Silvia Romano era appena scesa dall’aereo che l’aveva ricondotta in Italia avvolta nel suo jilbab – la veste tradizionale delle musulmane somale – che immediatamente ai più accorti non sarà sfuggito il prezzo esorbitante, e qui l’economia c’entra poco, che l’Italia ha pagato per la sua liberazione.
Se monete sonanti italiane da poter utilizzare per acquisto di armi sono finite nelle casse di Al-Shabaab, il capitale politico che Roma ha dovuto cedere alla Turchia in fase di trattativa e poi per il “blitz” con il quale la giovane cooperante è stata liberata non solo non è ancora quantificabile, ma di certo è sostanzioso. Specialmente in questa fase in cui Italia e Turchia hanno in aree di comune interesse priorità diverse.
In Libia nel corso degli ultimi mesi la Turchia con l’invio di truppe regolari e miliziani a sostegno del governo di Tripoli ha messo una seria ipoteca sull’influenza nella ex colonia italiana, tant’è vero che il partito filo-turco è tornato ad essere particolarmente influente nella capitale e che nei fatti la presenza politico-militare del nostro Paese è stata azzerata. Senza contare che la sola presenza di truppe turche sulla linea del fronte ha permesso ai tripolini di ottenere qualche magro successo lungo la fascia costiera occidentale allentando la morsa di Haftar sulla capitale e fermando l’avanzata del LNA che sembrava ormai inarrestabile.
In Libia la stabilizzazione del fronte – che va di pari passo con il fallimento politico della Conferenza di Berlino (foto) – gioca a favore di Erdogan e non passerà troppo tempo prima che venga ridiscussa anche ufficialmente la posizione di Roma nella sua ex colonia con risultati che appaiono ad oggi scontati.
Nel Mediterraneo orientale la Turchia sta giocando una delicata partita per i giacimenti petroliferi di Cipro che ha portato ad una crescente militarizzazione di quelle acque a danno di Stati incapaci di garantirsi una capacità di proiezione nella regione. Le navi dell’ENI presenti nelle acque cipriote per esplorazioni e trivellazioni sono state ripetutamente bloccate da naviglio militare turco nonostante la società italiana avesse ottenuto regolari licenze dal governo di Nicosia (v.lettera a Difesa Online).
L’obiettivo dichiarato di Ankara è l’aumento della produzione di gas – come le trivellazioni in Tracia hanno messo in evidenza - e la difesa di un’area che i turchi ritengono di esclusiva influenza oltre che al centro di una diatriba internazionale. La condotta aggressiva tenuta a Cipro fa parte della più ampia politica marittima turca che risponde ad esigenze di rafforzamento – di egemonia di certo ancora non si può parlare – nel Mediterraneo orientale come l’ampliamento unilaterale della propria Zona Economica Esclusiva (ZEE) assieme a quella libica hanno dimostrato. L’azione condotta a danno della Grecia ma, di fatto, anche dell’Italia dovrà essere prima o poi analizzata a Roma ed il governo italiano dovrà prendere una posizione netta sulla vicenda. Facile anche qui immaginare quanto sarà difficile opporsi alla Turchia.
Ultimo elemento da tenere in considerazione, nonché quello che riporta direttamente alla vicenda di Silvia Romano, è la penetrazione politica ed economica sempre più massiccia della Turchia in Somalia. L’aumento delle disponibilità economiche della “Turk Isbilrigi ve Koordinasyon Idaresi Baskanligi” (l’agenzia per la cooperazione turca) ha portato all’erogazione di massicci finanziamenti “umanitari” diretti al governo somalo: la costruzione di scuole e la progettazione d’iniziative per lo sviluppo sono all’ordine del giorno per i collaboratori turchi di Mogadiscio, sono poi società turche a controllare le rotte commerciali marittime ed aeree somale.
Dal punto di vista militare sono consiglieri militari turchi ad addestrare l’esercito regolare somalo (foto), ruolo fondamentale in un Paese che non ha ancora forze armate strutturate ma che ne ha una forte necessità per contrastare la presenza di gruppi di guerriglieri e terroristi sul territorio.
Un dato da non sottovalutare è che la Turchia ha ottenuto concessioni da parte della Somalia per l’esplorazione e la ricerca di giacimenti petroliferi lungo la costa; questo perché la politica energetica è una componente fondamentale del neo-ottomanesimo di Erdogan, anzi, sembra essere proprio il filo rosso che lega la strategia di Ankara in Libia, nel Mediterraneo orientale e nel Corno d’Africa.
Se fino al 1991 era l’Italia a poter vantare un’influenza massiccia sulla politica e sull’economia somale, l’anarchia militare seguita al crollo del regime di Siad Barre, il fallimento della missione ONU, la comparsa sulla scena di gruppi terroristici di matrice islamica e la lenta transizione politica hanno defraudato Roma di una vera e propria “exclave” lasciando campo libero all’interventismo turco.
Questi sono solo tre esempi di come la politica turca sia in netto contrasto con gli interessi nazionali italiani in regioni di primario interesse per la sicurezza sia militare sia commerciale di entrambe le potenze.
La liberazione di Silvia Romano, avvenuta grazie al bagaglio di conoscenze sulla realtà locale ed all’azione di mediazione dell’intelligence turca, ha generato inevitabilmente una contropartita che l’Italia dovrà dare alla Turchia non appena se ne presenterà l’occasione. Che sia relativamente al non nocet in Libia, al ridimensionamento delle aspirazioni dell’ENI a Cipro o ad un definitivo abbandono del Corno d’Africa non è dato sapersi.
Al contrario di tante altre vicende di ostaggi liberati, quello di Silvia Romano è un episodio che avrà ingenti ripercussioni geopolitiche – che magari l’opinione pubblica italiana non percepirà immediatamente – a danno di Roma.
L’Italia ha un pericoloso competitor nel “Mediterraneo allargato”, occorre tenere presente questa chiave di lettura per ridefinire al meglio quali siano le priorità della nostra politica estera e di difesa nel prossimo futuro.
Mentre pubblichiamo questo articolo, stanno circolando foto di Silvia (Aisha) Romano con indosso un giubbotto antiproiettile con sopra i caratteri della mezzaluna e della stella (presenti sulla bandiera della Turchia), a bordo di un mezzo del MIT (Milli Istihbarat Teşkilati), i Servizi Segreti turchi, che, secondo i media nazionali, hanno avuto un ruolo preminente nella liberazione della giovane cooperante italiana.
Foto: Anadolu Agency (agenzia di stampa di proprietà del governo della Turchia) / presidenza del consiglio dei ministri / Official Twitter Account of the Republic of Turkey Ministry of National Defence