Giappone, l'impero nato da una spada

(di Gino Lanzara)
03/05/23

Abe Shinzō, il primo ministro giapponese più rilevante in oltre 60 anni, ha impresso slancio e lineamenti definiti alla politica estera e della difesa di Tokyo; le evoluzioni strategiche indotte dal post Guerra Fredda, con Abe trovano un’istituzionalizzazione concreta, puntando ad elevare il Giappone nel consesso internazionale, facendogli abbandonare la postura dell’inward-looking, o Dottrina Yoshida, e proiettandolo verso un modello strategico degno di un soggetto politico dalle capacità proporzionate alla propria caratura economica.

È in quest’ambito che trovano spazio sia l’approfondimento dei rapporti con gli USA sia la rilettura dell’articolo 9 della Costituzione, finalizzata a consentire l’esercizio del diritto di autodifesa collettivo.

In questa dimensione si può meglio inquadrare la diversificazione delle relazioni indo pacifiche, come quelle tra India e Australia che, con Tokyo e Washington, compongono il Quad, in accordo con la visione di un Indo Pacifico libero e aperto.

Attenzione ai primi risvolti di politica estera: mentre gli USA appoggiano la nuova postura militare, Cina, Corea del Nord e del Sud avanzano critiche, ed Israele intravede opportunità di vendita di sistemi di difesa missilistica, UAV e controllo cibernetico, senza contare l’intelligence mirata a Pyongyang ed alla sua cooperazione nucleare con l’Iran; a questo si aggiunga l’asse con Londra1 e l’italiana Leonardo per la partecipazione al programma Tempest, con lo sviluppo di un nuovo modello di cacciabombardiere di prevista entrata in servizio nel 2035.

Con la fine delle restrizioni anti Covid, il premier Kishida, in breve tempo, si è recato in 19 paesi o in visita di stato o per vertici internazionali, delineando le priorità del governo nipponico, aprendo alle potenze emergenti, consolidando le relazioni con i partner più tradizionali, curando il multilateralismo e la creazione di assi strategici alternativi.

Questi aspetti non possono non ricondurre all’Abenomics2, la base amministrativa in senso lato degli esecutivi presieduti da Abe, che ha inteso far partecipe Tokyo delle varie iniziative regionali commerciali, multilateralistiche e del libero scambio3, puntando alla realizzazione di catene produttive poste al di fuori della sfera di influenza degli antagonisti cinesi.

La visione di Abe è divenuta il testimone passato al premier Kishida che, confrontandosi con calo demografico, fluttuazione dei prezzi, depressione salariale, concorrenza aggressiva da parte di Pechino, deve adattare l’eredità politica precedente a cambiamenti rapidissimi e contingenti.

Il vincolo del mantenimento delle spese militari entro l’1% del PIL è venuto meno con la decisione di incrementare le stesse al 2%4 entro un quinquennio, aumento che, finanziato con una maggiore tassazione, conferirebbe al Giappone la medaglia di bronzo5 dopo USA e Cina6; l’obiettivo del 2% del PIL da raggiungere entro la fine del 2028 allinea peraltro il Giappone agli standard di spesa della NATO, con cui Tokyo sta stringendo rapporti più stretti.

Per quanto concerne l’aspetto securitario tengono banco i tre documenti strategici approvati dal governo Kishida: la nuova National Security Strategy (NSS)7, che includendo il nesso inscindibile tra economia e sicurezza, sostituisce quella del 2013 targata Abe; la National Defense Strategy (NDS) (già nota come National Defense Program Guidelines) e il Defense Buildup Program (DBP) (già Medium-Term Defense Program), per cui l’incertezza internazionale non potrà che accelerare gli investimenti in campo difensivo, giungendo ad un bilanciamento tra rischi esterni e consenso politico interno8, cui non è estranea la legge per la promozione della sicurezza economica, finalizzata a proteggere le infrastrutture, diminuire il grado di dipendenza dagli altri paesi, evitare pressioni dall’estero.

Quel che è certo, è che in ambito militare Abe ha accentuato l’autonomia giapponese rispetto all’alleanza con gli Stati Uniti, cosa che ha delineato una silhouette propria di un soggetto più proattivo sul proscenio internazionale.

La reinterpretazione dell’art. 9 della Costituzione9, che proibisce al Giappone di possedere un proprio Esercito non riconoscendogli alcun diritto di belligeranza, legittimerebbe dunque la presenza militare sul territorio metropolitano e, contestualmente, la maggiore collaborazione con le forze USA di stanza nel Pacifico, attente alle evoluzioni politico militari nello Stretto di Taiwan.

La Costituzione modellata dal generale MacArthur ha consentito una soluzione di compromesso, ovvero la creazione di forze paramilitari facenti parte delle forze di polizia, ma equipaggiate di tutto ciò di cui possa aver bisogno una forza armata; il paradosso sta nel fatto che mai agli occupanti americani sarebbe balenata l’idea che il disarmo giapponese potesse essere posto in discussione proprio da Washington. Nessuno, del resto, avrebbe potuto prevedere che il boom economico di Tokyo avrebbe trovato una delle sue motivazioni proprio in quell’articolo che, scritto per impedire il riarmo, divenne un’arma per garantire sicurezza e stabilità economica.

Abe a parte, il progetto di riforma si delineò nell’agosto del 2005 con il premier Koizumi Junichirō che propose, senza successo, di inserire nell’articolo 9 l’esplicita menzione delle Forze di Auto-Difesa (SDF) conferendo loro la possibilità di difendere il proprio territorio e che annunciò il sostegno nipponico all’intervento americano in Afghanistan, cui sono seguite diverse altre missioni a carattere umanitario10, aspetto che ha agevolato il superamento delle interpretazioni costituzionali ostative, ma che ha rimarcato come il ruolo militare giapponese sia divenuto sempre più attivo anche alla luce di una revisione del concetto di legittima difesa.

Di rilievo il ruolo ricoperto dall’organizzazione Nip­pon Kaigi che, forte dell’appartenenza di personalità politiche di spicco, si è fatta interprete di una sorta di revival dell’eredità imperiale giapponese che, tuttavia, non deve indurre a confondere il riarmo con la ri-militarizzazione.

Il riformismo di Abe non ha condotto al ritorno alla crescita di un’economia vulnerabile, malgrado la svalutazione utile ad un incremento dell’export.

Politicamente l’attivismo di Abe prima e di Kishida ora, è una reazione al relativo declino giapponese nell’area dell’Asia-Pacifico, dovuto a diverse cause: l’assertività marittima cinese che, oltre alla creazione di isole artificiali e trivellazioni petrolifere, pone in discussione le questioni della sovranità e dell’integrità territoriale delle Isole Senkaku/Diàoyú; l’incombente presenza russa; l’avanzamento economico e tecnologico della Corea del Sud; la minaccia nucleare di Pyongyang; la crescita delle potenze intermedie regionali; l’emersione del terrorismo jihadista come forza capace di trasformarsi in Stato e di rapire ed uccidere ostaggi giapponesi. Il crescente ruolo strategico del Giappone nel Pacifico si inserisce nel contesto della delega conferita dagli americani ai propri alleati regionali, volta a contrastare l’espansionismo cinese intenzionato ad assicurarsi il controllo delle linee di approvvigionamento grazie ad una maggiore militarizzazione dei paesi dell’area, anche alla luce delle capacità nucleari nord coreane.

Per storia, posizione geografica e grado di sviluppo, il Giappone incarna il ruolo del candidato ideale nel settore marittimo per una partnership strategica con gli USA. Di fatto, il contesto asiatico ha indotto Tokyo ad abbandonare progressivamente il suo pacifismo istituzionale, lo scudo che, con l’ombrello difensivo statunitense, ha convertito l’originaria spinta espansionistica in dedizione assoluta al lavoro aziendale; tuttavia, come già accaduto nel corso della sua storia, le evoluzioni del contesto geopolitico stanno spingendo il Giappone ad una modifica della propria politica estera.

L’elemento esogeno che ha infranto gli equilibri è la Cina, con la sua crescita economica apparentemente inarrestabile, accompagnata da una postura geopolitica sempre meno conciliante e sempre più lontana dal concetto di crescita pacifica. Inevitabile, nel 2014, la nuova interpretazione ufficiale dell’articolo 9, secondo cui Tokyo avrebbe potuto impiegare le proprie Forze di Auto-Difesa, di fatto un vero Esercito, per partecipare al sistema di difesa collettiva riconosciuto dal diritto internazionale. Se il pieno riarmo del Paese non sarà più illegittimo, rimarrà comunque difficile superare i vincoli procedurali delle modifiche costituzionali; l’allestimento della nuova portaerei Kaga11 (foto), che porta lo stesso nome dell’unità che attaccò Pearl Harbor, costituisce un segnale di riavvicinamento ad una sovranità militare esclusiva.

Opportuno rammentare come il concetto di Indo-Pacifico sia nato nei primi anni del secolo proprio come teorizzazione strategica giapponese12 enunciata da Abe in un discorso al Parlamento indiano, volta a compensare l’influenza regionale cinese e ad attrarre l’attenzione sull’importanza della libera navigazione e della libera circolazione commerciale; da qui l’individuazione degli attori principali dell’area: Giappone, Australia, India, ai quali si aggiungevano gli USA: al QUAD13 è seguito l’ampliamento del raggio d’azione giapponese verso tutti quei paesi preoccupati dalla crescita cinese grazie al FOIP14, in opposizione alla Belt and Road Initiative. Ma la strategia giapponese non si limita alla sfera economica, si estende anche a quella militare, una tendenza che si è rafforzata con Abe, votato alla modifica della Costituzione, forte anche dell’indicazione demoscopica per cui il 65% dei giapponesi riteneva necessario aggiornare la Carta fondamentale. In ogni caso l’assassinio di Abe non ha fermato il dibattito, benché la rimozione dei vincoli costituzionali rimanga un interrogativo in attesa di soluzione, alla luce della necessità di rafforzare le difese, punto reso sensibile dall’invasione ucraina grazie alla rinnovata percezione della minaccia che ha portato a considerare la possibilità, per le SDF, di ricevere un formale riconoscimento giuridico e di acquisire la capacità di attaccare le basi missilistiche nemiche.

Nel corso degli anni il Giappone, dopo aver costituito un vero e proprio Ministero della Difesa, ha perseguito uno sviluppo navale costante, giungendo a disporre di una tra le prime marine militari mondiali dopo quella americana.

Tenuto conto che la capacità strategica giapponese si è evoluta a partire dall’inizio del nuovo secolo, è rimasta l’assertività cinese nel Mar Cinese meridionale e la difesa delle ZEE, che Tokyo vuole fissare sulla linea mediana, e Pechino secondo la regola delle 200 miglia nautiche, cosa che comporterebbe per le isole di Okinawa di godere di appena 20 miglia di acque territoriali.

Come per ogni nazione marittima, gli interessi giapponesi si poggiano su due basi fondamentali: la protezione delle linee di comunicazione15 ed il rispetto delle norme di diritto16, visto l’ingente commercio di petrolio, punto sensibile per un’economia che, dopo il disastro di Fukushima, dipende sempre più dalle importazioni energetiche. E qui entra in gioco la Japan Maritime Self-Defence Force dotata di una flotta aggiornata ed operativa, supportata da aeromobili, con oltre 50.000 uomini e donne; oltre all’entrata in servizio delle portavelivoli Izumo17 lunghe 250 metri e da oltre 27.000 tonnellate, va considerata la forza dei cacciatorpediniere, vero asse portante della Marina giapponese. I destroyer, con dislocamenti che vanno da 4.000 ad oltre 10.000 tonnellate, danno corpo ad una strategia che punta al sea control nel Pacifico Settentrionale e nei mari adiacenti alle isole dell’arcipelago nazionale.

Da considerare quindi la nuova strategia del Ministero della Difesa, che ha rinunciato alle postazioni terrestri Aegis Ashore, per aumentare i caccia Aegis, con l’allestimento di fregate di nuova generazione (30FFM), per sostituire le unità più anziane, gli Abukuma e gli Asagiri. All'inizio del 2020 la Marina giapponese disponeva di 48 caccia18, unità dotate di armi idonee a controllare ed interdire lo spazio aereo, garantendo la protezione dagli attacchi missilistici.

Importante il ruolo demandato alla flotta di pattugliatori marittimi che riprendono il concetto della Air-Sea Battle americana, in modo da condividere i dati da piattaforme molteplici consentendo attacchi da fonti differenti ed intercomunicanti.

Anche il Giappone è così giunto al concetto di Multidimensional Joint Defense Force, per cui l'idea di integrazione fra le forze armate, accelerata dalla geopolitica cinese, è divenuta fondamentale; il controllo dello spazio è divenuto esercitabile anche dalle navi operative che interagiscono con i sistemi di comunicazione satellitare, di navigazione e di electronic warfare-support-intelligence19. Le attuali navi da combattimento hanno dunque realizzato l'integrazione del campo di battaglia, e sono pronte per affrontare una guerra multidimensionale.

Le Izumo originariamente non sono state equipaggiate né con catapulte né con lo ski-jump per il decollo corto; con le modifiche in corso potranno trasportare la variante a decollo corto e atterraggio verticale dell’F-35; intanto Tokyo ha già approvvigionato 42 F-35A, variante a decollo e atterraggio convenzionale. Il ponte di volo è in via di rivestimento con speciale materiale termoresistente per resistere alle temperature dei flussi generati per il decollo corto dello JSF. Sarà riconfigurata l’intera griglia difensiva a corto e medio raggio per agevolare le operazioni di volo degli F-35B, e la struttura interna sarà rivista per ospitarne la linea logistica.

La Izumo ha completato la prima delle due modifiche nel 2021, e ha eseguito il primo test dimostrativo di atterraggio e decollo di F35-B da parte di velivoli dello USMC; la seconda modifica dovrebbe aver luogo nel 2025, con la modifica rettangolare della prora. Il potere navale giapponese sta risorgendo, ed i caccia rappresentano un reale fattore di potenza. Lo sviluppo cinese e l’aggressività coreana hanno condotto alla necessità di possedere mezzi in grado di confrontarsi con qualsiasi tipo di minaccia; da qui la produzione in house di mezzi più pesanti e performanti20.

Oltre alla forza di superficie il Giappone può vantare una componente subacquea, in espansione21, di almeno 17 battelli che hanno evidenziato una capacità tecnologica ormai in grado di operare autonomamente22.

Il Giappone ha una sola base aerea ad Okinawa, la Naha Air Base, unica struttura a difesa dell’intera area meridionale; disponendo di portaerei, Tokyo potrebbe disperdere la forza aerea non più vincolata a strutture fisse, inevitabile bersaglio primario.

Non a caso Tokyo ha iniziato a costruire una base sull’isola di Mageshima, nella prefettura sud-occidentale di Kagoshima, utile a rafforzare le difese nelle isole Ryukyu ed a fornire una base aerea di riserva in caso di attacco su Okinawa; per effetto della sua posizione Mageshima è divenuta il luogo ideale per gli atterraggi dei velivoli delle portaerei americane, attualmente indirizzati su Iwojima.

Come riportato da Asia Times l’importanza strategica di Mageshima deriva dal fatto che, per quanto piccola, può fungere da base logistica, barriera protettiva, base operativa, indicatore geografico per le rivendicazioni marittime23.

Come potrebbe svilupparsi un’ipotetica azione bellica sino-nipponica? Le navi cinesi presumibilmente impegnerebbero quelle giapponesi in punti diversi per impedir loro di concentrarsi nelle zone di attività di sbarco anfibio a sud delle Ryukyu, e puntare poi ad un’occupazione stabile; c’è tuttavia da tenere conto che la dispersione delle unità non considera né il controllo dello spazio aereo né come esso incida sulle attività marittime, limitate della libertà di movimento.

La capacità antinave giapponese, aeronautica e aeronavale, rende rischiosa un’azione in profondità nelle acque controllate da Tokyo, dato che esporrebbe a rischi i velivoli decollati da terra; rischiosa come l'idea di impegnare interi gruppi da battaglia navali. Data la presenza di presidi giapponesi sulle Ryukyu24, le forze di invasione cinesi rischiano di andare incontro alle conseguenze della strategia di riduzione graduale25, volta ad infliggere forti perdite.

Da ricordare infine la strategia della distributed lethality volta a garantire un aumento del potere marittimo aumentando le capacità offensive di ogni singola unità di superficie, littoral combat ship, navi anfibie26 (destinate a diventare portaerei leggere dotate di F-35B) e logistiche comprese; le unità dovrebbero formare dei gruppi SAG27 piccoli e disseminati, difficili da colpire secondo una ratio che riguarderà anche le basi aeree e navali come Guam con la rotazione dei velivoli, cosa porterebbe un eventuale invasore a disperdere la sua potenza di fuoco come già avvenuto tra il 41 ed il 45 proprio nel Pacifico.

È una strategia adeguata? Va considerata l’effettiva capacità navale cinese, caratterizzata dalla prevalenza delle fregate rispetto ai caccia, non tutti evoluti. Una maggiore operatività delle LCS comporterebbe un vantaggio in grado di eguagliare l’azione delle fregate cinesi liberando i caccia per l’azione.

Conclusioni. Date politica e globalizzazione, anche in Giappone l’invasione ucraina ha ingenerato sia un timore di vuoto logistico, sia la necessità di riconsiderare le incertezze poggiate su un intervento difensivo americano in caso di conflitto con Russia o Cina, o di attacco cinese su Taiwan; vista la politica occidentale ecco, giocoforza, il crollo delle convinzioni costituzionali e pacifiste di un Paese che ha dovuto prendere atto della mancanza di un’effettiva capacità deterrente o, per meglio dire, di contrattacco28, data la natura esclusivamente difensiva delle sue forze armate che potrebbero trovarsi comunque coinvolte in un conflitto con armi nucleari americane condivise.

Tokyo ha dovuto prendere atto sia della fine delle regole dell’ordine internazionale vigente, sia delle possibili difficoltà di mantenimento in sicurezza delle vie di comunicazione marittima specialmente in carenza di alleanze regionali e globali. Estendendo il concetto, si può presumere che il Giappone intenda passare da un pacifismo passivo ad uno attivo.

Politicamente il Giappone sta rivendicando un proprio ruolo centrale nel raggiungimento e nel mantenimento di un nuovo equilibrio regionale e globale, assumendo una posizione di rilievo nella global supply chain. Al momento, come spesso avviene, spicca la labilità dell’UE.

Un errore da evitare è comunque il considerare solo i maggiori contendenti, USA e Cina, impegnati nel dar sostanza alla loro trappola di Tucidide, senza valutare la presenza degli altri attori, ovvero Giappone, India, Vietnam, Filippine, Indonesia, Australia, impegnati a contrastare l’arbitraria nine dash line cinese.

Sotto l’aspetto navale, il potere aeronavale indiano rivestirà un ruolo significativo di contenimento della Cina, in funzione dell’alleanza con Tokyo, l’altro braccio della tenaglia che serrerebbe Pechino, condizionata da un concetto di potere marittimo ancora influenzato da visioni continentali; britannici e giapponesi, non a caso, hanno dimostrato che flotte più contenute e guidate da una strategia chiara e pungente spesso prevalgono su flotte più numerose ma non alla pari nell’addestramento.

1 Nel gennaio scorso Rishi Sunak e Fumio Kishida hanno reso noto il raggiungimento di un accordo di cooperazione militare in via di approvazione; accordo che esprime una comunanza di visione geopolitica sull’estremo oriente. A questo va aggiunto l’intento giapponese di accedere ai Five Eyes.

2 Il contesto va valutato alla luce della crisi asiatica del 1997 e della bolla Dot-Com del 2001, che portarono il Giappone in recessione ed in una situazione teorizzata da Keynes: la trappola della liquidità. Per effetto di aspettative negative il Giappone ha accumulato liquidità anziché spendere; senza domanda di beni è partita la recessione con un aumento della disoccupazione e minori consumi e investimenti. Il Giappone è tornato alla crescita negli anni successivi a Fukushima e l’instabilità politica è stata accantonata dalla guida del governo di Shinzo Abe.

3 Comprehensive and Progressive Trans-Pacific Partnership; EU-Japan Economic Partnership Agreement; Regional Comprehensive Economic Partnership.

4 Non si tratta di un raddoppio tout court; alcune spese erano già state considerate sotto altre voci

5 Vd. Potenziamento cybersicurezza e missili di precisione a lunga raggio. Tokyo sta sviluppando la capacità di standoff, cioè la capacità di rispondere alle minacce nel mare e nello spazio aereo. Da una portata limitata a circa 125 miglia, si è passati ad una portata di oltre 300, con l’intento di introdurre missili con una gittata di 1.000 miglia.

6 Malgrado l’impegno profuso a sostegno statunitense nell’Asia-Pacifico, Tokyo ha mantenuto aperti canali diplomatici con Pechino, che ad oggi è tra i primi partner commerciali; nel frattempo Washington, con l’Indo-Pacific Economic Framework for Prosperity (Ipef) del 2022, tenta di indurre alleati/partner a disaccoppiare le proprie economie da quella cinese.

7 L’NSS identifica le attività della Cina e della Corea del Nord come una sfida strategica senza precedenti e una minaccia grave e imminente. In più osserva che l'aggressione della Russia contro l'Ucraina ha facilmente violato le fondamenta stesse delle regole che modellano l'ordine internazionale; l'NDS stabilisce che l'aggressione russa è stata possibile perché la capacità di difesa dell'Ucraina era insufficiente per generare deterrenza

8 Le nuove linee hanno sviluppato un concetto basato su difesa e deterrenza dinamiche con un miglioramento dell’efficacia delle attività di intelligence e ricognizione.

9 L’articolo appare penalizzante per una Nazione sovrana, oltre che essere oggetto di discussione da un punto di vista giuridico. Il testo si presenta come nor­ma vincolante ed esecutiva nell’ambito della politica nazionale. Le perplessità si manifestarono da subito sia per la negazione alla legittima difesa, sia per la compatibilità dell’articolo con il sistema di difesa collettiva delle NU, che presupponeva la presenza di forze armate per i Paesi che ne facevano parte. L’articolo 9 verrà rimesso in discussione appena 3 anni dopo la sua entrata in vigore allo scoppio della guerra di Corea, quando il riarmo giapponese di fronte alla minaccia coreana divenne una priorità che tuttavia non poté essere soddisfatta.

10 Cambogia, Zaire, Kenya, Mozambico, ed anche in Honduras e in India

11 La portaerei Kaga ha già cominciato i lavori adeguamento per poter operare con i cacciabombardieri di quinta generazione STOVL F-35B presso il cantiere navale Japan Marine United (Jmu) di Kure, nella prefettura di Hiroshima, situata nella parte occidentale dell’isola di Honshu

12 La nuova strategia allora fu denominata Arco della libertà e della prosperità

13 Quadrilateral Security Dialogue

14 Free and Open Indo Pacific

15 Tokyo intende proteggere tra gli altri gli stretti di Miyako, Luzon e Malacca.

16 Asean ed altri attori hanno richiamato al rispetto del diritto del mare ONU con la sentenza della Corte permanente d’arbitrato dell’Aia del 2016, nella quale l’organismo aveva dato ragione alle Filippine nella contesa con la Cina.

17 Il progetto delle Izumo è ispirato al trasporto aereo ad ala fissa. Le due unità possono trasportare fino ad un massimo di 28 velivoli a rotore antisom SH-60K Seahawk ed i convertiplano V-22 Osprey. Il progetto era stato indirizzato per farne unità in grado di trasportare elicotteri Seahawk e quindi operare come piattaforma per la guerra antisom.

18 4 portaelicotteri (DDH) Hyuga e Izumo, 8 lanciamissili (DDG) Hatakaze, Kongo, Atago e Maya, 30 multiruolo (DD) Hatsuyuki, Asagiri, Murasame, Takanami, Akizuki e Asahi (dotati del sistema radar FCS-3A), e 6 di scorta (DE) Abukuma.

19 Il missile SM-3 impiegato dalle navi Aegis, nl 2008 ha abbattuto il satellite USA-193 in avaria. L'ultima versione denominata SM-3 Block IIA raggiunge un'altitudine di 1.000 km che lo rende un’arma spaziale. La JMSDF dispone di una propria rete satellitare chiamata Superbird, costituita da satelliti geostazionari.

20 Gli Hatsuyuki del 1982 dislocavano a pieno carico 4.000 tonnellate con una propensione alla lotta antisom, capacità difensive spiccate e apparati motore da 30 nodi; gli Atago sono più lunghi di 30 metri e dislocano oltre 10.000 tonnellate, con propensione alla guerra di superficie e controaerea, dotazioni missilistiche ed attrezzature elettroniche avanzate, difesa antisom, turbine a gas che assicurano una velocità di 30 nodi.

21 Nel 2022 è entrato in servizio il primo battello della classe Taigei, potrà imbarcare un equipaggio di circa 70 persone; lungo 84 metri, con un pescaggio di 10,4 metri e un dislocamento di circa 3.000 tonnellate, è leggermente più grande rispetto ai precedenti Soryu. Il battello è alimentato da un motore diesel-elettrico ed è dotato di batterie agli ioni di litio. La classe Taigei avrà anche un nuovo e più avanzato Combat Management System e potrà impiegare il più recente siluro pesante giapponese Type 18, e potrà lanciare missili antinave Boeing UGM-84L Harpoon Block II, utilizzabili anche contro bersagli terrestri. Finora il Giappone è l’unico Paese noto ad aver installato batterie agli ioni di litio; la Corea del Sud potrebbe essere il prossimo Stato a farlo.

22 Vd. il missile antinave SSM1, con portata di oltre 80 miglia e testa esplosiva di 225 kg.

23 Non si può escludere che gli USA possano qui posizionare missili a lungo raggio, data l’intenzione di costruire un muro missilistico nella prima e nella seconda catena di isole.

24 Vd. batterie di missili antinave Mitsubishi Type 12 SSM e antiaerei Mitsubishi Type 03 Chu-SAM; batterie antibalistiche PAC-3 Patriot

25 zengen sakusen, strategia con operazioni d'attrito che miravano a indebolire il nemico con la graduale riduzione della sua potenza

26 Vd. la classe America (capoclasse America e Tripoli), con la previsione di altre 11 unità. L'US Navy non disporrà soltanto delle super-carrier della classe Nimitz e Ford, ma avrà anche la possibilità di impiegare portaerei più piccole con F-35B. La Type 001 e la Type 001° cinesi non eguagliano la classe America riconfigurata come portaerei leggera, sia per la presenza di velivoli di 5 generazione, sia per le prestazioni complessive.

27 Surface Action Group

28 Capacità di attaccare direttamente il territorio di un altro paese in caso di emergenza e in determinate circostanze.

Foto: Military Sealift Command Far East / presidenza del consiglio dei ministri / U.S. Navy / Japan MoD