Dall'invasione dell'Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022, gli Stati Uniti e i loro partner nelle architetture occidentali più o meno allargate (UE, NATO, G7 e alcuni paesi aderenti all’OCSE e al G20) sono stati notevolmente uniti nel loro sostegno a Kiev, ma lo sono stati molto meno riuscire a convincere altri a unirsi alla loro causa, specialmente nel cosiddetto "Sud globale" (principalmente MENA - Middle East/North Africa-Medio Oriente/Nord Africa -, Africa subsahariana, America Latina, Asia meridionale).
I governi e le popolazioni di tutto il mondo in via di sviluppo esprimono sempre più apertamente le loro obiezioni contro la narrazione mediatica globalizzata sul conflitto europeo sottolineando i doppi standard e l'ipocrisia su decenni di abbandono delle questioni più importanti per essi, sui costi crescenti della guerra e sull'acuirsi delle tensioni geopoliticoeconomiche. Quindi, soprattutto nell’ambito dei voti, che seppur simbolici hanno il loro peso, all’Assemblea Generale dell’ONU, il sostegno a Mosca sembra essere più un segno di intolleranza nei confronti degli Stati Uniti (e degli stati ‘clienti’) che un pieno allineamento ideologico con la Russia, con alcune eccezioni significative (ad esempio Bielorussia, Corea del Nord, Eritrea, Nicaragua).
Questa situazione appare sempre di più come una finestra di opportunità per la Cina, che cerca di consolidare la sua penetrazione nel sistema internazionale.
Pechino ha già avviato da anni diverse iniziative e architetture come BRI (Belt and Road Initiative) e SCO (Shangai Cooperation Organization), focalizzate a costruire una rete di Stati clienti. In passato, le superpotenze, e anche le potenze di medie dimensioni, hanno utilizzato tariffe commerciali e costretto alleati e nemici per raggiungere i propri fini geopolitici, creando tensioni e portando a scontri, come la politica commerciale degli Stati Uniti contro il Giappone prima che la seconda guerra mondiale esasperasse Tokyo e facilitasse il percorso del conflitto.
In gran parte, le aziende - e non i paesi - sono ora al centro della campagna della Cina per riguadagnare influenza sull'Occidente e tenere aperta la porta per un flusso di scambi commerciali e ridurre le tensioni su materie prime e prodotti critici. La Cina ha sospeso la sua coercizione economica dei paesi e ne ha iniziata un'altra contro le imprese. Con nuova tattica, ma lo stesso obiettivo, cioè raggiungere traguardi politici di lunga data come la costruzione di solide capacità tecnologiche interne o l'accettazione delle sue politiche su "una Cina" (leggi "assorbire Taiwan") o alleviare le critiche sulla contestazione interna in Tibet, Sinkiang/Turchestan orientale, Hong Kong, minoranze religiose, ecc...
La debolezza russa sul fronte ucraino permette alla Cina di aumentare la sua influenza all'interno dei BRICS (inizialmente BRIC, raggruppando Brasile, Russia, India e Cina istituiti nel 2006, formalizzati nel 2009 e con l'adesione del Sud Africa nel 2011, ribattezzati BRICS). Questo gruppo di stati ha lavorato per trasformare i BRICS in un'architettura stabile più che in una conferenza diplomatica e ora sembra vicino a un importante punto di svolta.
Tuttavia, è utile analizzare l'approccio dei fondatori e le loro opinioni per il futuro dei BRICS. Russia e Cina hanno il medesimo fine, fatte le differenze dei rispettivi sistemi economici (incomparabili, visto che la Russia ha solo materie prime e una limitata capacità industriale avanzata), cioè utilizzare i BRICS come strumento per fronteggiare “l'altra parte” (ovvero il sistema economico e di sicurezza occidentale), ma la loro portata è diversa.
Se prima della guerra in Ucraina, Mosca e Pechino potevano essere considerate non così sbilanciate, le scarse prestazioni politiche e militari della Russia, hanno cambiato la scena e la Cina è emersa come la vera potenza e Putin appare sempre più come un partner minore di Xi Jinping. Come conseguenza di ciò, i BRICS sembrano trasformarsi sul palcoscenico del sempre più deciso (ed efficace?) assalto cinese al potere mondiale.
Per Mosca i BRICS sono uno strumento che può aiutare a riproporsi come bacino alternativo di attrazione nei confronti delle (citate) architetture filo-occidentali. Per India, Sud Africa e Brasile, pur con diversa estensione e grandezza, è uno spazio di manovra per le proprie autonome politiche, alzare il prezzo della monetizzazione della cooperazione con la parte filo-occidentale della scena internazionale, mantenere un canale dedicato di comunicazione e commercio (questo vale soprattutto per l'India) con Cina e Russia.
Ad oggi, nonostante crescenti segnali di debolezza dell'economia e della società cinese, Pechino è oggi il vero principale promotore dell'allargamento dei BRICS e, parallelamente, come parte della principale linea d'assalto alla spina dorsale dell'influenza guidata dagli Stati Uniti nel mondo che gira intorno al dollaro (l'euro sarebbe un obiettivo secondario, yuan, sterlina e franco svizzero non sono considerate sfide per la Cina in questo campo) e l'influenza di Washington nella gestione degli affari mondiali.
Come accennato in precedenza, i BRICS hanno ancora un carattere informale. Non esiste una carta di finanziamento, non lavora con una segreteria fissa né dispone di fondi per finanziare le sue attività. Ma lentamente, e non completamente riportato e analizzato, i BRICS sono sulla strada per istituirlo.
Il primo strumento della futuribile architettura guidata dai BRICS è la New Development Bank, fondata nel 2012 con un capitale iniziale di 100 miliardi di dollari USA con l'obiettivo di mobilitare risorse per infrastrutture e progetti di sviluppo sostenibile nei BRICS e in altre economie di mercato emergenti e paesi in via di sviluppo, “a complemento degli sforzi delle istituzioni finanziarie multilaterali e regionali per la crescita e lo sviluppo globali”.
Nel 2021, la NDB (conosciuta informalmente come ‘BRICS Bank’) ha ampliato i suoi aderenti e ha ammesso Bangladesh, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Uruguay come nuovi membri ed è guidata dall'ex presidente brasiliano Dilma Rousseff, designata a questa posizione nel mese di aprile di quest'anno e si sta preparando il terreno affinché, almeno nelle aspettative, diventi una alternativa alla coppia FMI/BM (Fondo Monetario Internazionale/Banca Mondiale), i quali, sebbene inclusi nel cosiddetto sistema ‘ONU’, in realtà sono strumenti della politica statunitense a livello globale.
Ora?
L'annunciato vertice dei BRICS per il prossimo agosto in Sud Africa (il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, paese che presiede il gruppo nel 2023, ha annunciato che il tema del vertice sarà "BRICS e Africa: partenariato per una crescita reciprocamente accelerata, uno sviluppo sostenibile e inclusivo multilateralismo.”) si annuncia come un momento critico del progetto di minare il dominio (o l'influenza) occidentale sul mondo. Una delle chiavi di questo incontro, come annunciato dalla galassia dei media pro-Pechino/Mosca, è l'allargamento dell'adesione ai BRICS e, parallelamente, il lancio di una nuova moneta per il gruppo e gli altri potenziali aderenti.
La Cina guida il processo di sviluppo di una nuova valuta, per annullare il dominio del dollaro USA e fargli perdere la posizione della principale valuta per l'acquisto e il commercio in tutto il mondo. Anche se si presenta come un'iniziativa collettiva, in realtà si tratta di un progetto solitario dato che l'unica economia che ha la capacità (e la volontà) di istituire questo meccanismo monetario è la Cina. La Russia, nonostante le inaspettate performance positive del rublo di fronte alle sanzioni occidentali, non ha le capacità per essere leader (o addirittura co-leader) dell'iniziativa, ma solo un partner.
L'India non è interessata a guidarla e vuole mantenere uno spazio autonomo ed è riluttante ad avere il grande onere finanziario che questa iniziativa potrebbe comportare. Brasile e Sudafrica sono ancora più deboli della Russia sotto questa prospettiva e quindi, come la Russia, potrebbero partecipare con quote minoritarie e mostrandone la facciata internazionale.
Secondo un diplomatico sudafricano un lungo elenco di nazioni sta ora cercando di aderire; almeno 13 Paesi che avrebbero chiesto formalmente di aderire ai BRICS mentre altri sei Paesi hanno chiesto informalmente di far parte dell'alleanza. Il gruppo dei potenziali aderenti comprenderebbe Arabia Saudita, Iran, Argentina, Emirati Arabi Uniti, Algeria, Egitto, Bahrein, Indonesia, due nazioni ancora senza nome dell'Africa orientale e una dell'Africa occidentale. È probabile (o si presume) che emergano ulteriori dettagli entro l'estate.
Secondo fonti mediatiche palesemente ispirate da Pechino/Mosca, i colloqui progrediranno prima e durante questo vertice, con ancora altri paesi al di fuori dei BRICS che cercherebbero di unirsi al progetto. Con il passare dei giorni, aumenta ulteriormente il numero dei presunti aderenti, prima con con 24 e a oltre 30 già agli inizi di giugno) starebbero ora cercando costruire un'alleanza strategica che sfiderà il ruolo decennale del dollaro USA come valuta di riserva mondiale.
Al di là che i BRICS sono (ancora) una intesa informale senza una architettura stabile, la tempistica del progetto di espansione dei BRICS, la narrativa anti-occidentale dei suoi membri (a prescindere siano essi aderenti effettivi, potenziali, aspiranti o semplicemente curiosi), le ripetute visite di alti diplomatici russi e cinesi in Africa e in altre regioni del Sud del mondo, ecc..., indicano che Pechino (e Mosca al traino viste le sue limitate capacità rispetto alla Cina) prendono di mira quei paesi come piattaforma per la loro spinta geopolitica, economica e diplomatica.
Secondo diversi analisti, qualora questa adesione alla iniziativa cinese di allargare il BRICS a nuovi aderenti e l’adozione di una nuova unità di conto per gli scambi sui mercati internazionali, in realtà sarebbe una misura temporanea per facilitare gli scambi con Pechino e Mosca ma senza abbandonare la ‘rete’ del dollaro (e delle altre valute occidentali e del Giappone) per non chiudere i propri mercati a questo gruppo di stati, che sebbene indeboliti, hanno ancora un peso importante nei mercati mondiali.
Trent'anni fa, il sistema globale multipolare, nonostante il crollo dell'URSS, non è emerso come una realtà ed è stato sostituito da un'egemonia occidentale guidata dagli Stati Uniti. Ora, questo sistema è sempre più messo in discussione dalla crescita della Cina come concorrente globale, riproponendo un bipolarismo di nuova concezione. Funzionale alla costituzione di un mondo bipolare, dove la Cina spera di guidare i poli alternativi, Pechino ha bisogno di allestire un insieme di stati clienti, possibilmente legati da forti legami finanziari. In questo progetto la Russia giocherebbe un ruolo essenziale di partner minore e di esca, richiamando l'attenzione e l'ostilità dell'Occidente per l'aggressione contro l'Ucraina e trascinando risorse politiche, finanziarie e militari e distraendo (almeno tentando di farlo) le loro preoccupazioni sulle dinamiche in corso nella macroregione IndoPacifico e altrove.
Come suaccennato, il progetto di una nuova valuta è una delle maggiori opportunità e sfide che i BRICS devono affrontare. Che con l’attuale formato è già il PIL più grande del mondo, contribuendo al 31,5% del PIL globale (la parte del leone è nelle mani di Cina e India), davanti al G7 di USA, Gran Bretagna, Francia, Germania, Giappone, Italia, Canada e UE (escludendo Francia, Italia e Germania), che contribuisce al 30,7%.
L'attrattiva della nuova valuta internazionale guidata dai BRICS si basa su un altro aspetto della crescente ostilità, nel cosiddetto Sud del mondo (ma non solo), per le politiche del FMI e BM. Queste due istituzioni sono note per stipulare il loro sostegno monetario ai paesi, specialmente nel Sud del mondo, sempre con condizioni politiche rigide (e ora ancora più rigide), incentrate su severe politiche di aggiustamento di bilancio, privatizzazione dei servizi pubblici e l'apertura dei mercati per l'estero (soprattutto verso investitori occidentali). A questi duri termini, FMI e BM, più recentemente hanno iniziato ad aggiungere ulteriori condizioni per la difesa e promozione dei diritti umani, delle minoranze, della democrazia liberale, e accettazione della apertura verso politiche migratorie (quest'ultima è molto recente e opera in collaborazione con UNHCR e OIM).
Quindi, in queste circostanze, la lotta per costruire strumenti alternativi al FMI e alla BM è politica, comprendendo che il Sud del mondo richiede, piaccia o meno, un'agenda politica diversa in termini di rifiuto di tentativi di intromissioni esterne e/o controllo delle economie locali.
Tuttavia, una valuta emessa dai BRICS ha ancora un lungo percorso da percorrere e riserva molte domande e difficoltà (tecniche e politiche, più che puramente politiche, che sono già importanti). Il primo è identificare quale valuta verrà utilizzata. Come accennato in precedenza, per motivi diversi, il più probabile sarebbe lo yuan/renminbi cinese, che è già la quinta valuta più scambiata ad aprile 2022, mentre rubli, rupie, rand (Sud Africa) e real (Brasile) giocheranno un ruolo minore, ruolo se non puramente simbolico in questo ‘cestello’ di divise.
Con molti paesi che potrebbero sostenerlo nella loro ricerca di un'alternativa al dollaro USA, il prossimo vertice BRICS potrebbe essere un importante trampolino di lancio verso la de-dollarizzazione e uno dei passi più importanti della politica mondiale dopo la conferenza di Bretton Wood e scardinando il sistema in essere dal 1945 per l’intero pianeta.
Appare chiaro che l'appello per aderire ai BRICS e al suo sistema economico e finanziario alternativo ha una valenza politica antioccidentale (anti USA) per nulla sottesa.
Il progetto a guida cinese incontra già ora una dura resistenza da parte degli Stati Uniti, che sono davvero preoccupati di perdere l'egemonia economica (e l'influenza politica) e moltiplicano le iniziative e i contatti con i potenziali, dichiarati o meno, aderenti ai BRICS per contrastare il progetto e antagonizzare le potenze di dimensioni equivalenti, come l'India, contro Pechino come principale antagonista.
Il lato oscuro della luna
Come tutte le cose, anche l’assalto al potere finanziario mondiale da parte della Cina, ha i suoi risvolti drammatici. Questo è la dura realtà per un certo numero di paesi, che stanno affrontando l'instabilità economica e persino crollano sotto il peso di centinaia di miliardi di dollari in prestiti esteri, molti dei quali contratti con la Cina. Quei paesi, i più indebitati con la Cina – come Pakistan, Kenya, Zambia, Laos e Mongolia hanno scoperto che il debito sta consumando una quantità sempre maggiore di entrate fiscali necessarie per mantenere aperte le scuole, fornire elettricità e pagare cibo e carburante. E sta prosciugando le riserve di valuta estera che questi paesi usano per pagare gli interessi su quei prestiti, lasciando ad alcuni solo pochi mesi prima che i soldi finiscano.
Ciò è originato dall'ostinata resistenza di Pechino a condonare il debito e dall'estrema segretezza sull'importo e sui termini dei prestiti. Zambia e Sri Lanka, sono già in default, con grave impatto sulla stabilità interna con turbolenze politiche e pubbliche, esaurimento delle riserve valutarie, aumento dei costi e inflazione.
In Pakistan, il settore dell'industria tessile è stato chiuso perché il paese ha un debito estero eccessivo e non può permettersi di mantenere l'elettricità accesa e le macchine in funzione, mentre il governo keniota ha smesso di pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici per risparmiare denaro pagare prestiti esteri.
Il perdurare di questa linea dura da parte di Pechino genererà ulteriori default e impatterà negativamente sulla prospettiva della credibilità di un sistema finanziario, alternativo al dollaro, egemonizzato da Pechino. Lo Zambia, che ha preso in prestito miliardi di dollari dalle banche statali cinesi per costruire dighe, ferrovie e strade, rilanciando l'economia del paese ma anche aumentando il pagamento degli interessi esteri, sta tagliando drasticamente la spesa pubblica. Al pari dello Zambia, il Pakistan e il Congo-Brazzaville e altri paesi, come l'Indonesia, il Laos, l'Uganda in passato, anche, con condizioni difficili, da Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale (e banche di sviluppo regionale) hanno ottenuto accordi per condonare alcuni debiti e facendo sembrare queste istituzioni, conosciute per la loro durezza nell’esigere i prestiti e l’imposizione di politiche economiche interne con poco riguardo per le conseguenze per le popolazioni, come opere pie.
Tutto ciò sta sconvolgendo la politica interna e ribaltando le alleanze strategiche.
A marzo, l'Honduras fortemente indebitato ha citato "pressioni finanziarie" nella sua decisione di stabilire relazioni diplomatiche formali con la Cina e di interrompere quelle con Taiwan. La Cina ha respinto con fermezza le accuse di strangolamento dei suoi clienti e ha sottolineato di aver condonato 23 prestiti senza interessi a paesi africani; tuttavia fonti indipendenti hanno affermato che queste azioni sono focalizzate su prestiti molto vecchi e inferiori al 5% del totale prestato. Analoga la posizione dello Sri Lanka che, a forza di prestiti da parte di Pechino, sta allontanandosi sempre di più dal suo, seppur problematico, partner storico, l’India e contribuisce alla costituzione di quella che New Delhi (pur aderendo al BRICS [sic]) chiama la ‘collana di perle’ che potrebbe strangolarla.
Esempio di questo progressivo scivolamento di Colombo è stata la trasformazione del porto turistico di Hambantota in base navale, decisione che risale al 2018 ma che in questo contesto di pesante condizionamento finanziario, assume un valore differente. La notizia di per sé non sarebbe neanche rilevante se il porto non fosse già gestito da una società cinese e che è parte del megaprogetto BRI. Sebbene l’allora primo ministro srilankese Ranil Wickremesin abbia negato la possibilità che Pechino possa utilizzare l’installazione come base navale nel futuro, i timori indiani (ma anche statunitensi e giapponesi) restano, vista la rilevanza di questo porto nelle rotte marittime regionali e che la possibilità che Pechino, vista la debolezza finanziaria, economica e politica dello Sri Lanka, possa imporre la presenza di una installazione militare per proteggere le sue rotte commerciali e il suo naviglio mercantile. O come, più recentemente (due mesi fa), Pechino, sempre contando sulle difficoltà di Colombo, che sembra non uscire dalla instabilità finanziaria, abbia richiesto di aprire una installazione SIGINT nella parte meridionale dell’isola, con l’obiettivo di costituire una alternativa alla base statunitense sulle isole (nominalmente britanniche) delle Chagos.
Foto: Xinhua