vincere tante battaglie contro armate ben più grandi grazie all’addestramento e a uno spirito offensivo che divenne ben presto leggendario, tutto improntato alla ricerca della mobilità e dell’aggressività”. Inoltre, esso era sostenuto anche dalla fatalistica fede luterana. I cappellani militari, infatti, “ricordavano ai soldati che nessuna pallottola può colpire un uomo se Dio non lo vuole”. Se, però, a Carlo XII, pur essendo un eccellente tattico, mancava completamente la visione strategica, Pietro il Grande, salito al trono nel 1689, invece, fu un ottimo stratega. Fu lui, infatti, l’ideatore della dottrina della “terra bruciata”.
Carlo XII, quando decise di invadere la Russia, non aveva tenuto conto del fatto che l’esercito di Pietro I “non era più quello dell’ignominiosa sconfitta di Narva”. […] Inoltre, dopo otto anni di guerra, i russi conoscevano bene le tattiche svedesi, tutte incentrate sull’attacco e sulla continua ricerca dello scontro decisivo in campo aperto”. E così, l’8 luglio del 1709, a Poltava, Pietro il Grande sconfisse, per la prima volta, il suo acerrimo nemico Carlo XII, ponendo fine alla prima invasione della Russia e dando inizio alla dissoluzione dell’impero svedese.
Il secondo “è una specie di match tra David e Golia. Napoleone nel 1812 è il Dio della guerra, il Marte trionfante che passa di vittoria in vittoria, mentre lo zar Alessandro I è il nemico irresoluto e titubante che addirittura ammira il suo avversario e che ha poco o nulla da opporgli contro. Almeno in apparenza”. Il blocco continentale, voluto da Napoleone, per mettere in crisi l’Inghilterra, causò, tuttavia, la rottura con Alessandro I, per il quale “i porti baltici dovevano assolutamente aprirsi al commercio con l’Impero britannico. […] Per colpire il suo grande nemico, Napoleone aveva perso il suo grande alleato”. Egli, però, “non voleva conquistare la Russia e nemmeno destituire Alessandro I: cercava solo una posizione di forza per sedersi al tavolo della diplomazia”. Egli voleva semplicemente sconfiggerla, credendo in una facile vittoria, “per punire al contempo Alessandro I e il re di Inghilterra Giorgio IV”. Dopo l’ultimatum, inviato dallo zar a Napoleone, l’8 aprile 1812, che richiedeva la rinuncia, da parte francese, di creare un Ducato di Varsavia - pena l’annullamento del trattato di pace e alleanza franco – russo - la situazione precipitò e Napoleone decise di entrare in Russia.
“Bisognava evitare l’inverno perché il suo esercito non era attrezzato”. I russi adottarono, anche in questa occasione, la tattica della “terra bruciata”. “I francesi, intanto, continuavano nel loro viaggio nell’incubo: caldo, malattie, fame e sete li attanagliavano, ma la loro fiducia nell’imperatore e nel suo genio militare era ancora salda”. Il 7 settembre 1812 ci fu la battaglia di Borodino. L’esercito russo, comandato dal generale Kutuzov, nel cuore della notte si ritirò verso sud, mentre quello francese avanzò verso Mosca, dove entrò il 14 settembre, trovando la città in fiamme. Napoleone, il 19 ottobre, dopo 35 giorni di permanenza nella città, prese la decisione di ritirarsi, iniziando una lunga marcia, costellata da migliaia di morti dovuti al freddo e agli attacchi dei russi. “L’11 dicembre i resti di quello che fu uno dei più imponenti eserciti della storia passavano il fiume Niemen: si trattava di 10.000 uomini. […] I russi si fermarono sulla linea del Niemen: anche loro erano stati falcidiati da freddo e malattie e la forza combattente non superava le 40.000 unità”. La campagna di Russia, con la distruzione dalla Grande Armèe, “fu la principale cause della futura caduta di Napoleone”.
Arriviamo al terzo tentativo e ultimo tentativo di invasione analizzato in questo libro. “Mentre le prime due invasioni della Russia furono un tentativo violento di riportare al tavolo diplomatico lo zar al trono in quel momento, la terza campagna presa in esame è stata una prova di conquista vera e propria”, uno scontro tra due regimi totalitari, quello nazista, capeggiato da Hitler e quello sovietico, capeggiato da Stalin.
Con l’operazione Barbarossa, (i vertici della Wehrmacht erano convinti di poter conquistare la Russia in cinque mesi) iniziata il 22 giugno 1941, “il Führer sperava di colpire a Est per far male a Ovest. Se, cioè, avesse conquistato in poco tempo la Russia ed estromesso Stalin e il comunismo dalla scena politica, probabilmente l’Inghilterra avrebbe cercato la pace con la Germania nazista. O addirittura, conoscendo l’avversione di Churchill verso i bolscevichi, si sarebbe alleata con Hitler per una crociata anticomunista”. Dall’altro lato, “nell’estate del 1941 l’Armata Rossa era in piena crisi di materiali, ma il suo problema principale rimaneva un altro. Le Purghe staliniane avevano prodotto una grave carenza di comandanti addestrati e di personale militare in grado di elaborare rapide soluzioni a problemi logistici e amministrativi”.
Questi i numeri coinvolti nell’operazione: 4,1 milioni uomini dalla parte tedesca contro i 3,3 milioni dalla parte sovietica. Stalin, comunque, nonostante i numerosi avvertimenti ricevuti dal’intelligence, non fece nulla per preparare l’URSS alla guerra, perché “era ancora convinto che Hitler non avrebbe osato ripercorrere le tracce di Carlo XII e Napoleone”. Quindi, “quando alle 3.15 del mattino del 22 giugno 1941 i tedeschi invasero la Russia, si trovarono contro delle truppe totalmente impreparate”. Dopo i tentativi di conquista, da parte tedesca, di Leningrado, Mosca, Stalingrado, “l’ultima importante offensiva tedesca sul fronte russo, che culminò nella battaglia di Kursk, spostò il rapporto di forze definitivamente a favore di Stalin”.
Nel frattempo, era la qualità delle truppe che era cambiata. “Sembrava quasi che i ruoli si fossero ribaltati: i tedeschi facevano la parte dei sovietici del 1941, tatticamente limitati dalla scarsa qualità di ufficiali e truppe, mentre i russi avevano creato una nuova generazione di ufficiali inferiori coraggiosi e innovativi sul campo di battaglia”. Così, “nell’estate del 1944 gli attacchi sovietici avevano inflitto danni enormi all’esercito tedesco che si era dovuto ritirare da tutti i territori occupati nell’URSS”.
“La sconfitta nella campagna di Russia fu il principale motivo della caduta del nazismo”.
Gianlorenzo Capano