La situazione internazionale evolve con rapidità e non c’è Paese che non debba adeguarsi. In un’area naturalmente critica in cui la Cina, pur in ascesa, manifesta fragilità che continueranno ad impedirle di rilevare nel breve periodo il ruolo egemonico americano; in cui la Russia si propone aggressivamente; dove la penisola coreana palesa sentimenti anti nipponici, e dove gli USA, mentre cercano di contenere Pechino sono scossi da problemi interni, il Giappone deve andare oltre lo status di soggetto economico per gestire direttamente la propria sicurezza in funzione anti cinese.
Il Giappone della metà del XXI secolo sarà colpito da un calo demografico che influirà sulla capacità di proiettare potenza diplomatica, economica, militare. Nel mantenere i rapporti con Washington, Tokyo dovrà conservare il suo ruolo di raccordo con l’occidente, mantenendo il focus su sicurezza e sviluppo economico.
Intelligenza Artificiale, computer quantistici, reti 5G e 6G, costituiscono le premesse utili alla leadership giapponese per rimanere sulla cresta dell’onda per lo meno fino al 2051. Le sfide regionali non mancheranno: l’instabilità coreana, tenuta viva dal nord atomico, continuerà a rendere problematici i rapporti tra Seul e Tokyo, spinta verso un riarmo volto a compensare l’insicurezza alimentata dal rischio di attacchi preventivi e da sistemi anti-accesso ed interdizione d’area (A2/AD), mentre le relazioni con Taiwan continueranno a rimanere centrali, dato che la riunificazione con la Repubblica Popolare altererebbe lo stato securitario regionale costringendo il Giappone a rinforzare la propria presenza per garantire la libertà delle linee marittime.
La strategia giapponese rimarrà dunque vincolata al raggiungimento degli obiettivi fissati da Xi Jinping per il 2049; se la crescita di Pechino fosse anche solo rallentata con una stagnazione economica, il Dragone cadrebbe nella spirale di un nazionalismo destabilizzante volto a riaccendere le dispute nel Mar Cinese Orientale e in quello Meridionale.
Spostandosi nell’Indo Pacifico, Tokyo ha promosso una visione strategica globale che ha puntato a spazi liberi e aperti (FOIP)1, tanto da promuovere il suo impegno nel sostenere l’ordine internazionale anche oltre i confini regionali, fino all’America Latina con l’iniziativa juntos, fondata sui tre cardini del Progredir2, del Lidear, dell’Inspirar.
Nel 2051 in Giappone il rapporto tra nativi e stranieri porterà a diversificare in senso multirazziale la società; una società spesso dipinta esemplarmente, ma che ha bisogno di un ministero della solitudine per far fronte all’alto tasso di suicidi ed agli Hikikomori, persone che vivono distaccate dalla realtà circostante.
La società giapponese è autoritaria, impone il sacrificio delle libertà del singolo a favore del benessere collettivo; i giapponesi lavorano spinti dal timore dell’esclusione dal contesto a cui sentono di appartenere; la produttività si accompagna a workaholic3, stress, esigua vita sociale, bassa natalità, tutto per fregiarsi del titolo di cittadino modello, di ordinato musicista in un’orchestra priva di solisti.
Mentre la crescita economica preoccupava per la sua impetuosità i concorrenti occidentali, secondo stime della Banca Mondiale, ora il PIL giapponese, penalizzato da bassa natalità e da un welfare sempre più impegnativo, è passato dai 5.449 miliardi di dollari del 1995 ai 4,873 del 2017, senza contare il debito pubblico, gestito dalle Poste e dall’indipendente Banca Centrale4, che ha superato il 256% del PIL a fine 2021, e con un’inflazione al 2,1% anche per effetto degli aumenti dei prezzi di materie prime e carburanti conseguenti al conflitto ucraino.
Da ricordare: in Giappone non c’è spread, perché non esiste un mercato in cui i titoli di stato si comparino con quelli degli altri paesi; la spesa pubblica rimane relativamente bassa, con un carico fiscale meno accentuato che in Occidente.
Se il Giappone vuole uscire dal giogo della bassa crescita, deve incentivare le politiche demografiche, muovendosi anche nell’ambito del consesso internazionale, come fatto con il Comprehensive Progressive TransPacific Partnership5, ovvero il TPP senza gli USA, cui hanno chiesto di aderire anche Cina e Taiwan, ed a cui aggiungere il Regional Comprehensive Economic Partnership, di cui fanno parte i paesi Asean; l’economia diventa geopolitica e si crea un asse geoeconomico conformato alla Via della seta, strategia che, se realizzata, per via marittima creerebbe un’area economica che dalla Cina raggiungerebbe l’Europa e che costringerebbe Tokyo ad un balance of power. Tra adesioni al CPTPP, ratifiche RCEP, Corea e Kurili6, il Giappone è divenuto punto nodale della riorganizzazione geoeconomica e geopolitica asiatica.
Tokyo è tornata a crescere economicamente dopo Fukushima, ed il quadro politico è stato stabilizzato dalla protratta leadership di Shinzo Abe, che ha dato il nome ad un ampio programma espansivo di riforme economiche, l’Abenomics. I cambiamenti hanno interessato anche l’industria, che si è trovata a dover fronteggiare la crescita di India e Cina.
L’analisi economica7 non può trascurare il mercato interno, ampio e sospinto dai consumi, da infrastrutture all’avanguardia e dagli aspetti geografici. Tokyo è rilevante per il suo peso economico, per le sue basi di accumulazione finanziaria, per lo smart power, e per il fatto di essere stata finora una potenza civile, ovvero una democrazia di consenso, una potenza geo-economica con una politica multilaterale verso l’esterno e con un’impronta liberale all’interno che sta lasciando il posto ad una politica di potenza.
Il Giappone ha costruito un equilibrio geopolitico che ha bilanciato l’alleanza strategica americana con l’integrazione economica cinese, il frutto del lungo lavoro di Shinzo Abe consegnato nelle mani del nuovo premier, ed ex colomba, Fumio Kishida, pragmatico e moderato outsider con un’elevata percentuale di consensi, preferito all’anticonformista Kono Taro, contrario all’energia atomica e latore di un impopolare progetto pensionistico, e che è riuscito a conciliare l’area liberale con quella conservatrice.
È qui che, in previsione delle elezioni generali del prossimo novembre, entra in gioco la politica interna, per cui è opportuno rammentare l’abituale scarsa longevità politica dei capi di governo giapponesi8, eccezion fatta per Abe che di certo non ha abbandonato la scena politica anche se dalle quinte, ed è lecito domandarsi se l’istituzione imperiale non sia divenuta superflua, o se non debba continuare a rappresentare il simbolo dell’unità del Paese, specie ora che Naruhito9 ha consolidato, con la sua presenza nella società, il sistema dell’imperatore di massa. In ogni caso, le elezioni difficilmente muteranno nella sostanza la politica giapponese che ha optato per una continuità dinamica.
Economicamente Bank Of Japan non intende cambiare direzione, mantenendo una politica monetaria e fiscale espansiva con una sostanziale piena occupazione, e con provvedimenti di stampo keynesiano.
Significativo, nel contesto economico e bilancistico, l’incremento delle spese militari, che potrebbero oltrepassare la soglia dell’1% del PIL. Di fatto è qui che prende forma l’altra parte della tessitura politica di Shinzo Abe prima e di Fumio Kishida ora, vista l’intenzione di dotare le forze di autodifesa giapponesi di capacità offensive. Malgrado le proteste cinesi, non poteva essere altrimenti, visti sia i ripetuti lanci balistici da parte di Pyongyang, sia le incursioni della guardia costiera di Pechino intorno alle Isole Senkaku.
Alla luce di questo scenario non è così lontano dalla realtà un Giappone dotato di armi nucleari che porrebbero la parola fine ad un equilibrio pluridecennale, superato da motivazioni strategiche tali da far ritenere irrimediabilmente compromesso il mantenimento di uno status quo che già da tempo contempla l’uso di un avanzato sistema di produzione di energia atomica per usi civili, ed il possesso di dispositivi nucleari da parte di attori politici regionali non sempre così affidabili.
Che il Giappone, geograficamente privo di profondità strategica, abbia le capacità tecniche per armarsi in poco tempo è certo, come è tuttavia certo che sia comunque privo, al momento, di vettori specifici per il lancio di dispositivi nucleari, eccezion fatta per la componente subacquea ora fondata sui battelli classe Soryu (foto), equipaggiati con missili antinave Harpoon, teoricamente modificabili per montare testate nucleari, ed in futuro basata su mezzi a propulsione atomica capaci di aumentare l’aspetto deterrente puntato su obiettivi russi e cinesi nell’entro terra.
Il problema dello sviluppo nucleare è politico benché anche in campo civile, dopo Fukushima nel 2011, le necessità abbiano indotto, nel 2017, a riconsiderare la dismissione delle centrali nucleari10.
I problemi giapponesi in questo ambito sono due: l’articolo 9 della costituzione, che proibisce l’uso della forza a scopi offensivi, ed il paradosso strategico per cui il Giappone, pur non avendo armi nucleari necessarie ad un second strike, per effetto delle sue capacità tecnologiche e dell’alleanza con gli USA, è considerato come se le avesse. In breve, il Giappone ha bisogno della deterrenza nucleare, dunque ha bisogno degli USA, a meno che non intenda perseguire un’ambiguità strategica per cui dovrebbe operare per dotarsi di armamenti nucleari ma senza dichiararli.
Intanto Fumio Kishida, privilegiando il realismo, intende rafforzare le capacità nipponiche di difesa entro il prossimo quinquennio con una tabella di marcia che richiama l’aumento del 2% delle spese NATO, senza dimenticare i finanziamenti da erogare ai Paesi dell’Indo Pacifico.
I punti chiave sono fondamentalmente 5: incremento del bilancio11, QUAD, violazioni del Diritto Internazionale, asse Pechino Mosca, Marina Militare, secondo la logica di un riarmo che confligge con il ricordo di Hiroshima e Nagasaki, e con un dettato costituzionale che non può non tenere conto delle evoluzioni politiche intercorse, dell’Ucraina, delle minacce mosse a Taiwan, della legittimità dell’intervento a difesa di un Paese alleato.
Si passa, esaminando il recente Libro Bianco12, dalla capacità di attacco alla possibilità di contrattacco soprattutto nella parte sud occidentale dell’arcipelago.
Oltre allo sviluppo del caccia stealth Mitsubishi F-X ed al potenziamento della brigata anfibia di intervento rapido, buona parte delle risorse saranno destinate al settore navale, visto che in caso di attacco dovrebbero essere i cacciatorpediniere Aegis ed i nuovi battelli Taigei a contrastare il nemico, e visto che il sostegno diretto degli USA non è così scontato.
Sotto questa prospettiva risulta interessante la tattica ucraina, che adotta tecniche asimmetriche qualitative e quantitative: niente di più vicino al contrasto immaginato contro la Cina con armi autoctone e non semplicemente condivise, ovvero armi (atomiche) per cui è indispensabile il permesso del legittimo proprietario (americano).
Dopo oltre 70 anni, la Marina giapponese è tornata ad essere la più potente e capace d’Asia; pur a fronte della crescita navale cinese non si deve sottovalutare la Marina di Tokyo, detentrice di capacità di controllo e di potenza antisommergibile seconde soltanto a quelle americane, ed in grado di sostenere una strategia navale volta a proteggere le linee di comunicazione marittime negli stretti di Miyako, Luzon e Malacca, vie d’acqua d’importanza inestimabile per l’import/export energetico alla base della Shigen Gaikou, la diplomazia delle risorse.
Da non sottovalutare il settore spaziale, stimolato dalle politiche aggressive sino coreane e sostenuto da una legge ad hoc del 2008, che ha permesso di rimuovere la pregiudiziale dell’uso solo pacifico dello spazio, ed il costante sostegno tecnologico USA.
Dopo il cenno alla multilateralità, esaminiamo la rilevanza del QUAD13, convocato poco dopo la debacle americana in Afghanistan e caratterizzato dall’accordo AUKUS, connettendola a più stringenti alleanze politico militari, ed a cui vorrebbe associarsi anche la Corea del Sud. Nessuno dei partecipanti (USA, Australia, Giappone e India) si sbilancia nel definirla una sorta di Nato del Pacifico, ma certo, pur se ancora su posizioni non sempre vicine e collimanti, se ne sta di volta in volta sempre più sottolineando il carattere strategico globale, quindi non esclusivamente militare, finalizzato al contenimento cinese da contrastare su produzione ed approvvigionamento delle terre rare ed industria bellica.
L’accelerazione sul QUAD, incidente sia sulla sicurezza marittima con l’Indo-Pacific Maritime Domain Awareness (IPMDA)14 sia sulla cooperazione spaziale, deriva anche dalla ritrovata assertività del Giappone, impegnato sul doppio binario della competizione strategica e della cooperazione commerciale con Pechino.
Sotto l’aspetto della cooperazione economica, il QUAD ha aderito all’iniziativa americana lanciata dal Presidente Biden, l’Indo-Pacific Economic Framework for Prosperity. Anche se il QUAD non è una versione Pacifica della NATO, intanto Giappone, Corea del Sud, nuova Zelanda e Australia, sono stati invitati a partecipare ad una sessione dell’Alleanza15, con cui Tokyo ha di fatto iniziato la sua liaison già dall’inizio degli anni ’90, rinsaldandola nel 2013 con la firma di una Dichiarazione politica congiunta; Alleanza chiamata a rivedere i propri concetti strategici a più di 10 anni dal meeting di Lisbona 2010, antecedente a Cina, Crimea, Isis, Siria. Dato il momento, la cooperazione con gli attori regionali è ritenuta fondamentale dagli USA, impegnati ad intessere la loro rete di rapporti politici.
Nel frattempo, il ministro degli Esteri di Taiwan, Joseph Wu, ha rilasciato un’intervista al Frankfurter Allgemeine Zeitung nella quale, di fatto, si è augurato che possa esserci una più stretta collaborazione tra il Taipei e la NATO, anche alla luce delle dichiarazioni rilasciate dal ministro degli Esteri britannico, Liz Truss.
L’avvicinamento giapponese alla NATO, con cui già esiste una IPCP (Individual Partnership and Cooperation Programme), testimonia il tentativo strategico di Tokyo, alimentato dall’invasione ucraina, di vincolare l’Europa alla sicurezza indo pacifica, e diventa un motivo in più per la Cina per ripensare criticamente alla partnership senza limiti stretta con Mosca.
In sintesi, il merito politico di Abe è stato quello di estendere gli interessi securitari asiatici fino alle porte dell’Europa, aiutato in questo dall’assertività cinese.
In caso di conflitto, il Giappone prevarrebbe sulla Cina? Sulla media lunghezza (tra i 6 e gli 8 mesi) probabilmente sì, anche in funzione della maggiore operatività e compattezza della Marina nipponica. La talassocrazia non si improvvisa; il peggior errore per Tokyo sarebbe quello di lasciarsi coinvolgere in un’impossibile guerra di logoramento.
1 Free and Open Indo-Pacific Strategy; sul sito del ministero degli Esteri è definita come strategia necessaria alla costruzione di un ordine internazionale basato sulle leggi e alla diffusione, nella regione dell’Indo-Pacifico, di princìpi che non possono essere disattesi – come la rule of law, la libertà di navigazione dei mari e il libero commercio – per la realizzazione della prosperità e della stabilità regionali
2 Connettività economica, dei valori, del sapere
3 Dipendenza dal lavoro
4 È cioè libera di decidere la quantità di valuta in circolazione, nonché il livello dei tassi d’interesse
5 accordo commerciale tra Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam. L’accordo unisce economie che rappresentano il 13,4 per cento del prodotto interno lordo globale, con circa 13,5 trilioni di dollari USA. L’uscita degli USA ha privato Washington di una delle maggiori leve di egemonia economica
6 Per la prima volta l’occupazione russa è stata definita illegale
7 Il Fmi ha aggiornato il suo rapporto economico sul Giappone, e prevede che la terza economia del Globo conseguirà una crescita del 2,4 per cento quest’anno, e del 2,3 per cento nel 2023.
8 la durata media dei governi dal ’45 è stata di 16 mesi
9 Attuale 126° Imperatore, e simbolo della nazione giapponese; non ricopre nessun ruolo politico né può esercitare la politica, cosa che non è accaduta con Akihito, intervenuto richiedendo che fosse approvata una legge che consentisse l’abdicazione.
10 Il Giappone, come la Francia, si schiera a favore del nucleare per procedere verso una transizione energetica con tecnologia di quarta generazione, che richiede tuttavia diversi anni.
11 Il progetto prevede sistemi con capacità di attacco preventivo, nonché sviluppo e rafforzamento delle armi collegate alla difesa cibernetica e informatica. Per potenziare il settore Abe ha iniziato la collaborazione con il Cooperative Cyber Defense Center of Excellence (CCDCOE) a Tallinn in Estonia. Il Giappone, primo paese dell’Asia Pacifico, si è unito al centro di difesa informatica nel 2018.
12 Interessante la copertina che, da un’impostazione più neutra, ha privilegiato l’immagine di un guerriero a cavallo
13 Quadrilateral Security Dialogue
14 Si punta a migliorare la capacità in tre regioni critiche, Oceano Indiano, Sudest Asiatico, isole del Pacifico, monitorando le rispettive zone economiche esclusive.
15 Il premier Kishida è atteso il 29 e 30 giugno al summit Nato di Madrid; il ministro degli esteri Yoshimasa Hayashi ha intatnto partecipato come partner a vertice Nato, mentre il capo di SM giapponese, generale Koji Yamazaki ha partecipato alla sessione dei capi di stato maggiore della Nato. Nel 2017 il SG Stoltenberg ha visitato il Giappone, così come ha fatto l’ammiraglio Rob Bauer, presidente del Comitato Militare della Nato.
Foto: U.S. Navy