Grabbing: l'inarrestabile accaparramento cinese di acqua e terra

(di Gino Lanzara)
14/06/21

Amici miei, e non della ventura, rieccoci sulle tavole del palcoscenico geopolitico con uno schema inusuale: il sacro, il profano, l’attuale panorama.

Il Sacro divino. “In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque.” Si può credere o meno sulle cause originarie, ma che acqua e terra fossero gli elementi fondanti è fuori discussione; gli stessi elementi che, metaforicamente, esigevano i Persiani dai popoli sottomessi, e che furono loro negati da Ateniesi e Spartani1, che rivendicarono la loro libertà gettando nel profondo di pozzi destinati ai condannati gli emissari del Re dei Re, che nulla poté contro un popolo cocciuto di filosofi e guerrieri, che fecero di coraggio e razionalità la base di una Sacralità Umana, quella stessa stupefatta ed acquea intangibilità che si trova nel più arido dei luoghi, il Sahara, che custodisce la Grotta dei Nuotatori, cara a chi ha trovato passione e coinvolgimento nella storia di László Ede Almásy, l’ispiratore de Il Paziente Inglese.

Il Sacro ed il Profano: il VII Comandamento, su cui non dovrebbe esserci bisogno di dilungarsi, ma che le prime pagine dei giornali quotidianamente richiamano all’attenzione; piccolo spoiler: il termine grabbing, impossessarsi, lo sentirete spesso.

Il Profano. È innegabile che le prime comunità siano state fondate sulle sponde di grandi e costanti corsi fluviali2: ancora oggi la disponibilità idrica pro-capite è indice di ricchezza assoluta del territorio; colpisce l’area mesopotamica, asfittica e vincolata agli interessi Turco3 Iraniani4, con Teheran penalizzata da discutibili scelte politiche relative al lago di Urmia nell’Azerbaijan occidentale, e Baghdad profondamente indebolita in un bacino, quello di Tigri ed Eufrate, che interessa anche Siria, Arabia Saudita ed in parte anche Giordania e Kuwait.

Domanda (apparentemente) banale: a che serve l’acqua oggi? A dissetare, sanificare, coltivare, illuminare, produrre, a raffreddare gli impianti delle più moderne centrali nucleari; circa 15 delle massime aziende mondiali francesi, americane e cinesi, occupate a dar da bere agli assetati, si contendono un mercato che vale non meno di 300 miliardi di euro annui.

La disponibilità di acqua incide direttamente sulle capacità produttive alimentari ed energetiche e, di conseguenza, sulle bilance commerciali nazionali. Da questo punto di vista, le tecniche di scoperta, raccolta, distribuzione, utilizzo e recupero idrici diventano strategiche, tanto da indurre gli egemoni, sostanzialmente gli occupanti i seggi del consiglio di sicurezza ONU, ad acquisire quanta più acqua possibile; proprio le NU nel 1997, sulla scorta della normazione fornita dalle Regole di Helsinki nel 1966, hanno gettato le fondamenta dei principi di diritto internazionale in materia che, tuttavia, non hanno dissipato i dubbi circa i principi di condivisione, di equo utilizzo dell’acqua, dell'obbligo di non causare danno.

Ora la geopolitica, soprattutto le Guerre dell’Acqua5, conflitti di cui già si parla da almeno vent’anni, e che chiariscono come Idrogeno, Ossigeno ed uno shake elettrico fungano da fattore ambientale, economico, strategico, di stabilità, e di quale potere siano investiti i paesi che, trovandosi a monte dei fiumi, sono interessati alla realizzazione di opere di contenimento finanziate da fondi privati poco attenti alle dinamiche politico sociali6.

Combattere in un futuro prossimo per l’oro blu, divenendo più frequente di quanto non avvenga per il petrolio, rianimerebbe dinamiche già vissute7. I sistemi fluviali plurinazionali si trovano in tutti i continenti8 e condizionano la vita di almeno il 40% della popolazione mondiale; ma è soprattutto in MO, nell’area MENA9 che spicca il ruolo che l’acqua, anche la fossile, ha interpretato nel delineare i territori e nel plasmare geopolitica ed economia.

Basta guardare all’Egitto, in forte crescita demografica e con un approvvigionamento idrico difficoltoso dipendente dal Nilo, fiume che bagna ben 9 Paesi; accordi stretti in altri tempi non possono contenere le spinte di un’idropolitica10 fortemente condizionata da fattori esogeni, e che si incarna nella etiope Grand Ethiopian Renaissance Dam, spada di Damocle pendente sulle nilotiche aspirazioni egiziane.

I recenti avvenimenti israelo palestinesi riportano al problema delle acque del Giordano, un dilemma che non trova soluzione perché vincolato a motivazioni ideologiche e storiche da cui nessuna delle parti intende recedere fin dal 1955, ovvero dal Johnston Plan, tecnicamente valido ma politicamente ingestibile, per giungere agli anni 60, prima con i tentativi arabi di deviazione dei fiumi Banias e Yarmuk, poi, attualmente, con le perduranti dispute sul bacino dell’Alto Giordano, geologicamente esteso dall’Anatolia meridionale fino all’Africa nord-orientale, che include la valle della Beqaa libanese, il mare di Galilea (Lago di Tiberiade), la valle del Giordano, il Mar Morto, e che politicamente coinvolge Siria, Libano, Israele e Giordania11, oltre al futuro Stato palestinese.

Premettendo che non è intenzione assegnare alcuna taddema di innocenza, va detto che la politica idrica israeliana, figlia di un’aridità senza pari, è rigida, così come sono veementi le proteste palestinesi; se da un lato resiste un approccio israeliano sia scientifico che tende a creare risorse idriche non da ultimo con desalinizzatori, riciclaggio delle acque reflue, ricarica delle nubi con cristalli di ioduro d’argento, sia politico che agevola la propria collettività ma talvolta da posizioni oggetto di critica dal consesso internazionale, dall’altro palestinese sussiste un’instabilità interna che aggrava ritardi ed inefficienze, ed inibisce gli investimenti. Realisticamente, il know how israeliano risulta particolarmente funzionale al mantenimento di proficui rapporti sia con l’Egitto sia con la Giordania, a cui la tecnologia idrica israeliana torna di certo utile.

In generale, un poderoso incremento complessivo dei volumi idrici grazie alla valorizzazione di fonti alternative12 appare irrealizzabile: l’unica strategia percorribile per contrastare la penuria rimane il contenimento della domanda. La comune opposizione sociale agli aumenti tariffari porta ad un precario esercizio politico che ha come obiettivo impedire la perdita di consenso.

L’aumento strategico dell’offerta liquida grazie alla realizzazione di grandi progetti sposta il problema dall’ambito interno a quello sovranazionale. È interessante la valutazione delle azioni dell’IS che ha puntato al controllo di petrolio ed acqua combattendo soprattutto nelle zone delle grandi dighe13; un posizionamento strategico per due motivi: la presenza di acqua permette di sostare a lungo sul territorio prescelto e, contemporaneamente, mette sotto scacco intere aree, dato che la distruzione anche di una sola diga si abbatterebbe con conseguenze devastanti sulla popolazione residente.

Si può affermare che l’acqua fluisce sopra e sotto la superficie politica mediorientale. Interconnessione e globalizzazione amplificano i problemi regionali, e li traslano dalle aree originarie verso l’esterno. L'acqua è una conditio sine qua non che non conosce mezze misure, è l’elemento chimico più abbondante in natura capace di ascendere a concetto di potere.

Le crisi idriche assurgono a problema securitario ed egemonico e, nella loro ciclicità, tanto possono condurre ad una crisi malthusiana14, quanto possono stimolare cambiamenti adattativi; rimane un’idroegemonia declinata sotto forma di accorti controlli sia sulle disponibilità idriche sia sugli aggregati sociali, aspetto che induce a ritenere che se le tesi addotte a proposito delle guerre per l’acqua indulgono ad un sensibile pessimismo, le motivazioni cooperativistiche si presentano con un ottimismo eccessivo.

L’acqua, quale elemento concettuale di potere, emerge dunque all’interno di un contesto dove trovano spazio sia ulteriori principi egemonici sia altre guerre di posizione15 a là Gramsci. Comunque, rappresentare il pericolo bellico come unicamente connesso all’acqua, rischia di tratteggiare solo parzialmente una realtà che non può essere enucleata dal complesso delle tensioni geopolitiche, peraltro interessate da analisi a più graduazioni, a livello locale e globale, in un contesto sempre meno sicuro che risente dell’assenza di una gerarchia geopolitica chiara.

La rivalità geostrategica fa da sfondo alle decisioni di Cina ed India di costruire dighe, deviare, alterare il corso dei fiumi, ionizzare le nuvole sull’altopiano tibetano per aumentare le precipitazioni; in Africa, Il Cairo, Khartum ed Addis Abeba si stanno affrontando in merito alla querelle che interessa la GERD, che se da un lato sta alimentando le ambizioni energetiche sino etiopi, dall’altra sta già alimentando forti instabilità nel Paese più popolato e militarizzato della regione, l’Egitto. In merito alla GERD, le posizioni sino russe sono diventate interpreti di tattiche diplomatiche che marcano la distanza con gli USA; sia Pechino che Mosca hanno bisogno che lo statu quo etiope e sudanese rimanga stabile, tanto da permettere la realizzazione di una base militare russa nell’area Mar Rosso - Suez - Corno d’Africa, un’estensione che la Cina considera di rilievo nell’ambito della Via della Seta.

Tra stress idrico e geopolitica sussistono due nessi da considerare: eccessi d’acqua dovuti allo scioglimento glaciale che ha aperto nuove rotte marittime nell’Artico, ed oggettiva difficoltà di riconciliazione tra Paesi, molti dei quali interessati dalla presenza di bacini idrici assurti alla notorietà dopo la fine di URSS e Jugoslavia, per i quali spiccano tre fattori: posizione geografica, politica di impiego dell’acqua e variabilità del contesto.

Le tematiche idriche, specialmente in tema di water grabbing, introducono all’altro elemento biblico: la terra.

A partire dal secolo scorso, la globalizzazione ha costituito l’humus ideale per la diffusione del fenomeno del land grabbing, evento socio-economico grazie a cui multinazionali e governi stranieri acquisiscono il controllo16 di latifondi in Paesi diversi da quelli di origine. La necessità di ottenere grandi estensioni di terreno risiede nel bisogno sia di garantire la propria sicurezza alimentare, sia di assicurarsi il pieno controllo di punti nodali interessanti le vie di comunicazione.

Il land grabbing è più o meno presente nei diversi continenti, ed è spesso collegato alla trappola del debito, ovvero al fatto che lo stesso terreno su cui dovrebbe esercitarsi la sovranità dello Stato17, viene offerto a garanzia dei prestiti ricevuti18, una tecnica in cui eccelle Pechino, forte di riserve valutarie pari ad oltre 1,8 trilioni di dollari. Diplomazia, geopolitica, strategia aggressiva degli investimenti esteri, hanno ultimamente portato a circa 30 trattati di cooperazione agricola capaci di assicurare l'accesso a terreni coltivabili in paesi esteri previo scambio di tecnologia, formazione ed infrastrutture.

La strategia cinese è di tipo conservatore: il governo utilizza meccanismi finanziari sia a protezione degli investimenti sia per massimizzare le opzioni di approvvigionamento a lungo termine19. Mohamed Nasheed, ex presidente delle Maldive, ha dichiarato che in breve tempo, e senza sparare un solo proiettile, la Cina ha conquistato più terra della Compagnia delle Indie Orientali. Se tecnicamente non può parlarsi di furto, dato che i territori vengono ceduti a seguito di inadempienze contrattuali, non si possono tuttavia non stigmatizzare diversi aspetti, sostanzialmente connessi sia all’incapacità negoziale degli specifici contraenti, scelti non a caso per la loro intrinseca debolezza istituzionale, sia all’assenza di strutture sovranazionali prive di qualsiasi attività preventiva di controllo.

Se è vero che la precedente e neo-atlantica amministrazione Montenegrina ha peccato di una colpevole ingenuità nell’accettare le condizioni cinesi per la realizzazione di una via di comunicazione costosa e discutibile20, è tuttavia altrettanto vero che l’assenza di prospettiva geopolitica europea è risultata disorientante.

Se non è ipotizzare saldare i debiti in conto terzi, non è tuttavia nemmeno accettabile l’ipotesi di consentire, dopo che Belgrado ha già ricevuto 4 milioni di dosi di Sinopharm, l’intensificazione della presenza di Pechino e delle sue reti infrastrutturali ramificate nel cuore continentale balcanico, dopo aver peraltro assistito al suo ingresso in America Latina ed in Africa, un’ipotesi che potrebbe reiterare quanto accaduto nel 2017 in Sri Lanka, con la forzata concessione del porto di Hambantota per un tempo che, in febbraio, è stato stimato non inferiore a 198 anni. Da seguire, sotto questo aspetto, la vicenda che sta interessando la liaison sino iraniana, dove è ancora vago e labile il confine che separa gli interessi degli uni dalle aspettative degli altri, ma che è accomunato da una partnership fondata sul petrolio e sulla possibile istituzione di un istituto bancario congiunto, che permetterebbe di evitare il ricorso allo USD.

Gli investimenti cinesi in Iran, per i prossimi 25 anni ammonteranno a circa 400 miliardi di USD, e si dirigeranno verso settori sensibili21, oltre ad una rivisitazione della cooperazione militare, da mettere in relazione con il disimpegno americano che ha creato spazi che Pechino intende riempire anche in Afghanistan, dove la sicurezza interna assurge ad interesse nazionale cinese, sensibile ad una stabilità che richiede l’inserimento di Kabul nel Corridoio Pakistano.

Nel mentre, ad Islamabad, è stata negata la ristrutturazione di 3 miliardi di interessi su un prestito da 31 concesso da Pechino per finanziarie le infrastrutture energetiche.

Ankara completa il cuneo cinese che, in questo modo, è giunto sul Mediterraneo grazie agli ingenti aiuti economici concessi che hanno già consentito sia l’acquisizione, da parte di Pechino, del 65% del terzo più grande terminal per container turco situato a Istanbul, sia del 51% del Ponte Sultan Selim progettato per connettere Asia ed Europa attraverso il Bosforo, senza contare la firma di numerosi accordi commerciali bilaterali che toccano finanche l’energia nucleare, nonché la concessione di prestiti miliardari.

La goccia geopolitica cinese, in sintesi, non dimostra altro che, pur nello scorrere del tempo, spinte egemoniche e proiezioni di potenza, anche se con strumenti asimmetrici, richiamano l’imperialismo persiano d’antan: mai acqua e terra sono state così importanti.

1 Erodoto

2 Tigri ed Eufrate; attualmente le loro limitazioni dovute agli interventi turchi, penalizzano l’Iraq meridionale e la Siria. Il progetto, dagli anni 90, è fortemente osteggiato anche dalle minoranze curde, che vi intravvedono un rinnovato sistema di controllo

3 Ankara sta realizzando il Southeastern Anatolia Project (SAP), relativo a sviluppo del settore agricolo ed a produzione di energia elettrica (22 dighe e 19 impianti idroelettrici).

4 Teheran ha sviluppato sistemi di dighe che influiscono sugli affluenti più importanti del fiume Tigri

5 Nel 2018 un rapporto della Banca mondiale citava 507 conflitti connessi al controllo delle risorse idriche.

6 Nel 2015 la fine dei lavori per la realizzazione di una diga che ha interrotto il flusso di un affluente del Brahmaputra, ha innescato uno scontro diplomatico tra Cina ed India, a valle, che ha denunciato il rischio di una riduzione della portata dell’acqua in termini di irrigazione e di potabilità per i suoi villaggi fluviali. Pechino ha di conseguenza interrotto la trasmissione dei dati sulla portata delle acque, necessari per prevedere le piene. Analogo discorso può essere intrapreso per l’India, che influisce sugli approvvigionamenti idrici del Pakistan

7 La guerra dei 6 giorni del 1967 contro Egitto e Siria segnò l’inizio di un conflitto legato alla sicurezza di Suez e dei 2 Stretti di Tiran sul Mar Rosso; l’acqua rimase al centro della rivalità arabo israeliana all’entrata in scena di Siria e Giordania. L’esito finale determinò l’occupazione di zone strategiche sia dal punto di vista militare che idrico (alture del Golan)

8 India e Bangladesh contendono sul Gange; Messico e USA sul Colorado; Repubblica Ceca e Ungheria sul Danubio. In Asia centrale, cinque ex repubbliche sovietiche si dividono Amu Darja e Sjr Darja, 11 stati Nilo e Niger, nove il Rio delle Amazzoni

9 Middle East and North Africa

10 Accezione determinata dal valore crescente dell’acqua, dalle difficoltà relative a qualità e quantità degli approvvigionamenti, dalle possibilità di accesso

11 Ora impegnata nel Water National Project

12 P.es., fossili

13 Gli scontri più violenti si sono registrati per il controllo della diga di Mosul

14 Si verifica quando la crescita demografica supera la produzione di risorse alimentari; Malthus ha ipotizzato che mentre il progresso tecnologico può incrementare l'offerta di risorse come il cibo migliorando gli standard di sopravvivenza, l'abbondanza stessa determinerebbe una crescita demografica, capace di riportare l'offerta pro capite al suo livello originale.

15 Come il tipo di confronto in cui forze economiche, politiche e sociali non si affrontano militarmente ma agiscono per facilitare, sfidare o fermare l’egemonia.

16 Tramite acquisto, leasing e utilizzo di fondi sovrani

17 Tra i paesi più rilevanti ricordiamo: Repubblica Democratica del Congo, Sud Sudan, Mozambico, Repubblica del Congo, Liberia, Papua Nuova Guinea, Indonesia e zone dell’Europa orientale

18 Tra i maggiori predatori, oltre agli USA, annoveriamo UK, Olanda, Cina, India, Brasile, EAU.

19 La Cina ha acquisito migliaia di ettari di terra in Argentina per l'agricoltura  

20 1 Mld di euro nei confronti della Export Import Bank

21 Banche, telecomunicazioni (5G ed il satellitare BeiDou), sanità, tecnologie dell’informazione (sistemi di controllo internet), strade, porti, infrastrutture

Foto: Ministry of National Defense of the People's Republic of China / Xinhua / web