Il G20, malgrado l’innegabile, ma forse non immediatamente intesa, rilevanza, è scivolato via tra le dita come acqua del Gange, sopravanzato sia da eventi che, pur nella loro tragicità, non hanno mancato di lanciare messaggi politici rilevanti1, sia da accadimenti che, certificando la decadenza di glorie calcistiche stantie, hanno distratto l’attenzione dei più.
Di fatto si è trattato dell’ultimo vertice a 20, visto che l’Unione Africana è ora un membro permanente del gruppo, cosa che costituisce un risultato di rilievo perché conduce l’UA stessa alla medesima statura politica dell’UE.
Riavvolgiamo il nastro andando a vedere cosa c’è nella dichiarazione finale, documento legalmente non vincolante che tuttavia esprime e condivide una posizione politica comune riguardo ai temi trattati come l’economia, le esposizioni debitorie dei Paesi in via di sviluppo, l’ambiente, ma anche la guerra in Ucraina, quest’ultima oggetto di una stigmatizzazione generica che, raccomandando l’astensione dal minacciare o dall’usare la forza per perseguire l’acquisizione di territori contro l’integrità territoriale e la sovranità o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, dimentica di fare riferimento a chi la guerra l’ha scatenata.
Come già accaduto a Bali 2022, la minaccia avanzata da Sergei Lavrov di non firmare la dichiarazione in caso di espliciti riferimenti al ruolo giocato da Mosca ha, dopo evidenti attriti, sortito il suo effetto, in un contesto in cui l’India2, o Bharat3 se preferite, ha sottratto ogni passerella a Kiev, per dedicarsi agli aspetti più strettamente economici, visto che, peraltro, nelle riunioni ministeriali antecedenti non c’è stata la possibilità di addivenire a documenti condivisi, un’evenienza esecrabile per il capitolo finale storicamente mai stato privo, quanto meno ufficialmente, del carattere della collegialità; non è stato un caso che la bozza preparatoria apprestata dagli sherpa dei singoli Paesi, contenesse una pagina intonsa nella sezione dedicata alla guerra in Ucraina.
Evidenti gli attriti tra USA e Cina, nonché la mancanza di un riconoscimento globale, elemento che ha implicato che ambedue le parti fossero ritenute ugualmente responsabili, in un conflitto, in tal modo, di fatto, privo di aggressori ed aggrediti chiaramente identificabili. Si può dunque immaginare che il G20, sospinto da USA, Cina e Russia, si sia una volta di più dibattuto alla ricerca di equilibri geopolitici che vedono ora l’Occidente in difficoltà.
Se da un lato l’Ucraina ha condannato la dichiarazione finale, dall’altro questo rientra nella fisiologia geopolitica e geoeconomica di New Delhi che ha inteso dettare precise priorità di matrice economica applicando formalmente regole finalizzate ad un focus indirizzato su economia e cooperazione internazionale. Del resto, nell’ambito della guerra ucraina l’India incassa giocando di rimessa; dal momento dell’invasione le raffinerie di New Delhi hanno fatto incetta di petrolio russo scontato, che ha costituito il 40% delle importazioni; l'India acquista dunque ural per rivenderlo sotto forma di prodotti raffinati in Occidente, una triangolazione che finanzia la Russia ma che rafforza l'offerta globale contenendo l’inflazione occidentale, ed impedisce alla Russia di vendere prodotti raffinati ad alto valore aggiunto.
È stato il G20 della combinazione delle policrisi interconnesse, dell’inflazione, dei tassi di interesse, dell’insicurezza energetica, delle difficoltà dell’economia di Pechino; è stato il G20 dei grandi assenti: il primo perché a rischio di arresto, il secondo sia perché contrario a fornire sponda all’arrembante grandeur indiana, sia perché, probabilmente, costretto dalle ultime debacle interne, a presidiare il proprio stesso potere. Il tempo dirà se si è trattato di un affronto a Modi, aspirante campione del Global South4 in concorrenza con la Cina, o di una necessità politica inderogabile, lasciando al premier Li Qiang il compito di assumere il volto degli insuccessi economici interni e di sostenere l’adesione dell’Unione Africana, oppure di un tentativo di sottrarsi ad un gioco più ampio e competitivo, molto differente da quello addomesticato dei Brics, tutti economicamente sottodimensionati.
Malgrado l’oleografico aplomb orientale, il governativo China Institute of Contemporary International Relations5 ha accusato Modi di sabotaggio del summit per perseguire interessi nazionali a danno di quelli cinesi, e ha tentato invano di elidere, nella dichiarazione finale, il riferimento del G20 2026 ospitato dagli USA.
Il G20 ha anche certificato grazie a diversi entente cordiale la volontà di favorire gli insorgenti contatti tra India e USA, contatti poi concretizzatisi con il Master Ship Repair Agreement stipulato dalla U.S. Navy e dall’indiana Mazgaon Dock Shipbuilders, Ltd, con cui viene concretizzato l’impegno sia ad affermare New Delhi quale centro per la manutenzione e la riparazione dei mezzi americani in missione avanzata6, sia ad investire con più verve nelle strutture manutentive aeronautiche indiane. La maggiore operatività concessa da Modi permetterà alla U.S. Navy di acquisire maggiore efficienza nell’Indo Pacifico, anche in ottica QUAD.
Il G20, creato nel 1999 per agevolare la concertazione tra le economie mondiali non partecipanti al G7, ne è di fatto divenuto complementare, includendo tra i suoi membri anche quelli degli antagonisti BRICS dove spicca New Delhi, dopo il G20 in posizione ancor più equidistante fra Occidente e Cina forse proprio grazie alle illustri assenze7, rafforzata da un tasso di crescita economica che si contrappone agli indici calanti della finanza cinese, espressione di un Paese che ancora contiene l’India ma che ne teme l’espansione, ed è in innegabile imbarazzo per la difficile amicizia senza limiti con Mosca, per contrappasso soggetta alla preponderanza pechinese.
Ma possono i BRICS, improbabile riedizione degli allora Paesi non allineati, impensierire il G20? Al netto delle pie intenzioni dedollarizzanti8, vale la pena ricordare qualche dato: i criteri di ammissione al club sono poco chiari; lo stesso Jim O’Neill, ex capo economista di Goldman Sachs, ha sottolineato come i nuovi aderenti dovrebbero essere qualcosa di più che semplici Paesi economicamente interessanti e demograficamente in attivo; la geopolitica incrina la debole coesione dei BRICS, il salottino d’angolo dei figli del Dragone esclusi dal G7, tra loro in competizione ed afflitti da problemi interni; malgrado il renmimbi scalpiti, l’oro rimane il bene principe, e Pechino stessa punta ad acquisirne ulteriori quantità per ridurre le riserve in dollari.
Nel non trascurare la percezione occidentale della Cina quale elemento di rischio geopolitico, risalta un sino centrismo cui si associa lo strumento di politica estera della BRI, intanto per lo sfuggente tentativo di Pechino, mutuatario e concorrente della Banca Mondiale, di esonerare i suoi prestiti infrastrutturali dall’accordo di moratoria del G20 sul recupero del debito fino alla fine dell’anno9, e poi per l’uscita dall’MoU sia da parte dell’Italia che del Portogallo, la nazione europea con il più esteso e lungo excursus di accordi con la Cina, un segnale che la Guerra Fredda determinata dall’aggressione russa conduce ad un rapporto tra scelte strategiche e ricadute economiche che si fa sempre più stretto e che non può tralasciare la possibilità di atti di rappresaglia economica. A giudicare dagli scambi commerciali, l’uscita dalla BRI trova ragion d’essere in uno squilibrio che, facilmente ipotizzabile in via teorica anche dapprincipio, è stato invece accantonato, previa copertura statunitense, così come è stata presa in considerazione solo ora la possibilità di negoziare accordi meno vincolanti alla stregua di quelli già stipulati tra il Dragone10, Francia e Germania, contrattualmente più abili e spregiudicati.
Posto che l’interesse nazionale rimane la stella polare di ogni politica interna, non si comprende chi si straccia le vesti per la firma italiana dell’intesa IMEC11 PGII12, il più grande corridoio economico e ferroviario multimodale tra India ed Europa in transito per il Golfo, un progetto alternativo alla BRI che, riaffermando il principio per cui gli assenti hanno sempre torto, soverchia il ruolo di Pechino in Asia centrale; USA, India, EAU, Arabia Saudita poi (forse) Israele, intendono dunque collegare Indo Pacifico, MO ed Europa, con Gerusalemme partner ideale in quanto già membro del sistema I2U213, con l’Egitto da compensare per la perdita di quota parte degli incassi di Suez ma quale nuovo ski jump verso l’Africa, e bypassando infine (forse) l’Iran. Di fatto, per le monarchie del Golfo si tratta di una metamorfosi che le trasforma da crisalidi energetiche a farfalle (di vita si spera non effimera) geopoliticamente rilevanti e con economie da differenziare, in un contesto regionale da stabilizzare rilanciando gli Accordi di Abramo.
Conclusioni
Anche nel G20, come di consueto, trionfa la realpolitik; i membri del consesso, avendo sullo sfondo la sempre più pervasiva rivalità sino americana, tentano di perseguire i propri interessi grazie a segmenti legati a mercati emergenti (vd i BRICS), con l’intento di creare un antemurale al G7. Si tratta di una frammentazione geopolitica che tende ad indebolire ulteriormente NU e organizzazioni multilaterali.
Oltre all’affermazione dell’India, il prodotto finale non si allontana dalle aspettative iniziali, ed offre spunti determinati sia dalle assenze a vario titolo di due egemoni, sia dalle dinamiche internazionali ed economiche in atto che caratterizzano il momento finanziario cinese, quello bellico produttivo russo, quello inflattivo occidentale. Stando comunque al successo riscosso da Modi, si può affermare che la celeste saggezza di Xi, stavolta abbia fallato, visto che questo G20 fin d’ora potrebbe essere ricordato come l'anno in cui la multipolarità si è effettivamente affermata, e come il momento in cui più sentitamente si è avvertito il bisogno del Ritorno del Re, ovvero di una leadership planetaria.
Brasile e Sudafrica, presidenti tra 2024 e 2025, stanno puntando alla riforma del sistema globale, preceduto dal sinocentrismo imperiale di Pechino; il problema, insito nei BRICS, è che la retorica, in quanto tale rimane vuota.
Presumere che i G20 a venire si concentrino su serie limitate di problematiche è difficile, posto che commercio internazionale e Intelligenza Artificiale, ad esempio, includano al contempo aspetti di interesse competitivi nazionali e di accezione globale, in un momento in cui il sistema commerciale sembra essere andato ormai in pezzi.
Gli USA cercano appoggi, i BRICS ampliano il numero dei membri ma non la potenzialità economica, l’India allarga il G20 all’UA, un’iniziativa che, a ben vedere, limita l’operatività di un consesso che può agire solo sulla base del consenso. Insomma, il G20, ormai G21, è importante e prestigioso, ma sarebbe errato attendersi che diventi una panacea. Per il momento, l’India è riuscita a mettere meritatamente in mostra un modello globale di sviluppo forse capace di ridurre la parcellizzazione bipolare sino americana.
Meno agevole la situazione che riguarda il FMI, dove il Global South ritiene che il suo peso economico non sia correttamente calcolato nella distribuzione delle quote, e l’Organizzazione mondiale del Commercio dove, all’opposto, i Paesi del G7 intendono far cessare i privilegi improvvidamente erogati a pioggia ai mercati emergenti ed a far assumere maggiori responsabilità conseguenti al maggior peso economico conseguito: è qui che il G20 dovrebbe intervenire concedendo rappresentanze più congrue all’FMI e responsabilità più attagliate all’OMC impedendo così fratture geoeconomiche. Ma risulta opera particolarmente difficile in un contesto in cui, pur rappresentando l’85% del PIL mondiale, il G20 rimane ostaggio dei rapporti minilaterali. Quel che è certo, è che le risorse destinate alla riduzione del debito dei Paesi in via di sviluppo sono esigue, e che sembra di leggere tra le righe un’oggettiva ed intollerabile perdita economica nell’eliminazione dei combustibili fossili.
Il G20 è stato utile anche per inquadrare meglio portata e significato delle boutade populiste; secondo il brasiliano Lula la geopolitica non dovrebbe indirizzare le discussioni del G20; nessuno è interessato ad un G20 diviso; le sfide possono essere affrontate solo congiuntamente. Pura propaganda elettorale, a cui si è aggiunta la promessa, poco dopo rimeditata, di non procedere ad alcun arresto di maggiorenti russi durante il G20 carioca. Questo, detto insieme al Sudafrica, pone nella teca della facoltà di lettura e scrittura pirotecnica dell’università di Goosetown qualsiasi principio di diritto internazionale; peccato sia stato un capo di stato. Alla luce di questo, estendendo il concetto geopolitico, rimane oltremodo interessante, da un punto di vista concettuale, comprendere quale dovrebbe essere nel dettaglio il cd nuovo ordine globale e come soprattutto, dovrebbe imporsi.
La nostra era è multipolare, multilaterale, multivettoriale, multiallineata, e qualsiasi possibilità va computata per matrici immaginando piani via via sovrapposti e che rendono le ipotesi sulle relazioni internazionali immerse in un ambiente fin troppo fluido14, caratterizzate da autocrazie in doppiopetto.
1 vd. Il Marocco e la cernita dei Paesi accettati quali prestatori di assistenza
2 Primo paese nella storia a far atterrare un veicolo spaziale sul polo sud della luna.
3 Bharat non solo è termine in sanscrito più antico di India, ma è anche uno dei due nomi ufficiali riportati dalla Costituzione.
4 Sotto questa ottica va analizzato l’incontro tra Erdogan e al Sisi, nella prima bilaterale dopo 10 anni di crisi nelle relazioni diplomatiche.
5 Fa capo al Ministero della Sicurezza di Stato, principale agenzia di spionaggio
6 Vd. Comunicato congiunto susseguente all’incontro tra Biden e Modi
7 L’assenza di Xi è stata accompagnata dalla provocatoria pubblicazione della mappa nazionale della Cina, che ha collocato all’interno dei confini di Pechino lo Stato indiano dell’Arunachal Pradesh e l’altopiano dell’Aksai Chin, su cui è in corso una disputa territoriale sino indiana.
8 Un interesse a optare per il renmimbi sta emergendo anche fuori BRICS. La definizione del primo scambio commerciale di GNL regolato in valuta cinese tra la compagnia petrolifera di stato di Pechino e la francese Total Energies attraverso la Shanghai Petroleum and Natural Gas Exchange nel marzo 2023 può aprire la strada a un mercato globale denominato in renmimbi GNL con sede a Shanghai.
9 Mentre la Banca Mondiale eroga fondi ai mutuatari più poveri, la Cina utilizza finanziamenti a basso costo della stessa Banca per finanziare i propri prestiti ad alto interesse ad altri mutuatari della Banca Mondiale. Pakistan, Sud Africa ed Etiopia devono alla Cina molto più di quanto debbano alla Banca Mondiale.
10 Partenariato strategico globale del 2004; l’Italia era l’unico Paese G7 ad aver aderito alla BRI, mentre la Francia ha una global strategic partnership con Pechino del 2004; la Germania dal 2014 ha una comprehensive strategic partnership; l’UK ha una global comprehensive strategic partnership dal 2015, caratterizzata dalla narrazione cinese win-win.
11 Italia e India già condividono il cavo dati ad alta velocità Blue-Raman e la rotta marittima cargo di Msc. Rilevanza economica a parte, questo estende il piano Mattei italiano alle coste indiane, per cui Roma diventa crocevia europeo, e Gerusalemme crocevia mediorientale dall’India all’Europa.
12 Imec: Corridoio Economico India Medio Oriente Europa – UE, Francia, Germania, Italia, Mauritius, EAU, Arabia Saudita, USA, India; il corridoio è doppio, biforcandosi tra una sezione est che connette India e Golfo, ed una nord che connette il Golfo all’Europa; - PGII Partnership for Global Infrastructure and Investment
13 USA, EAU, India, Israele
14 La Cina sta sostituendo la BRI con la Global Development Initiative (GDI), la Global Security Initiative (GSI) e la Global Civilization Initiative (GCI)
Foto: G20 Secretariat, Ministry of External Affairs, Government of India