Trump, Salamé e le prove di riunificazione della Libia

12/12/17

La lunga fase di stallo della Libia sarà risolta, secondo il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con una nuova transizione strategica concordata con tutte le parti in causa dall'inviato speciale ONU Ghassam Salamé.

La realtà del disastro libico è sotto gli occhi di tutti: dopo oltre sette anni dalla caduta e uccisione del dittatore Colonnello Gheddafi, nessuno degli obiettivi sperati dopo la sua morte è stato raggiunto. Non solo il paese si è spaccato, ma è divenuto sede di terroristi, criminali, trafficanti di esseri umani e delinquenti, in uno stato di caos e corruzione endemici.

Il piano di Salamé riparte dagli accordi di Skhirat, la città marocchina dove furono firmati nel dicembre 2015, che comunque dovevano essere rivisti e aggiornati proprio a partire dall'autunno 2017 e il suo compito non è certamente fra i più semplici.

Infatti il Paese vede oggi due governi di cui, come noto, uno a Tripoli (GNA) con primo ministro Fayez Serraj e l'antagonista a Tobruk (LNA), guidato dal generale Kalifa Haftar. Entrambi questi esecutivi soffrono di numerosi problemi, sia sul fronte interno che estero.

Il primo cruciale rischio per Serraj è quello che milizie tripoline alleate del suo acerrimo nemico Kalifa Gwell colgano l 'occasione della fase di revisione dell'accordo per tentare un terzo golpe. I primi due infatti, per fortuna di Serraj, sono abortiti uno nell'ottobre 2016 e uno all'inizio di quest anno. Gli equilibri interni molto precari di Tripoli sono peggiorati nel siglare l’accordo di contenimento del traffico degli esseri umani con l'Italia e con le reprimende ONU sul trattamento riservato ai prigionieri.

Il generale Haftar controlla invece la Cirenaica con il sostegno del presidente egiziano Al Sissi, i Francesi e, più nell'ombra, Putin. Capo del Lybia National Army, ha combattuto ferocemente i terroristi e l'ISIS ma, con sua grande sorpresa, il parlamento di Tobruk ha dimostrato recentemente una certa volontà non solo di collaborare con Salamé nella revisione degli accordi, ma anche sullo svolgimento di regolari elezioni e sulla definizione di una nuova costituzione.

Così, in Libia si confrontano non solo milizie e terroristi ma ben 40 tribù. Salamé (foto) sembra essere riuscito a convincere le potenti tribù Tuaregh, Tebu e altre molto influenti come Tarhuna, Zuwaye, Al Awari (che combatté senza tregua contro il generale Graziani) e Beidat. I loro capi bastone, riuniti insieme ai principali sindaci, hanno "giurato" che non si muoveranno prima delle elezioni. Quindi, apparentemente, tutti gli interlocutori sembrano essere coinvolti nel processo di revisione degli accordi e nella definizione della nuova costituzione.

Naturalmente questi non sono gli unici problemi. La mancanza di liquidità per un paese che vive di stipendi pubblici è esiziale, il tentativo di aumentare l’estrazione dell'oro nero non è riuscito, l’agricoltura è crollata, la disoccupazione è alle stelle.

La nuova speranza di risolvere il caos libico da parte di tutta la comunità internazionale è, pertanto, che le elezioni del 2018 pongano le premesse di una reale riconciliazione nazionale e una ripresa economica che consenta alla Libia di restare in piedi.

Nel paese del traffico, mai visto fino ad oggi, di 5 milioni di esseri umani provenienti da tutta l’Africa, dove convivono ben 135 milizie armate, con l’Egitto che utilizza la Cirenaica come una sua zona cuscinetto contro il terrorismo e gli USA che confidano nella sconfitta di Haftar, detestato da tutto l'apparato militar-burocratico americano e perfino dallo stesso Trump, che sostiene apertamente Serraj e i suoi adepti, viene inesorabilmente in mente Gaetano Salvemini, che si chiedeva nel corso della guerra italo-libica del 1911 a chi potesse interessare quello scatolone di sabbia povero e tribale.

Ma la Libia riveste invece un fortissimo ruolo strategico per l’Italia, è il ponte tra Africa ed Europa, e non solo: il suo petrolio di ottima qualità e l’oro delle miniere del sud sono appetiti soprattutto dai Francesi che sono parte integrante della catastrofe libica e da anni combattono una guerra economica contro l'ENI e qualsivoglia presenza italiana nell'area.

In conclusione, l’appoggio di Trump all’operazione Salamé è ormai così esplicito che perfino Putin sta mediando. Lev Dengov, capo del gruppo di contatto russo per la Libia ha affermato due settimane fa che la regione più importante per la stabilità libica non è la Cirenaica (di Haftar) ma il Fezzan, la porta per il continente africano.

Con Salamé quindi le prove per la “riunificazione” della Libia sono iniziate. Vedremo come andranno a finire.

Prof. Arduino Paniccia

Presidente ASCE-Scuola di Competizione Economica Internazionale di Venezia e Docente di Studi Strategici

(foto: U.S. DoD / UN)