Jérôme Bimbenet: Leni Riefenstahl. La regista di Hitler

Jérôme Bimbenet
Ed. Lindau
pagg.376

Una nuova appassionata e appassionante biografia firmata dallo storico del cinema Jérôme Bimbenet, Leni Riefenstahl. La regista di Hitler, ricostruisce la vicenda drammatica, frutto di un ampio lavoro di ricerca, di una delle personalità artistiche più poliedriche e geniali, ma anche più controverse del Novecento, scomparsa nel 2003 a centouno anni.

Il nome di Leni Riefenstahl resta indissolubilmente legato alla figura di Adolf Hitler e ai suoi rapporti di collaborazione col regime nazista. Ma la regista, nelle sue memorie (Stretta nel Tempo- Storia della mia vita), nega ogni responsabilità propagandistica, nega il suo culto del capo del nazionalsocialismo, ammettendo solo di aver prestato il suo talento. “Per lei hanno contato solo l'arte e l'estetica. Ed è proprio questo rimprovero ciò che deturpa la sua memoria e oscura la sua gloria futura”(p. 355).

Bertha Amalie “Leni” Riefensthal nasce a Berlino il 22 agosto 1902 in una famiglia dell'alta borghesia tedesca. Dopo gli studi di pittura si dedica alla danza, ma nel 1923 un infortunio al ginocchio la costringe a rinunciarvi. Verso la metà degli anni Venti debutta come attrice, interpretando una serie di film di Arnold Fanck, l’inventore dei film di montagna, Bergfilme, un genere cinematografico molto in voga nella Germania di Weimar. Passa poi, su consiglio e incoraggiamento del grande cineasta Gorg W. Pabst, dietro la macchina da presa per dirigere nel 1932 Das Blaue Licht (La bella maledetta - La Luce azzurra), da lei anche scritto e interpretato.

Ma la svolta per la sua carriera arriva con l’ascesa al potere dei nazisti. Leni Riefenstahl non era iscritta al Partito Nazionalsocialista e mai ne avrebbe preso la tessera, né aveva manifestato alcun interesse per lo stesso Hitler, almeno fino al febbraio del 1932, quando assiste ad un suo comizio allo Sportpalast di Berlino. É una folgorazione: “nel momento in cui [Hitler] ha parlato mi trovai sommersa in modo sbalorditivo da una visione quasi apocalittica che non mi avrebbe più lasciata [...]. Mi sentivo paralizzata […] il suo discorso esercitava in me un vero fascino”. L'emozione é così forte che spinge Leni Riefenstahl a scrivergli una lettera per esprimergli la propria ammirazione e il suo desiderio di conoscerlo personalmante. Hitler, che ha visto tutti i suoi film ed é affascinato, a sua volta, dalla grazia e dalla bellezza dell’artista, ne esaudisce il desiderio e la invita a trascorrere una giornata insieme. Durante l'incontro Hitler prova a corteggiarla, ma lei si ritrae. Una reazione “paradossale e sorprendente”, quella di Leni, che “avrebbe respinto le avance di Hitler, mentre aveva fatto di tutto per ritrovarsi da sola in sua compagnia” (p.112).

Hitler le promette: “Quando saremo al potere, lei farà dei film per me”. Dopo il primo incontro nel maggio 1932, ne seguono molti altri, fino all'ultimo, nel marzo 1944, nel Berghof , lo chalet di montagna di Hitler sull'Obersalzberg.

L'incontro con Hitler cambia il suo destino. Non appena Hitler sale al potere, Leni Riefenstahl diventa la star incontrastata della cinematografia del regime nonostante l'ostilità, a suo dire, di Joseph Goebbels, il potente ministro della Propaganda. “Ma la 'guerra' tra Goebbels e la cineasta fu soprattutto un'invenzione post-nazista per cancellare la complicità di Leni con i nazisti” (p.118).

Il Führer della Germania le affida il compito di realizzare tre documentari sulla Giornata del Partito (Reichsparteitag), dal 1933 al 1935, di cui giustamente il più celebre è Triumph des Willens (Trionfo della volontà) del 1934. Un documento di eccezionale bellezza, che ha per interpreti il Führer, i più alti i gerarchi nazionalsocialisti, e migliaia di giovani, eletti a simbolo della bellezza ariana. Un'opera che esemplifica in modo magistrale la concezione nazionalsocialista della subordinazione dell'arte alla politica. Leni Riefenstahl non realizza un documentario: “Costruisce l'immagine del nazionalsocialismo”. ll Trionfo della volontà “non è tanto un film a lode del regime nazista, quanto a lode e gloria del suo capo, Adolf Hitler: 'Non c'erano che due temi c'era Hitler e c'era il popolo' ha riassunto Leni Riefenstahl. Il film è [...] costruito su una contrapposizione binaria tra la massa disumanizzata e l'individuo, in cui giustamente il capo incarna l'umanizzazione della massa, transfert della volontà di un popolo su un solo uomo”(p.149).

Per la realizzazione del film la regista dispone di piena autonomia e di un budget e mezzi tecnici illimitati, che le consentono di sperimentare, nuove tecniche e inventare un “nuovo linguaggio cinematografico”: diverse angolazioni di ripresa, molti campi lunghi e primi piani, cineprese montate su di un pallone frenato per le riprese dall'alto, buche scavate davanti agli oratori per le riprese dal basso, una trincea circolare scavata attorno al palco di Hitler, in modo che le cineprese montate su carrelli girandogli intorno diano l'illusione del movimento a una scena statica.

Il documentario riceve il Premio Nazionale di Stato (Staatspreis) al Festival di Berlino e la Coppa dell'Istituto Luce alla Biennale di Venezia.

“Il film è diventato l'archetipo dei film di propaganda”, e influenza molti grandi cineasti, da Steven Spielberg a George Lucas, a Ridley Scott.

Due anni dopo è l'anno delle Olimpiadi di Berlino. Hitler le chiede di dirigere il documentario ufficiale dei Giochi. Il Führer si rende conto dell'importanza di un tale film per diffondere nel mondo la nuova l'immagine della Germania nazionalsocialista. Leni Riefensthal accetta e, ancora una volta, per ordine di Hitler, le sono concessi mezzi tecnici e finanziari illimitati. Con la sua troupe di 170 collaboratori, di cui oltre 30 operatori, la regista mette a punto una serie ulteriore di innovazioni tecnologiche: una campana subacquea per filmare dal basso i tuffatori dal trampolino all’immersione in piscina e all'emersione, cineprese montate su di un dirigibile per le panoramiche, un teleobbiettivo speciale per ottenere primi piani perfetti, buche a bordo campo dove sono collocati i cineoperatori per seguire le riprese dal basso, cineprese montate su carrelli, ralenty. E ancora, per filmare i cavalieri al galoppo gli operatori sono appollaiati sul predellino di un'automobile.

Olympia richiede due anni per il montaggio, esce infatti nel 1938. Il risultato è davvero straordinario. Leni Riefensthal realizza un'opera di oltre tre ore che è accolta con entusiamo da critica e pubblico. Un'anteprima viene presentata all'Esposizione Internazionale di Parigi del 1937. Il documentario ottiene il Gran Premio del Cinema Tedesco, la Coppa Mussolini alla Mostra internazionale del cinema di Venezia e la Goldl Medal del Comitato Olimpico internazionale.

É il capolavoro che la consacra a livello mondiale.

Allo scoppio della Seconda guerra mondiale la regista segue come corrispondente di guerra le truppe tedesche in Polonia. Quando nell'aprile del 1945 la capitolazione del Terzo Reich è omai imminente si rifugia a Mayerhofen, in Tirolo. Qui la raggiunge la notizia della morte di Hitler. Leni Riefenstahl si butta sul letto e piange tutta la notte.

Con la caduta del Terzo Reich, la regista viene arrestata dagli Americani per collaborazione col regime nazista e rinchiusa per alcuni mesi in un manicomio criminale. Viene successivamente internata tre anni nei campi di denazificazione. Le sono confiscati tutti i suoi beni. Viene infine processata e assolta da un tribunale alleato, perché non coinvolta in attività politiche. E su di lei cala il silenzio. L’ostilità dei mezzi d’informazione, il boicottaggio sistematico del suo lavoro, la diffusione di incredibili menzogne sul suo passato, sembrano relegare la Riefenstahl al ruolo di sopravvissuta. Rifiutata dai produttori, esclusa dalle rassegne cinematografiche, attaccata dai critici, criminalizzata da certa stampa, l’artista tedesca non si arrende. Così dopo la prigionia, i processi e le discriminazioni, incomincia per la Riefenstahl una nuova vita artistica. Negli anni Sessanta decide di lasciare la Germania per recarsi in Africa, nel Sudan meridionale, dove vive per otto mesi tra le tribù dei Nuba. I suoi reportages di rara bellezza su questa popolazione primitiva vengono pubblicati da riviste specializzate di grande diffusione. E qualche anno più tardi si appassiona alla fotografia subacquea, affascinata dal mondo sottomarino dei fondali dei Caraibi e del Mar Rosso.

Leni Riefenstahl continua a girare documentari fino alla fine dei suoi giorni. I suoi film sono capolavori insuperabili che hanno fatto la storia del cinema.

Senza cadere nella trappola manichea del condannare o assolvere, Bimbenet ci restituisce in questa biografia la complessità di un’artista che per tutta la sua lunga esistenza ha ricercato incessantemente di immortalare la bellezza in tutte le sue espressioni, affascinata da tutto ciò che sprigiona vita, forza, armonia, passando dal culto del corpo e della vitalità dell’estetica nazionalsocialista, alla corporeità selvaggia dei guerrieri masakin, allo splendore dei fondali marini incontaminati.

Giulio Festa