Crisi del Mar Rosso: una operazione “difensiva” non serve

(di Filippo Del Monte)
23/12/23

L’Italia sarà presente nel Mar Rosso per contrastare gli attacchi degli Houthi yemeniti contro le navi mercantili con la fregata multiruolo Fasan della Marina Militare. Si tratta di una scelta oculata, anche in considerazione del fatto che Nave Fasan ha già partecipato ad operazioni antipirateria in Somalia.

Il Ministero della Difesa ha voluto evidenziare che la fregata italiana stazionerà nel Mar Rosso non come parte dell’Operazione Prosperity Guardian a guida statunitense, ma rispondendo ai dettami di una missione già esistente ed autorizzata dal Parlamento. Roma ha risposto, dunque, “a una precisa richiesta di tutela degli interessi nazionali, pervenuta dagli armatori italiani”.

Eppure non ci sarebbe stato nulla di strano ad ammettere che l’Italia, che “farà la sua parte”, come detto dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, abbia inviato Nave Fasan nel Mar Rosso – anticipando i tempi previsti – per tutelare la libertà di navigazione e le rotte commerciali dagli attacchi degli Houthi, così come non sarebbe stato strano integrare la propria nave entro il dispositivo militare di Prosperity Guardian, al quale hanno aderito, oltre agli Stati Uniti, anche Francia, Regno Unito, Danimarca, Paesi Bassi, Spagna, Norvegia, Grecia, Canada, Spagna, Bahrein e Seychelles. Paesi che hanno o interessi diretti nell’area o che hanno avuto proprie navi coinvolte negli attacchi da parte degli Houthi.

Nonostante le differenziazioni di tipo normativo, nei fatti, e non potrebbe essere altrimenti, la fregata Virginio Fasan sarà integrata in tutto e per tutto nella squadra navale della “coalizione di volenterosi” a guida statunitense.

Resta da capire quali saranno i “confini” della missione a guida statunitense e della sua “costola” italiana. Infatti, se le navi della coalizione effettueranno solo operazioni di pattugliamento, scorta e contrasto di attacchi condotti con missili e droni (e anche degli abbordaggi? Nei fatti più complessi da contrastare) o se condurranno anche azioni offensive contro le postazioni di lancio dei missili da crociera delle milizie Houthi nello Yemen settentrionale.

La questione resta aperta poiché le semplici azioni di scorta di navi e/o convogli (e l’idea di organizzarli consentirebbe una maggiore capacità di deterrenza da parte della coalizione occidentale) e la difesa “passiva” potrebbero non consentire il raggiungimento del risultato che è quello di debellare la minaccia. L'episodio della Strinda, nave norvegese colpita da un missile yemenita, insegna che il pattugliamento di specifiche rotte pericolose non elimina i rischi per i mercantili che vi navigano.

Al contrario, una azione di “difesa attiva” o dichiaratamente offensiva contro le postazioni nemiche di lancio dei missili potrebbe esporre non solo la coalizione navale-militare ma l’intera regione a contraccolpi difficilmente calcolabili allo stato attuale. Gli attacchi contro il naviglio mercantile nello stretto di Bab el Mandeb da parte degli Houthi costituisce un fenomeno di “regionalizzazione” della guerra tra Israele ed Hamas ed implica il coinvolgimento di potenze che, da “osservatrici” (per quanto, comunque, interessate) possono diventare attori del conflitto a tutti gli effetti.

Il coinvolgimento diretto degli Stati rivieraschi nell’operazione è stato uno degli obiettivi di Washington e dei suoi partner europei nella fase diplomatica preparatoria di Prosperity Guardian, ma risultati significativi non sono stati ottenuti. L’Egitto che, pur avendo interessi enormi in ballo lungo le rotte commerciali verso Suez, sta tentennando, e gli Stati del Golfo che, pur partecipando a varie iniziative multilaterali per la sicurezza marittima, entrando in Prosperity Guardian si ritroverebbero impastoiati nella difficile situazione di dover mantenere la libertà di navigazione nel Mar Rosso schierandosi contro quelli che sventolano la bandiera delle rivendicazioni palestinesi.

Gli Stati Uniti hanno tentato di responsabilizzare le potenze arabe che hanno estesi interessi economici nell’ampia fascia del Mediterraneo (“allargato” anche per loro) e dell’Oceano Indiano, che passa inevitabilmente per la sicurezza del Mar Rosso; ma il coinvolgimento di potenze locali sarebbe stato essenziale anche per evitare la riproposizione di una “diplomazia delle cannoniere” che contribuirebbe ad esacerbare le posizioni anti-occidentali di una parte consistente del Medio Oriente.

Ma, al netto di ogni considerazione, come ha giustamente scritto Gino Lanzara, il ricorso allo strumento militare è praticamente obbligato in questo scenario, laddove una forza più potente e temibile rimane l'unico leverage funzionale al contenimento di traiettorie folli come quella degli Houthi. I rischi per l’economia mondiale ma, guardando anche nel “giardino di casa” italiano, soprattutto per quella mediterranea, sono enormi.

La British Petroleum ha sospeso le proprie spedizioni nel Mar Rosso, preferendo circumnavigare l’Africa, ed altre importanti compagnie come Maersk Line, Hapag Lloyd e Mediterranean Shipping Company hanno già fatto o faranno lo stesso, perché le milizie yemenite alleate di Hamas ed Iran (per quanto sia necessario approfondire le reali capacità di Teheran di influire su alcune specifiche scelte degli Houthi e del variegato Fronte della Resistenza) mettono in pericolo cospicui capitali.

La riscoperta della "rotta di Vasco da Gama" passante per il Capo, più lunga di quella che passa per Bab el Mandeb e Suez ma, attualmente, meno pericolosa, potrebbe mettere in crisi il commercio nel Mediterraneo se l’insicurezza fosse percepita come endemica. La capitalizzazione delle società di navigazione è salita di 22 miliardi di dollari a partire dall’inizio della crisi del Mar Rosso, raggiungendo quasi 190 miliardi, figli di una offerta di navi ridotta causata dall’allungamento dei tempi di viaggio.

Rispetto ad altre significative azioni antipirateria e di pattugliamento di rotte pericolose, vedasi l'Operazione Atalanta lungo le coste del Corno d'Africa, la quasi approntata Prosperity Guardian statunitense (più alleati) nel Mar Rosso dovrebbe avere caratteristiche diverse, maggiormente legate alla dimensione “combat”, anche perché diverso è il fenomeno che ha generato l'emergenza.

Foto: U.S. Navy