Gianni Oliva
Ed. Le scie Mondadori
pagg. 233
In Italia, ancora oggi, esistono storie controverse che non si possono raccontare liberamente e grandi militari di cui si sente parlare assai raramente. Addirittura, qualcuno vorrebbe relegare in questa sorta di oblio interi reparti militari che, invece, hanno fatto la storia delle nostre Forze Armate.
In particolare, il libro “Combattere” si apre con il seguente interrogativo: cosa hanno in comune gli arditi e gli incursori delle MAS (Motobarche Armate Siluranti) della Grande Guerra con i paracadutisti della Divisione “Folgore”, gli incursori della X^ flottiglia MAS e gli uomini “gamma” che hanno combattuto invece nella II^ Guerra Mondiale? Secondo Gianni Oliva, apprezzato storico, quegli uomini condividono l’accostamento ad una precisa area politica, ovvero quella della destra, e per tale motivo sono vittime di un vero e proprio oscurantismo che, mediante preconcetti e rimozioni storiche, tende ad escluderli dalla “vulgata storica” italiana. In tale ottica, è emblematica l’iniziativa intrapresa il 17 febbraio 2000 dal Presidente della Repubblica di allora, Carlo Azeglio Ciampi (lo stesso che ha ristabilito la celebrazione del “2 giugno” e la relativa parata): quel giorno, dopo più di cinquant’anni dai fatti, si rese finalmente omaggio ai caduti della battaglia di El Alamein, località dove oggi sorge un sacrario militare italiano a memoria delle migliaia di giovani italiani che in quel luogo, nel ’42, trovarono la morte e dove il più alto tributo di sangue fu pagato dalla Divisione “Folgore”. Nonostante questa iniziativa, rimasta peraltro pressoché isolata, Oliva sottolinea il fatto che ancora oggi il cittadino medio italiano è portato a ricordare, con relativa facilità, gli alpini caduti durante la ritirata dalla Russia, piuttosto che i paracadutisti caduti a El Alamein. Oliva si chiede se ciò sia dovuto al fatto che i giovani volontari paracadutisti vengano generalmente considerati “di destra”, mentre parlare degli alpini mandati dal regime fascista al massacro in Russia sarebbe “di sinistra”. Fortunatamente la storia, quella vera, è un’altra.
L’autore, in particolare, ripercorre le vicende dei corpi speciali italiani a partire da quelle relative ai reparti degli “arditi” della I^ Guerra Mondiale: benché siano stati decisivi in molte battaglie e precursori di un nuovo modo di combattere, al termine del confitto furono sciolti in tutta fretta, in quanto considerati da chi all’epoca era al potere, troppo “scomodi” e potenzialmente pericolosi. Gli arditi e il loro modello di combattentismo divennero, in seguito, icone del regime fascista e per questo si legarono fatalmente ad esso. Perciò, Oliva sottolinea come nell’immaginario collettivo si andò a determinare una errata sovrapposizione, che resiste tutt’ora, tra “reparto d’assalto”, “squadrista ardito” e “uomo fascista ardito”, in cui si perse l’originale significato di “reparto speciale”.
Anche gli incursori dei MAS, capaci di compiere audaci attacchi alle navi austroungariche fino dentro i porti nemici, patiranno e patiscono tuttora una simile sorte. Dopo i successi della I^ Guerra Mondiale, il ventennio fascista li sfruttò a fondo per i propri scopi sia militari sia politici, tanto che la Xa MAS viene tuttora generalmente associata esclusivamente e a torto, ai terribili fatti di sangue accaduti durante il regime della Repubblica Sociale. In realtà, la Xa flottiglia, come tutti i reparti italiani, fu colta impreparata dall’armistizio e le sue fila si divisero sui due fronti belligeranti contrapposti. L’autore ci ricorda anche le origini degli incursori subacquei e le loro imprese al limite dell’impossibile durante i due conflitti mondiali e quelle, altrettanto ardite, degli uomini “gamma”. Leggendo le storie di questi reparti si apprezza come le notevoli innovazioni tecnico-tattiche e procedurali in campo militare introdotte con la creazione di tali unità, furono accompagnate da novità tecnico-scientifiche altrettanto avanzate per l’epoca: oltre ai citati MAV, nel libro viene descritto come furono inventati, sperimentati e introdotti in servizio, i Siluri a Lenta Corsa (meglio noti come “maiali”), gli autorespiratori, i barchini esplosivi e altro ancora. Materiali e tecnologie sorprendenti per l’epoca, frutto dell’ingegno italiano.
Oliva, successivamente, riporta le vicende storiche della citata Divisione Folgore e dei suoi paracadutisti, dalla nascita della specialità, passando alla battaglia di El Alamein e a quelle, meno note, di Filottrano (commemorata pochi giorni fa) e di Nettuno, fino alla sua ricostituzione quale Brigata dell’Esercito repubblicano nel dopoguerra. Anche i paracadutisti vissero l’armistizio drammaticamente, arrivando al vero e proprio scontro fratricida: il Tenente Colonnello Bechi, reduce di El Alamein schieratosi da subito con il governo Badoglio, perì ad un posto di blocco in Sardegna, colpito a morte da una mitragliata di un paracadutista che, invece, scelse di continuare a combattere con i tedeschi. Quindi, non si può certo omologare, come invece si tende a fare in certi ambienti fortemente politicizzati, i paracadutisti al fascismo. Come detto, molti di essi, all’indomani del fatidico 8 settembre, continuarono a combattere per la cosiddetta Repubblica di Salò, ma molti altri, invece, si fecero onore battendosi al fianco degli Alleati nella guerra di Liberazione. Questa è storia. Tutto il resto è rivisitazione della storia in chiave politica.
Per finire, l’autore ripercorre le tappe della ricostruzione delle nostre Forze Armate dopo l’ultima guerra, focalizzando l’attenzione sulle forze speciali e sui corpi speciali o specializzati. In particolare, partendo dal contesto politico-militare internazionale e da quello nazionale dell’immediato dopoguerra, Oliva riporta le vicende storiche del “San Marco”, dei “Lagunari”, degli incursori del COMSUBIN, della Brigata “Folgore”, del Reggimento paracadutisti d’assalto “Col Moschin”, del Reggimento “Tuscania” e del 17° stormo dell’Aeronautica. Certo, all’appello mancano alcuni reparti (per esempio, il 4° Reggimento Alpini Paracadutisti e il 185° Reggimento Acquisizione Obiettivi) ma il libro dello storico resta comunque un ottimo lavoro, in quanto affronta il controverso quesito posto all’inizio del libro, scevro da condizionamenti politici. Inoltre, ricostruisce con obiettività, basandosi sui documenti ufficiali, sia le brillanti intuizioni degli Stati Maggiori delle Forze Armate sia le ottuse ritrosie a cooperare tra loro e ne riporta sia gli esaltanti successi sia i clamorosi fallimenti.
Insomma, Oliva dimostra che, al contrario di quello che si vuol far credere, il nostro Paese ha una tradizione di tutto rispetto per quanto riguarda i corpi speciali, che continua tuttora nell’ambito delle odierne Forze Armate. Naturalmente con il tempo sono cambiati gli scenari. Infatti, come scrive l’autore, “se nel ’42 il volontario che faceva l’incursore fondava la sua identità sulla motivazione ideologica, sull’adesione a un modello valoriale del tempo e sul proprio coefficiente morale, il militare volontario di oggi si caratterizza per la propria professionalità e per la propria autonomia operativa. Ciò che è cambiato non sono le attitudini individuali necessarie, né l’intensità dell’addestramento, ma la cornice culturale nella quale si opera […]”. È triste constatare, invece, come certe ideologie restino fedeli a stesse, come se il tempo non scorresse e la realtà non mutasse con esso. Ne sa qualcosa il Colonnello Albamonte, che ha pagato molto caro il fatto di essere un paracadutista da sempre e pertanto appartenente allo Stato, considerato ostile da talune “storiche” frange politiche: il 31 marzo del 2011, in un attentato rivendicato dalla “Federazione Anarchica Informale”, il Colonnello, mentre era in servizio presso la Caserma “Ruspoli” della Brigata “Folgore” a Livorno, rimase gravemente ferito a seguito dell’esplosione di un pacco-bomba. In quell’attentato il Colonnello ha perso l’occhio sinistro, quattro dita di una mano, gran parte della vista dell’occhio destro e porta ancora i segni di altre ferite minori. Ma è un paracadutista e come tale è abituato, a differenza di chi ha spedito il pacco-bomba, ad affrontare a viso aperto e con coraggio le sfide della vita: il Colonnello è tuttora in servizio e continua a fornire, come sempre, il proprio contributo ai “suoi” paracadutisti, alle Forze Armate e al suo Paese, nonostante una parte dello stesso consideri lui e la “Folgore” come obiettivi da colpire nel quadro della propria lotta politica.
In definitiva, “Combattere” è un libro coraggioso perché, in controtendenza con una certa narrativa storico-politica interna (ed estera) che vorrebbe la nostra nazione ed il suo popolo legati esclusivamente ai noti italici stereotipi, ci restituisce la memoria di uomini e di reparti valorosi, che hanno scritto importanti pagine della storia più recente d’Italia e che costituiscono una parte consistente della tradizione delle nostre Forze Armate.
Ciro Metaggiata