La domanda iniziale è la seguente. Può una rappresentazione cinematografica rinunciare al rigore storico per spettacolarizzare il racconto?
In passato abbiamo assistito a film storici prodotti con un livello di accuratezza davvero eccellente, tuttavia è pura illusione attenersi ad un copione che mantenga la rigidità degli avvenimenti passati. I ritmi cinematografici esigono tempistiche diverse: la storia deve appassionare, trascinare lo spettatore in un mondo alternativo e colpirlo emotivamente. A chi guarda, spesso profano, poco importa se un fatto sia accaduto nel 1700 o nel 1723, l’importante è l’immagine che lo riproduce.
Per Napoleone però il discorso cambia, anche perché l’imperatore dei francesi è uno dei personaggi più celebri della storia mondiale. Egli è stato oggetto di una produzione bibliografia sterminata e – in misura decisamente inferiore – di pellicole cinematografiche di successo. Penso al polpettone biografico del regista Abel Gance, o alla magnifica interpretazione di Marlon Brando in Désiree fino al fantastorico (opinione dello scrivente, uno dei migliori) Monsieur N dove l’imperatore decadente in esilio è magistralmente impersonato da Philippe Torreton. Se, invece, volgiamo lo sguardo all’epica delle battaglie napoleoniche, allora è impossibile non citare l’opera di Sergej Bondarčuk con i suoi Guerra e Pace e il monumentale Waterloo dove a subire l’astuzia del duca di Wellington (Christopher Plummer) fu un intenso Napoleone/Rod Steiger. A parte serie televisive più o meno riuscite, era tempo che non usciva nelle sale un film dedicato a Napoleone e questa volta a scendere in campo è stato nientemeno che Ridley Scott, uno dei registi più quotati di Hollywood.
Un regista che celebra la sua bravura nelle scene de Il Gladiatore laddove solo la parte iniziale della battaglia valeva il costo del biglietto. Insomma, la combinazione Scott/Napoleone ha creato nel pubblico di appassionati un’aspettativa davvero alta. A questo si aggiunga il nome dell’attore chiamato a recitare il ruolo del piccolo corso: Joaquin Phoenix, anch’egli interprete di personaggi memorabili come Commodo o il più fantasioso Joker. C’erano tutti gli ingredienti per un successo conclamato eppure le notizie pre e post proiezione nelle sale cinematografiche si sono concentrate soprattutto sulle macro storpiature storiche che hanno accompagnato il lungometraggio. Errori – a detta di molti addetti ai lavori – imperdonabili, che non ammettono scuse.
Il film ripercorre la vita frenetica di Napoleone Bonaparte e lo spettatore viene da subito catapultato negli avvenimenti della Rivoluzione francese, con tanto di scena dedicata alla decapitazione di Maria Antonietta. La storia prosegue – mantenendo questo fil rouge per tutta la durata del film – sull’incontro e la liason tra Bonaparte e Giuseppina di Beauharnais. Un rapporto passionale, intenso, dove il regista (o chi per lui) ha sicuramente sbirciato nella corrispondenza tra il generale e la sua amata, traendone gli spunti più pruriginosi. Peccato però che Vanessa Kirby, in tutta la sua bellezza, appare molto più giovane del suo coraggioso fidanzato: dare una giusta immagine della ‘bella creola’ sarebbe stato poco funzionale al film.
Napoleone in Egitto, prima della battaglia delle Piramidi, ordina di bombardarne la sommità per intimorire i nemici. Perché mai inventarsi un fatto simile? Stendiamo poi un velo pietoso sulle motivazioni che spinsero Bonaparte ad un veloce rientro a Parigi: qui le note si tingono di rosa poiché non è la controffensiva austro russa del 1799 a muovere l’animo di Bonaparte, bensì l’infedeltà della moglie. Il momento propizio per prendere il potere, un Direttorio allo sfacelo, nulla contano rispetto la gelosia e i peccatucci di una donna che – e lo sapeva bene – sin dall’inizio sapeva essere piuttosto allegra. Sul colpo di stato del 18 brumaio il regista americano è stato più veritiero, ritraendo un Napoleone insicuro, malmenato dall’Assemblea e protetto dal fratello Luciano. Manca del tutto Marengo, episodio che sigillò il potere del Primo console in Europa, come non vi è traccia delle prime campagne d’Italia che lo portarono alla ribalta.
I combattimenti proseguono con una trasposizione singolare della nota battaglia di Austerlitz: un isolato accampamento francese, con tanto di soldati trincerati, che poi si lanciano contro il nemico a baionetta innestata. Basta guardare le scene di Waterloo, film prodotto con i mezzi a disposizione nel 1970, per accorgersi che qualcosa di molto meglio poteva essere fatto! La scena del lago ghiacciato – nella realtà era lo Satschan Meer – pone l’accento su un episodio francamente marginale rispetto l’intero piano tattico di Napoleone.
Il prosieguo del film indugia sull’affannosa ricerca di un erede per l’Impero, il trasporto per Giuseppina, incluse le scene di sesso, e il drammatico divorzio (con tanto di ceffone assestato alla ex moglie). Un imperatore (scena dell’incoronazione molto povera) solo nell’animo e nella persona, attorniato dal nulla: personaggi straordinari che lo affiancarono nel corso della sua carriera sono stati completamente dimenticati e mai menzionati. Solo il ministro Talleyrand trova spazio, ma ritagliato sulla sua malformazione e opportunismo, ma anche la madre Letizia preoccupata della prolificità del figlio. La campagna di Russia scorre abbastanza veloce con la scena dell’incendio e la drammatica ritirata poi, con un balzo temporale, si passa all’abdicazione del 1814, l’Elba e il ritorno in Francia.
A Waterloo inizia la decadente apoteosi non solo di Napoleone, ma del film stesso. Quella di Waterloo fu una battaglia articolata; Scott la concepisce come una fila di soldati inglesi trincerati - tipo La Somme nel 1917 - e una carica di cavalleria con lo stesso Napoleone al galoppo con la spada sguainata a caccia del nemico. Ma non basta! Uno Sharpshooter delle Green Jackets prende di mira l’uomo sul cavallo bianco, simbolo di Francia, trapassandone il mitico cappello con un colpo mancato! Forse quell’episodio albergava nella mente del regista, o meglio, gli sarebbe piaciuto che le cose finissero così. Magari con Napoleone caduto, sanguinante, davanti al portone ligneo di Hougoumont oppure trafitto in singolar tenzone dal duca di Wellington. A questo proposito, alla fine, a bordo della nave che lo avrebbe condotto a Sant’Elena, avviene l’idilliaco e quanto mai fantascientifico incontro tra l’imperatore e il duca, come Al Pacino e De Niro al tavolo del bar nel film The Heat. L’ultimo ciack di questa sconclusionata messa in scena vede Napoleone accasciarsi di fronte lo sterminato panorama acqueo dell’isola. Un modo frettoloso ed indegno di porre fine ad un’epica che avrebbe meritato un’enfasi maggiore e qualche riflessione in più. I titoli di coda indugiano sulle battaglie e il conteggio delle vittime delle guerre napoleoniche, condannando all’oblio tutto ciò che Napoleone ha significato per l’Europa e il mondo. Probabilmente gli americani tengono molto a questo tipo di calcoli, immaginando o sperando sempre di trovare chi ha fatto peggio di loro: però non c’è gara e nessuno gli toglie il primato delle morti inutili senza aver mai dato nulla.
All’uscita dalla sala pesa la delusione, tuttavia è impossibile non pensare ad un fatto, incontrovertibile nella carriera di Napoleone. In tutta la sua vita politica, l’imperatore dei francesi ha sempre dimostrato una grande abilità nel modificare gli avvenimenti per suo tornaconto personale. Proprio la narrazione distorta della battaglia di Marengo segnò l’inizio di questo modus operandi che trasformò Napoleone in un genio della comunicazione. Le rappresentazioni iconografiche poi, sono un ulteriore passo verso un acceso culto della personalità: quadri che rappresentano l’eroe di Francia come un novello Annibale sulle Alpi, oppure ‘sovrano taumaturgo’ che tende la mano agli appestati di Jaffa. Una serie di episodi confezionati ad hoc per onorare la sua ambizione, la sua magnificenza e il suo ego smisurato. Non parliamo poi dei Bollettini della Grand Armée per i quali fu coniato il famoso detto: “mentire come un bollettino”.
Purtroppo però, il compito di un film storico è un altro, vale a dire restituire al pubblico un’immagine per quanto possibile veritiera del personaggio o dell’avvenimento, senza sentire il bisogno di farcirlo con episodi mendaci, strampalati e privi di fondamento. A questo ci pensò già, nel 1823, Emmanuel de Las Cases quando consegnò alle stampe il celebre Memoriale di Sant’Elena, un best seller epocale nel quale Napoleone raccontò l’ultima versione della sua vita. Ridley Scott si è misurato con un soggetto più grande di lui dimostrando che il potere del cinema americano, con le sue infinite risorse e mezzi computerizzati, incespica su tematiche che pretendono rispetto, approfondimento e coerenza scenica. La storia è una cosa dannatamente seria e chi la rappresenta – su qualsiasi veicolo mediatico – ha una grave responsabilità. Per tutto il resto, manipolazione inclusa, ci pensa già la politica.
Paolo Palumbo