L’economia mondiale si sviluppa in modo ineguale e l’equilibrio tra domanda e offerta si realizza attraverso aspri conflitti economici tra le imprese, i settori industriali, i paesi. Di questo processo è parte integrante (e rilevante) l’industria della difesa anche se quello bellico è un mercato particolare dove le sfere d’influenza e il ruolo dei governi fanno sentire il loro peso in misura maggiore rispetto ad altri ambiti.
La fine del cosiddetto bipolarismo ha rappresentato uno snodo cruciale per i più grandi fabbricanti d’armi, innanzitutto per i gruppi di punta del “duopolio euroatlantico”. La competizione tra imprese per la conquista, l’espansione e il consolidamento della propria quota di mercato presenta molti tratti in comune con la contesa per le rispettive sfere di influenza che contrappone le diverse potenze. Non a caso nei corsi di strategia e direzione d’impresa delle facoltà di economia vengono citati von Clausewitz e Sun-Tzu.
Per avere un’idea del “campo di battaglia” costituito dal “mercato” della difesa il SIPRI Yearbook 2015 riporta un livello della spesa militare per il 2014 pari a 1.776 MLD di dollari, con una diminuzione in termini reali dello 0,4% rispetto al 2013, quindi una sostanziale stabilità anche se si tratta della terza flessione consecutiva (2013: -1,9%, 2012: -0,4%). Solo una parte di questa cifra è destinata all’acquisto di armamenti (procurement), di cui è possibile trarre un riferimento quantitativo considerando il fatturato delle imprese del settore.
Le valutazioni più recenti in merito, sia del SIPRI che di Defense News (che riguardano solo i produttori di grandi sistemi d’arma), sono del 2013. I primi 100 gruppi totalizzano un fatturato militare di circa 400 MLD di dollari e considerando che il loro peso sul totale mondiale è stimato al 75-80%, è ragionevole ritenere che il giro d’affari complessivo sia attorno ai 500-600 MLD di dollari, attestandosi tra il 25 e il 30% della spesa militare mondiale.
Non è la dottrina elaborata dalle diverse scuole del pensiero economico a stabilire quale sia la massa critica ottimale di un’azienda e la migliore combinazione tra grandi, piccole e medie imprese che compongono il tessuto economico-industriale di un dato mercato nazionale di riferimento ma le condizioni della lotta di concorrenza e il grado di apertura al mercato mondiale.
Il secondo millennio si è chiuso con il decennio della globalizzazione la cui data simbolo di inizio viene convenzionalmente fissata al 09 novembre 1989 con la caduta del muro di Berlino. Facendo la dovuta tara rispetto all’enfasi a cui non pochi commentatori si sono abbandonati nella descrizione del fenomeno (non certo nuovo di per sé ma dai tratti inediti per dimensione e intensità), è innegabile l’accelerazione impressa in quegli anni ad alcune tendenze relative all’economia mondiale.
Il commercio internazionale registrava ritmi di crescita quasi doppi rispetto a quelli del prodotto interno lordo complessivo e con la prospettiva di integrazione nel sistema economico globale di paesi che rappresentavano oltre la metà della popolazione mondiale si delineava un salto dimensionale epocale dello scenario competitivo per le imprese internazionalizzate.
Secondo il settimanale tedesco Der Spiegel erano ormai passati i tempi in cui la competizione si decideva tutta nel triangolo Unione Europea, Stati Uniti e Giappone. Le imprese hanno cominciato a considerare tutto il mondo il loro mercato (“L’unico padrone è il mercato”, 23/09/1996). Nonostante tutte le specificità del settore, questo fenomeno farà sentire i suoi effetti anche sull’industria della difesa che non è certo estranea alle dinamiche dell’economia internazionale.
Per competere nelle acque agitate del mercato globale le imprese più internazionalizzate hanno dovuto dotarsi di una dimensione adeguata facendo da apripista ad un processo di crescita per linee esterne attraverso fusioni e acquisizioni (Mergers & Acquisitions) sempre più necessarie anche per far fronte all’aumento verticale dei costi di ricerca e degli investimenti.
Tabella 1. 1996 – Le prime 10 acquisizioni
Acquirente |
Acquisto |
Settore |
Valore MLD $ |
Sandoz (CH) |
Ciba-Geigy (CH) |
chimico-farmaceutico |
36,3 |
British Telecom (UK) |
MCI (USA) |
TLC |
24,0 |
Bell Atlantic (USA) |
Hynex (USA) |
TLC |
22,0 |
SBC Communications (USA) |
Pacific Telesis (USA) |
TLC |
16,0 |
Boeing (USA) |
McDonnell Douglas (USA) |
aeronautica, difesa |
13,5 |
Worldcom (USA) |
MES Communications (USA) |
TLC |
13,0 |
US West Media Group (USA) |
Continental Cablev. (USA) |
TLC |
12,0 |
Nationsbank (USA) |
Boatmen’s Bankshares (USA) |
banche |
10,0 |
CSX Corporation (USA) |
Conrail (USA) |
ferrovie |
9,4 |
AXA (F) |
UAP (F) |
assicurazioni |
9,0 |
Fonte: Securities data
Così nel 1996 il controvalore di queste operazioni ha superato per la prima volta i 1.000 MLD di dollari e a tirare la volata al record di M&A sono state le telecomunicazioni che nei soli Stati Uniti hanno totalizzato 120 MLD di dollari, mentre la maglia rosa per la maggior fusione dell’anno viene assegnata in Europa nel settore farmaceutico con l’operazione Ciba-Sandoz per un valore di 36,3 MLD di dollari.
In quegli anni lo scenario dei protagonisti dell’industria farmaceutica è risultato radicalmente cambiato, sia a livello mondiale che nazionale, rappresentando uno degli ambiti che si è particolarmente distinto come cartina di tornasole di alcuni aspetti di carattere più generale che interessano anche la difesa.
I costi della scoperta e dello sviluppo del farmaco sono altissimi, i tempi sempre più lunghi e di conseguenza, per mantenere profitti ed investimenti, diventano necessarie sia la globalizzazione del mercato sia le economie di scala (“La chimica e l’industria”, Giornale di chimica industriale e applicata, luglio-agosto 1997).
Ogni programma considerato “top level” dal Pentagono affronta nove distinti livelli di valutazione da parte dei suoi funzionari, con una procedura che mediamente richiede 10 anni. Un grande sistema d’arma moderno, come un caccia di ultima generazione, si presenta come un “sistema di sistemi”, comporta lo studio dell’aerodinamica, della propulsione, dei materiali, dell’armamento, dell’elettronica e dell’informatica di bordo e in parallelo quello dell’integrazione di queste diverse parti. La sofisticazione tecnologica dei gioielli dell’industria della difesa alimenta un’escalation dei costi che interessa tutta la catena, dalla progettazione ai costi accessori e di manutenzione.
La tecnica che domina la strategia di prodotto in queste imprese è la “life cost cycle”, dato che gli acquirenti sono interessati a conoscere al momento dell’acquisto (ovviamente si tratta di una ragionevole stima che sia il più possibile plausibile e documentata), il costo totale durante l’intero arco di vita utile del prodotto. In questa ottica l’azienda produttrice si impegnerà nella riduzione dei costi di progettazione, di sviluppo, di fabbricazione e del numero delle operazioni di manutenzione. Inoltre la conclusione di ogni contratto include mediamente un periodo di 3-5 anni di assistenza logistica al prodotto.
La natura politico-strategica del rapporto tra industria militare e governi degli stati committenti assicura un certo grado di stabilità alle imprese che operano nella difesa ma non le rende del tutto immuni dalla pressione della concorrenza internazionale, anche per il fatto che nella maggior parte dei casi è presente una quota di produzione “civile” e l’attività di un’azienda non funziona a compartimenti stagni, indipendentemente dalla configurazione giuridica scelta per la sua struttura proprietaria.
Inoltre il mutamento che ha interessato lo scacchiere internazionale ha aperto un lungo periodo di oculatezza per i bilanci pubblici che dopo il 2008, con il precipitare della crisi finanziaria, ha assunto i tratti di una vera e propria “guerra dei debiti sovrani”.
La prospettiva di doversi confrontare con nuovi competitori espressione delle potenze emergenti, o “riemergenti”, che possono contare sul retroterra di un mercato nazionale dove il peso della spesa pubblica sulla competitività è molto ridotto rispetto alle vecchie potenze, rendeva necessaria una taglia maggiore anche per i produttori di armi, a cominciare dai colossi che rivestono il ruolo di prime contractors.
A questo proposito ad aprire le danze non potevano essere che gli Stati Uniti, dove razionalizzazione dei programmi e ristrutturazione industriale dovevano fare i conti anche con l’archiviazione del periodo d’oro del ciclo di riarmo che aveva caratterizzato gli anni ’80 nell’arco dei due mandati dell’amministrazione Reagan.
Nel 1993 lo staff del Pentagono con a capo il segretario alla difesa Leslie “Les” Aspin, organizza una riunione con i dirigenti dei principali gruppi della difesa USA (che alcuni commentatori definiranno “the last supper”: l’ultima cena), presieduta dal vice segretario William J. Perry, il quale terrà un discorso con cui li esorta a intraprendere una serie di fusioni e acquisizioni offrendo come incentivo la possibilità di cancellare i costi di ristrutturazione.
I primi a raccogliere l’invito saranno i vertici di Lockheed, all’epoca e tuttora, leader mondiale nella vendita di armi, infatti la rivale Boeing ha un fatturato doppio rispetto al gruppo del Maryland ma quest’ultimo ottiene il 90% dei propri ricavi dalla vendita di armi mentre nel caso di Boeing questo indicatore si ferma al 37%. Nel 1994 Lockheed lancia l’operazione di acquisto di Martin-Marietta per un valore di 10 MLD di dollari.
Nel dicembre del 1996 Boeing (Seattle) e McDonnell Douglas (Chicago), all’epoca 2° e 4° gruppo aerospaziale mondiale, raggiungono un accordo per fondere le loro attività. Questa operazione con un valore di 13,5 MLD di dollari si colloca al 5° posto tra le M&A mondiali di quell’anno, con un allargamento importante della gamma produttiva del neonato colosso. Tra le altre l’impresa dell’Illinois apportava al gruppo integrato la produzione dei caccia F-15 ed F/A-18 e nella primavera del 2001 Boeing ha deciso di eleggere Chicago a nuova sede del suo quartier generale, con Seattle che rimane il maggior centro di produzione ma la capitale dell’Illinois ospita il vertice della holding.
Il 1997 si apre con l’annuncio da parte di Raytheon, sesta azienda in graduatoria, dell’acquisto di Hughes Electronics (terza). Per tutta la seconda metà degli anni Novanta nel settore aerospaziale americano si sono realizzate una quarantina di M&A per un ammontare complessivo di 70 MLD di dollari.
Con l’arrivo del 2000 la lista delle fusioni tra i gruppi fornitori del Pentagono si è allungata con l’acquisizione di Newport News Building e di TRW da parte di Northrop Grumman nel 2002 (rispettivamente per 2,6 e 7,8 MLD di dollari), e successivamente di Veridian da parte di General Dynamics (1,2 MLD di dollari). Nel 2005, L-3 Communications ha assorbito Titan per 2,65 MLD di dollari, DRS (com’è noto nel 2008 acquisita da Finmeccanica) ha comprato Engineered Support Systems (1,88 MLD).
Complessivamente dal 1993 al 2006 i maggiori gruppi del settore negli Stati Uniti passano da una trentina a sei protagonisti principali: General Dynamics, Lockheed-Martin, L-3 Communications, Northrop Grumman, Boeing e Raytheon.
Il record per la maggiore operazione di sempre (per quanto non strettamente militare) nel settore aerospaziale, resta al momento quello registrato nel settembre 2011 con l’acquisizione da parte di United Technologies di Goodrich, importante gruppo dell’aviazione civile, per un valore di 16,4 MLD di dollari. La conglomerata del Connecticut è da decenni nella Top 10 dei fornitori del Pentagono e nel 2013 secondo i dati di Defense News, ha chiuso in sesta posizione (ottava a livello mondiale) con un fatturato riconducibile a forniture militari pari a 11,9 MLD di dollari, il 19% del proprio giro d’affari totale.
Figura 1: le principali concentrazioni nell’industria militare degli Stati Uniti
Fonte: Chiara Bonaiuti-Debora Dameri-Achille Lodovisi, a cura di, “L’industria militare e la difesa europea”, Jaca Book 2008
Le vicende legate all’industria bellica costituiscono una storia che, come in tutti gli altri settori, comporta assorbimenti, concentrazioni, ascese e declini, tutti fenomeni che si manifestano con particolare evidenza in un ciclo di ristrutturazione come è stato quello degli anni Novanta. Ogni ristrutturazione fa le sue vittime e decreta i suoi vincitori e, dato l’attivismo di vecchie e nuove potenze nello scenario internazionale, i verdetti emessi non possono considerarsi definitivi come dimostra l’annuncio del 21 luglio scorso relativo all’acquisizione di Sikorsky (divisione elicotteri del gruppo United Technologies), da parte di Lockheed-Martin per 9 MLD di dollari.
Il costo effettivo dell’operazione per il colosso di Bethesda dovrebbe essere di 7,1 MLD grazie alla possibilità di accedere a sgravi fiscali per 1,9 MLD e i vertici aziendali, così come i principali operatori dei mercati finanziari, ritengono che non dovrebbero esserci problemi per il via libera delle autorità di vigilanza sulla concorrenza. Quindi non dovrebbe ripetersi la situazione del 1998 quando l’acquisizione di Northrop Grumman, da parte proprio di Lockheed-Martin, venne bloccata dal pronunciamento sfavorevole del Dipartimento di Giustizia.
In ultimo, in tutto questo quadro bisogna sempre tenere presente che in media – e questo vale in generale per tutti i settori - meno della metà delle fusioni e acquisizioni concluse supera i 7 anni di attività: una sorta di rischio di “crisi del settimo anno” in chiave aziendale.
Resta il fatto che i grandi produttori d’armi a stelle e strisce si sono presentati rafforzati all’appuntamento con il terzo millennio. Come si vedrà sulla sponda europea dell’Atlantico non si è rimasti a guardare ma per una pluralità di ragioni riconducibili in definitiva alla storia, i concorrenti europei si trovano a dover inseguire facendo i conti con una partenza da posizioni arretrate e il fatto che i diversi stati dell’Unione siano impegnati nella sfida di dotarsi di una dimensione da potenza continentale, processo a cui l’industria della difesa è legata a doppio filo, rende il risultato di questa rincorsa per niente scontato.
(foto: Difesa Online)