Sandro Matteoni
Ed. Giunti
pagg. 308
Ne avevo abbastanza delle serie televisive hollywoodiane sui Romani. Va bene romanzare sulla storia, ma non ne potevo più di vedere i gloriosi centurioni e i loro soldati morire come ebeti ed i generali dipinti come degli emeriti incapaci! Ma i Romani non erano stati in grado di costruire il loro Impero grazie soprattutto proprio al loro potente esercito?
Valeva la pena rispolverare un po’ di storia militare. A causa della mia proverbiale ignoranza, però, inizialmente mi sono perso tra decine di titoli di libri sull’argomento. Poi mi ha incuriosito un lavoro che offriva un punto di vista particolare: quello di Matteoni, uno storico militare che ha dedicato un libro ad un avamposto dell’Impero Romano nel nord della Britannia, il forte di Vindolanda. Esso sorse lungo una importante strada militare Romana, a ridosso della zona dove più tardi fu costruito il famoso “Vallo Adriano”, che contribuì per anni a difendere l’Impero dai “barbari” del nord.
In effetti, grazie a questo libro ho trovato molte risposte alle mie perplessità e ho appreso numerose nuove informazioni sulla poderosa e raffinata macchina militare Romana. Si tratta, infatti, di un ottimo lavoro basato un’eccezionale scoperta archeologica che ha permesso di ricostruire la vita dei soldati appartenenti ad alcune unità ausiliarie dell’esercito Romano all’interno del forte. Ma non fatevi ingannare dal termine “ausiliarie”. Matteoni, infatti, spiega come non si debba incappare nell’errore di pensare che tali unità abbiano avuto un ruolo secondario nell’esercito Romano. Al contrario, si trattava di unità di fanteria leggera o di cavalleria o miste, a cui veniva attribuito un preciso e rilevante ruolo nell’ambito della macchina bellica Romana. Difatti esse erano integrate negli ordini di battaglia dell’esercito e affiancavano le unità di fanteria pesante d’élite: le famose Legioni Romane. Inoltre, le coorti ausiliare avevano una particolarità: a differenza delle Legioni, composte interamente da cittadini Romani, esse erano formate da soldati provenienti dalle province dell’Impero, che acquisivano l’agognata cittadinanza Romana solo dopo almeno 20-25 anni di ferma (se sopravvivevano alle campagne militari a cui partecipavano!). Inoltre, ogni coorte era composta da soldati appartenenti alla stessa etnia o tribù e spesso tra di loro vi erano molti consanguinei. Una garanzia per la coesione dei reparti.
Tornando al libro, dopo una prima parte dedicata a ripercorrere la storia dell’occupazione Romana della Britannia, esso ricostruisce la storia e la vita all’interno del forte di Vindolanda, basandosi sulle incisioni delle numerose tavolette lignee rinvenute e sugli altri reperti miracolosamente giunti ai giorni nostri, grazie alla particolare conformazione geologica del terreno. In particolare, tale eccezionale scoperta ha permesso di ricostruire la vita nel forte nei periodi in cui vi hanno servito per Roma le coorti ausiliarie dei Batavi e dei Tungri. Queste erano due tribù dei territori dell’Europa centro-settentrionale che adesso fanno parte del Belgio e dell’Olanda. I guerrieri di tali tribù si guadagnarono sui campi di battaglia la fama di essere formidabili e valorosi combattenti. Tant’è che l’Impero concesse ai Batavi il privilegio di non pagare alcun tributo a Roma, bensì essi avevano l’onore di servire Roma fornendo continuamente truppe fresche da schierare nell’esercito. Un onore riservato a pochissime altre popolazioni delle province e per questo i soldati Batavi si sentivano pienamente integrati con i “colleghi” Romani delle più blasonate Legioni.
Leggendo il libro è stato straordinario scoprire quanto fosse diffusa la scrittura in latino tra i soldati di tali unità, tra i loro familiari e persino tra i loro schiavi. Ed è stato straordinario leggere i contenuti delle tavolette giunte ai giorni nostri, poter rivivere la vita nel forte e conoscere le persone che lo hanno abitato. È sorprendente apprendere quanto fosse imponente, efficiente e moderna la macchina bellica Romana. Certo non era invincibile, ma era capace di manovrare su uno scacchiere che comprendeva tutto il mondo allora conosciuto con il solo ausilio delle torri di segnalazione, le strade e le staffette a cavallo. Era un esercito tanto moderno, quanto basato su pochi elementari pilastri: disciplina, organizzazione, strategia e logistica. Tutto qua. Ma erano principi applicati veramente, non a parole.
Confesso che leggendo il libro di Matteoni mi sono ritrovato più volte ad immaginarmi il comandante, anzi il prefetto, della IX coorte Batava, Flavio Ceriale che alla testa del proprio reparto si volta verso il “suo” forte per ammirarlo un’ultima volta. Chissà quali pensieri saranno passati nella sua mente mentre osservava i propri centurioni dare l’odine di marcia alle rispettive centurie? Avrà pensato che era grazie al loro valore ed alla fama della sua tribù se l’Imperatore aveva dato l’ordine di lasciare il forte ai soldati Tungri e di marciare verso il Danubio, fino ad una regione dell’attuale Bulgaria. Laggiù stava per cominciare la seconda invasione della Dacia (la Romania di oggi) e l’Imperatore aveva bisogno dei Batavi per combattere fianco a fianco con le sue Legioni! Con questi pensieri Flavio Ceriale, probabilmente, guardò per un’ultima volta il forte presidiato per anni, passati tenendo a bada i “patetici Britanni” o “Brittunculi”, come li ha definiti un soldato Batavo incaricato di addestrare alla guerra i giovani autoctoni. Infine Flavio si sarà voltato e avrà dato l’ordine di marciare verso la Dacia, da cui lui e i suoi uomini non faranno mai ritorno. Della IX coorte Batava, infatti, si sono perse le tracce proprio nelle remote terre dell’Europa centro-orientale.
All’improvviso, mentre sono perso in questi pensieri, le notizie di cronaca del telegiornale mi riportano all’attuale triste realtà italica e mi chiedo: “come è potuta collassare e sparire una civiltà del genere?” Questa è l’ultima domanda che mi passa per la mente prima che un sottotitolo rosso fuoco irrompa come un fulmine sotto la pancia del giornalista: i caratteri cubitali bianchi annunciano solennemente che il nuovo Imperatore è stato eletto! Mi viene spontaneo chiedermi “e adesso quale destino attende le province dell’Impero e le loro coorti ausiliare?”
Ciro Metaggiata