Come tutti gli strateghi ormai sanno da anni, lo spazio oggi costituisce, assieme alla terra, al mare, al cielo, al mondo virtuale e a quello dell'informazione, una delle sei dimensioni del campo di battaglia. Non c'è quindi da stupirsi che le grandi potenze stiano investendo ingenti somme di denaro ed un capitale di ricerca scientifica al fine di sviluppare e schierare nuove tipologie di armi atte a sfruttare le caratteristiche fisiche dello spazio aperto per modificare qui sulla terra gli equilibri geopolitici in un senso o nell'altro.
La Cina è stata l'ultima tra le grandi potenze ad essersi affacciata sul “fronte spaziale”, dopo Russia e Stati Uniti, ma ha rapidamente bruciato le tappe, se consideriamo che un recente rapporto della “Defense Intelligence Agency” (DIA) americana afferma che: “Sebbene ufficialmente la Cina parli in favore di un utilizzo pacifico dello spazio e stia portando avanti trattative in sede ONU per la non proliferazione degli armamenti spaziali, allo stesso tempo essa sta continuando a migliorare e rafforzare le proprie potenzialità militari in questa sfera, al fine di giungere alla capacità di portare avanti operazioni militari congiunte di guerra elettronica (EW), cibernetica e spaziale”. Per tale ragione, la DIA raccomanda di tenere particolarmente sotto osservazione gli sviluppi del programma spaziale cinese perché esso potrebbe essere nient'altro che una copertura per nascondere un vasto programma di riarmo.
Obiettivamente, le preoccupazioni della DIA hanno un qualche fondamento, infatti il programma spaziale cinese è incredibilmente stratificato e coinvolge diverse organizzazioni con connessioni nei settori militare, politico, commerciale e militar-industriale. Troppo vasto, insomma, per avere scopi unicamente “civili e pacifici”.
Negli ultimi tre decenni la Cina ha fortemente potenziato le caratteristiche e l'affidabilità dei suoi vettori di lancio al fine di risultare completamente indipendente da eventuali terze parti per l'accesso allo spazio; inoltre nel 2003, con la missione denominata Shenzhou 5, essa divenne il terzo paese al mondo a portare in orbita in maniera indipendente un astronauta (dopo Unione Sovietica e Stati Uniti). Nel maggio del 2018 poi, Pechino ha annunciato quelli che saranno i due obiettivi di lungo periodo del programma spaziale cinese: assemblare una stazione automatizzata di ricerca sulla luna entro il 2025, e creare una base lunare abitabile da astronauti entro il 2035.
Sempre secondo il documento della DIA, però, in parallelo la Cina starebbe lavorando alacremente anche per raggiungere i seguenti obiettivi di ordine “militare”:
-rafforzare il dispositivo di sensori in grado di scovare, puntare ed identificare i satelliti in orbita;
-potenziare gli strumenti di guerra elettronica (EW) utilizzabili anche in campo spaziale;
-sviluppare “armi ad energia diretta” (laser) aventi la capacità di degradare, danneggiare o addirittura distruggere satelliti o altri sensori messi in orbita;
-sviluppare capacità di guerra cibernetica da utilizzare anche in ambito spaziale;
-sviluppare capacità di “intervento in orbita”: per esempio riparazione di satelliti nello spazio;
-rafforzare le capacità dei missili anti-satellite (ASAT) basati a terra;
-sviluppare altre capacità anti-satellite ancora non ben definite ma con un inviluppo potenziale fino a 30.000 chilometri.
È quindi evidente come le crescenti capacità cinesi in ambito spaziale siano sempre più viste dagli Stati Uniti come una minaccia seria, quando non esistenziale. Se nei primi anni Duemila l'allora presidente americano George W. Bush poteva affermare che “Gli Stati Uniti erano fortemente determinati a mantenere l'assoluto predominio nello spazio”, la realtà odierna ci dovrebbe invece portare a prediligere uno scenario di “compresenza di più attori” nello spazio siderale.
Foto: Ministry of National Defense of the People's Republic of China