Per effetto delle crisi degli ultimi anni sono venuti allo scoperto tutti i fattori che hanno contribuito al progressivo deterioramento dei rapporti fra la Russia e l’Occidente. Innanzitutto la sfiducia di Mosca per un Occidente percepito come una minaccia che coinvolge non solo la sfera militare, ma anche quella culturale e valoriale. In secondo luogo la convinzione che Washington stia deliberatamente imponendo anche agli europei una strategia anti russa, con l’obiettivo di indebolire e isolare il gigante euroasiatico, sabotando le possibilità di un rapporto collaborativo fra Bruxelles e Mosca e mantenendo l’Unione Europea saldamente nell’orbita americana.
A ciò si aggiunge la diffidenza europea generata dalla spregiudicatezza con la quale Putin agisce per far recuperare alla Russia l’influenza perduta con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, nel tentativo di ricostruire un rapporto paritario con la potenza americana. Un antagonismo che ha ultimamente ritrovato posto sui media mondiali, a seguito delle forti dichiarazioni del presidente Biden, che ha definito “assassino” il leader russo, provocandone l’immediata reazione con il richiamo a Mosca dell’ambasciatore a Washington “per consultazioni” e la convocazione dell’ambasciatore USA.
Eventi che ridestano la mai completamente sopita rivalità tra le due potenze e che non contribuiscono a rasserenare il clima politico internazionale che di colpo, nonostante l’arrivo della primavera, si è ritrovato a registrare temperature da Guerra Fredda.
La strategia marittima russa
La Russia attuale è un paese europeo che incombe con la sua forza politica, militare ed energetica su tutto il Vecchio continente. Un Paese da sempre attento agli eventi del Medio Oriente e con storici interessi nell’area euromediterranea, tanto più dopo la riappropriazione della Crimea, considerata trampolino per l’espansione verso i bacini del Mediterraneo, del Mar Rosso e del Golfo Persico. A ciò si aggiunge il fatto che la Russia è anche una potenza asiatica e del Pacifico. Tutto questo, unito alle sue notevoli risorse nel campo energetico e alle rilevanti capacità nel settore nucleare e missilistico, permette alla Russia di perseguire tenacemente l’obiettivo di tornare alla grandezza di potenza globale.
Per raggiungere tale scopo, dopo la gravissima crisi attraversata negli anni ’90 e nei primi anni di questo secolo, nell’ultima decade Mosca ha avviato una fase importante di ammodernamento e riorganizzazione, a partire dalla sua strategia navale, aggiornata nel luglio 2016.
Secondo quanto riportato dal Center for International Maritime Security di Washington (CIMSEC), il documento definisce il ruolo della Marina nel più ampio quadro della strategia di sicurezza di Mosca fino al 2030, descrivendone gli obiettivi di crescita delle forze navali, le aree geografiche di interesse e le minacce cui dovrà prevedibilmente far fronte, identificando negli Stati Uniti e nelle Marine della NATO i principali avversari, peraltro ammettendo che queste sono dotate di flotte tecnologicamente più avanzate ed equipaggiate con armamenti di alta precisione1.
In tale ambito, la Russia ritiene che la sua Marina da guerra nel breve periodo non riuscirà ad avere le stesse capacità di combattimento dei suoi avversari e riconosce, in particolare, il primato tecnologico della U.S. Navy, ammettendo che i programmi russi non prevedono la costruzione di una flotta dello stesso livello qualitativo e quantitativo.
Alla Marina russa sarebbero state assegnate “…quattro missioni principali: la difesa delle coste russe e dei suoi confini marittimi, l’attacco di precisione a lunga gittata con armi sia nucleari sia convenzionali, la proiezione di potenza per mezzo della flotta subacquea e la dissuasione nucleare in mare con i suoi sottomarini con missili balistici…”2.
La parte del documento che attira maggiormente l’attenzione è l’identificazione delle aree di interesse strategico della flotta russa, dove cioè è prevista una presenza significativa e permanente delle sue unità militari di deterrenza: Oceano Artico e Mar di Okhotsk (intese come fortezze strategiche dalle quali sorvegliare gli Oceani Atlantico e Pacifico), Mar Nero e Mediterraneo.
Come al tempo della Guerra Fredda, quindi, la Marina russa vuole oggi assumere una postura indirizzata all’anti-acces and area denial (A2/AD) per assicurarsi potere deterrente nei confronti delle altre potenze navali. Si tratta più o meno dello stesso approccio mantenuto a partire dal 1975, quando la flotta sovietica (sostanzialmente russa) nel suo complesso ha applicato la teoria che alcuni hanno battezzato “dei bastioni”, che consisteva nel concentrare i sottomarini nucleari con missili balistici in due specifiche aree abbastanza vicine alla madrepatria per avere copertura di sicurezza da parte dei mezzi subacquei, della flotta di superficie e dell’aviazione navale basata a terra, ma posizionati in modo tale da poter validamente opporsi alle flotte occidentali ed essere efficacemente impiegati come ritorsione nucleare contro obbiettivi statunitensi, nell’eventuale caso di attacco da parte dell’avversario.
Per l’Oceano Atlantico tale era il bastione sotto le fredde acque dell’Artico. Quell’Oceano era, infatti, un safe haven naturale esteso per 14 milioni di kmq, un sesto dell’Atlantico, con profondità di circa 4.000 m anche se nello Stretto di Bering, suo unico passaggio per il Pacifico, la profondità massima è di soli 55 m. Un luogo di stazionamento privilegiato per i battelli destinati alla dissuasione nucleare in quanto i fondali profondi offrivano un rifugio ideale e la banchisa proteggeva i sottomarini dalla sorveglianza satellitare. Un’area situata a distanza di sicurezza dall’immaginaria linea di sbarramento navale della NATO, conosciuta come GIUK (acronimo inglese di Greenland, Iceland, United Kingdom).
Per il Pacifico l’area scelta come bastione fu quella delle acque del Mar di Okhotsk, compresa tra la penisola di Kamčatka, le isole Kurili, l’isola giapponese di Hokkaido e l’isola di Sakhalin.
All’epoca una tale postura poteva avvalersi di due importanti strumenti: i missili balistici a lungo raggio e i sottomarini classe “Delta” (denominazione NATO), in grado di portarli e lanciarli in maniera occulta, rimanendo in immersione (foto). Questi due elementi permettevano alla Marina russa di mantenere la sua flotta di dissuasione in una posizione di difesa teoricamente impenetrabile, i bastioni appunto.
Una postura che assicurava la mutua distruzione ma che lasciava perplessi gli analisti occidentali, indecisi se considerarla una mossa tendente a preservare l’incolumità della flotta subacquea (strategia della limitazione dei danni) o se, invece, fosse una scelta intesa “solo” a impedire l’avvicinamento degli avversari alle coste russe/sovietiche (strategia oggi conosciuta come deny acces). Qualunque sia stata la motivazione originaria, è ormai storia nota che i sottomarini statunitensi riuscirono a penetrare più volte i bastioni sovietici, riuscendo a raccogliere preziose informazioni grazie a operazioni segrete come, per esempio, l’operazione “Ivy Bell” condotta sotto le acque del Mar di Okhotsk da un sottomarino, l’USS Halibut, che è passato alla storia dello spionaggio subacqueo.
Secondo quanto emergerebbe dall’ultimo documento russo, quindi, Mosca non avrebbe abbandonato la strategia dei bastioni neanche dopo la fine dell’impero sovietico, rimanendo anche oggi uno dei punti fondamentali della dissuasione nucleare contro Washington o contro chiunque minacci il territorio russo. Ciò confermerebbe quanto scritto da Michael Kofman, un analista americano specializzato in questioni russe, in un articolo del 2017 dove, infatti, egli afferma che “…la Marina russa non è concepita per competere con la Marina americana ma, piuttosto, per contrastarla sostenendo la strategia di potenza terrestre euroasiatica del XXI secolo…”3.
I dispositivi aeronavali russi
Tutto sommato, se comparata con il passato, la Russia di oggi è notevolmente meno potente dell’Unione Sovietica del periodo della Guerra Fredda, anche se le sue Forze Armate sono rimaste sufficientemente in grado di causare dei danni sostanziali nel caso di un eventuale conflitto armato. In tale contesto strategico la Marina gioca un ruolo importante e non deve essere sottovalutata, nonostante la permanenza di alcune lacune e il consistente trattamento di “dimagrimento”. Nel 1989, infatti, il blocco sovietico poteva contare complessivamente su 62 sottomarini lanciamissili balistici (SSBN), 66 sottomarini lanciamissili da crociera (SSGN) e più di 200 sottomarini polivalenti d’attacco. Oggi, invece, la Russia ha in servizio “solo” 10 SSBN, difesi da un dispositivo relativamente debole di unità di superficie e di sottomarini polivalenti4.
Tuttavia, i notevoli investimenti effettuati da Mosca a partire dal 2010 stanno cominciando a dare frutti, come con il missile balistico intercontinentale R-30 “Bulava” (codice NATO SS-N-32), derivato dal “Topol-M” profondamente rivisitato, imbarcato sui sottomarini di IV generazione classe “Borei”. La prima unità della classe, il Kyniaz Vladimir, è entrata in servizio nel giugno 2020. Le previste otto unità di questa classe trasporteranno ciascuna sedici missili, ognuno dei quali potrà contenere fino a dieci testate nucleari multiple indipendenti (Multiple Independently targetable Reentry Vehicles - MIRV). La gittata massima del “Bulava” è stimata in circa ottomila chilometri.
Un ulteriore salto di qualità avverrà con l’entrata in servizio (prevista per il 2023) del missile ipersonico antinave “Tsirkon” (foto) che, nelle intenzioni di Mosca, dovrebbe principalmente costituire l’altro elemento fondamentale della difesa dei bastioni. La nuova arma avrebbe poi la possibilità di essere imbarcata su molte unità di superficie e subacquee. Ciò darebbe loro la possibilità di rispondere a eventuali attacchi colpendo bersagli su mare e su terra a distanze fino a 1.000 km con breve preavviso, vista la velocità dichiarata di Mach 95.
Nel frattempo, sono già iniziati gli studi per un sottomarino di quinta generazione, sufficientemente flessibile da poter lanciare i futuri missili balistici o da crociera.
Ma, come è facilmente intuibile, la difesa dei bastioni si avvale anche di altri strumenti, oltre la flotta subacquea e i missili ipersonici, che rappresentano comunque gli elementi più significativi.
La Flotta del Nord, per esempio, il cui Comando è basato a Severomorsk (penisola di Kola), è numerosa ma dall’operatività drasticamente ridotta dopo il crollo dell’URSS, anche per effetto della rigidità delle condizioni meteorologiche che impongono frequenti operazioni di manutenzione, elevando i costi di gestione. Tuttavia, per effetto dei cospicui finanziamenti dell’ultimo decennio, l’operatività sta gradualmente migliorando, di pari passo con l’aumento dell’efficienza dei mezzi navali. La nave ammiraglia della Severnyj flot è l’unica portaerei operativa della Marina russa, l’Admiral Kuznetsov, di 45.000 t.
La Flotta del Pacifico, il cui Comando è basato a Vladivostok, attualmente dispone di circa 60 navi di varie dimensioni e di una componente d’assalto anfibio. Per cercare di essere all’altezza della competizione che si sta svolgendo in quello scacchiere, Mosca ha avviato un programma di rinnovamento che, in tempi ragionevolmente brevi, dovrebbe permettere di aggiungere alla flotta circa 20 navi tecnologicamente avanzate. La nave ammiraglia è l’Incrociatore lanciamissili da 11.500 t “Varyag” (denominazione NATO classe “Slava”), entrato in servizio nel 1989, in grado di trasportare 120 missili.
Per la lotta antisommergibile l’aviazione della Marina russa sostanzialmente dispone di tre modelli di pattugliatore, tutti tecnologicamente datati, disponibili in numero limitato e dalle prestazioni superate. Si tratta dell’”Ilyushin-38”, quadrimotore turboelica il cui progetto (basato sul velivolo passeggeri Il-18) risale agli anni ’60, impiegato dalla Aviacija Voenno-Morskogo Flota (AV-MF) ma dal raggio d’azione troppo limitato per un impiego operativo lontano dalle coste russe. Oggi è in servizio l’Il-38N, una versione modernizzata del velivolo, peraltro operativo anche nell’aviazione navale indiana. Il secondo modello è il “Tupolev-142MK/MZ” (in ambito NATO conosciuto come “Bear F/J”), un pattugliatore a lungo raggio risalente agli anni ’70 e derivato dal bombardiere strategico Tu-95, disponibile in una trentina di esemplari, ripartiti tra la Flotta del Nord e quella del Pacifico.
Il terzo modello di pattugliatore marittimo è l’idrovolante “Beriev-12N Čajka” (Gabbiano) (conosciuto nella NATO come “Mail”), anche questo risalente agli anni ’60, prima ritirato dal servizio e poi reintegrato all’indomani dell’annessione dell’Ucraina nel 2014 e ora in servizio nella Flotta del Mar Nero.
Sono allo studio altri progetti di pattugliatori più moderni ma, secondo quanto riportato dal giornale Izvestiya nel gennaio 2020, il nuovo pattugliatore antisommergibili “Tu-204P” (derivato dall’aereo di linea Tu-204/214), non sarà disponibile prima del 2030. Una notizia che, tuttavia, non è stata confermata dalla Marina russa. Secondo quanto riportato nel sito redsamovar.com, il velivolo presenterebbe interessanti soluzioni circa l’elettronica e gli apparati di scoperta e dovrebbe essere dotato di quattro missili anti-nave “Zvezda Kh-35U” (codice NATO AS-20 “Kayak”), soprannominato “Harpoonski” per via della somiglianza con il missile americano “Harpoon”.
Per il 2030, quindi, la Russia dovrebbe avere in dotazione numerosi sottomarini ultramoderni ma protetti da un’aviazione navale abbastanza superata, nonostante la prevista modernizzazione della flotta aerea. Ciò nonostante, come ha affermato nel gennaio 2020 James Lacey, specialista di studi strategici presso il Marine Corps War College a Quantico (Virginia), ciò non influirà particolarmente sulla strategia dei bastioni in quanto “…i bastioni del nord della Russia saranno ancora il centro strategico del Paese, per assicurare l’influenza di Mosca sull’Artico, ricco di risorse…Più a sud Mosca sembra voler fare del Mar Nero un lago russo e della Crimea un bastione militare capace di assumere una postura aggressiva per dominare le acque circostanti…”6.
Il Mar Nero e il Mediterraneo
E qui il discorso chiama in causa le acque a noi più vicine. Negli ultimi anni, infatti, é andata considerevolmente aumentando la presenza della Marina russa nel Mediterraneo, un primo visibile effetto della nuova postura marittima di Mosca e della parallela progressiva diminuzione della presenza navale statunitense. Iniziato sotto l’Amministrazione Obama, infatti, il ripiegamento americano si è fatto più intenso con il presidente Trump, giustificando tale riassetto delle flotte con l’esigenza di assicurare una maggiore presenza americana sul teatro Indo-Pacifico, per fronteggiare la crescente minaccia rappresentata da un’arrembante Cina e da un’insidiosa Corea del Nord. Questo riposizionamento strategico ha però causato un progressivo aumento dell’instabilità nel Mediterraneo, in quanto si sono aperti ampi spazi di manovra per le Marine più intraprendenti, che hanno iniziato ad assumere una postura estremamente assertiva.
La Russia, quindi, non ha fatto altro che cogliere l’occasione per rientrare nel Mediterraneo, dove le crisi siriana e libica hanno fornito ulteriori motivi di espansione e l’opportunità di tornare a recitare una parte importante su questo scacchiere fondamentale, cercando al contempo di far dimenticare le vicende ucraine. In tal senso vanno lette la nuova postura marittima e la rinnovata presenza navale russa in Siria. Con il suo intervento molto determinato in Siria, infatti, la Russia ha voluto inviare un chiaro segnale al mondo di voler nuovamente calcare il palcoscenico internazionale come attore essenziale per la soluzione delle principali questioni planetarie. In sostanza, la rinnovata presenza russa in Siria rappresenta il mezzo con il quale sta mettendo in atto la sua strategia marittima nel fu “Mare Nostrum”. Una strategia marittima che va considerata la punta di diamante ed elemento qualificante di una strategia di più ampio respiro.
In tale ambito va inquadrato l’accordo siglato tra Mosca e Damasco nel gennaio 2017, per l’uso della base navale di Tartus e della base aerea di Khmeimimm per un periodo di 49 anni, automaticamente rinnovabile per altri 25. Ai lavori di ampliamento del porto di Tartus, dal 1971 punto di appoggio per le navi di Mosca, ora in grado di ospitare fino a 20 unità navali e di fornire anche assistenza tecnica specializzata, si sono aggiunte la sistemazione lungo la costa siriana di sistemi missilistici antiaerei avanzati S-300 (acquistati anche dalla Turchia), e di sistemi missilistici “Pantsir” (conosciuti nella NATO come sistemi SA-22 “Greyhound”), a corta e media gittata, di missili supersonici antinave “Yakhont” (conosciuti anche come P-800 “Oniks” o SS-N-26 “Strobile”), di missili balistici tattici ipersonici a corto raggio “Iskander” (codice NATO SS-26 “Stone”), oltre a sistemi di sorveglianza elettronica a lungo raggio e ad avanzati sistemi per la guerra elettronica. Presso la ricordata base aerea di Khmeimimm (vicino a Tartus) sono stati poi rischierati aerei da combattimento ed elicotteri, con il compito di costituire un ombrello protettivo per le operazioni navali russe7. La Russia può, inoltre, contare sulla disponibilità di un certo numero di sorgitori secondari lungo le coste meridionali del bacino, come Alessandria d’Egitto e Algeri. Per non parlare dei porti della Cirenaica, punta di diamante della penetrazione russa nel Mediterraneo centrale, a poche miglia dalle nostre coste e dalle basi aeronavali di Sigonella, Augusta e Catania.
Al momento, la consistenza complessiva russa nelle acque mediterranee non richiede altri grandi porti sul tipo di Tartus ma, vista la crescente influenza che i russi vanno assumendo nell’area libica e l’importanza che Mosca assegna al mantenimento di quella posizione (anche in un’ottica di penetrazione nel continente africano) non è escluso che, una volta consolidata la presenza sulle coste del Sudan (una nuova base navale con capienza di quattro unità di superficie e complessivamente personale per circa trecento unità), la costa orientale della Libia non diventi oggetto di maggiori attenzioni anche sotto il profilo dell’ampliamento delle infrastrutture portuali e aeroportuali militari, come Tobruk, Derna, Sirte e al-Ğufra, che potrebbero assumere in futuro la stessa importanza di Tartus.
In definitiva, la presenza russa in Cirenaica, a così poca distanza dalle nostre coste appare abbastanza preoccupante sia perché si tratta di un Paese il cui armamento missilistico è in grado di minacciare le nostre coste sia perché, a differenza dei turchi (la cui Marina ha finora beneficiato più di tutti del disinteresse USA per le nostre acque e che sta applicando una politica marittima piuttosto aggressiva), i russi sono meno “sanguigni” nelle reazioni ma potenzialmente molto più pericolosi in quanto in grado di esprimere una visione strategica di ampio respiro e di ben più lungo termine, non essendo guidata dalle passioni o necessità del momento.
Come sottolinea il Contrammiraglio Domini, del Centro Studi di Geopolitica e Strategia Marittima (CESMAR), nell’attuale situazione di accesa concorrenza internazionale per lo sfruttamento delle risorse marine, sarà fondamentale avere occhi per vedere e orecchie per sentire, mantenendo una qualificata presenza navale nelle acque del Mediterraneo orientale e centrale, con navi che siano anche in grado di svolgere la necessaria azione di deterrenza contro eventuali iniziative tese a comprimere la nostra libertà di uso del mare.
Conclusioni
Dalla seconda metà degli anni quaranta del secolo scorso, appena terminata la seconda guerra mondiale, si sono confrontate due contrapposte interpretazioni del rapporto dell’Occidente con l’allora Unione Sovietica. Da una parte vi erano quelli che vedevano nell’URSS, entità dominata dalla Russia, il profeta della rivoluzione mondiale, con il quale ogni dialogo sarebbe stato impossibile. Dall’altra quelli che tendevano a ridimensionare il peso dell’ideologia e a considerare l’URSS una grande potenza tradizionale, interessata a trarre ogni possibile profitto dall’ordine internazionale piuttosto che a rovesciarlo. Oggi che la pregiudiziale ideologica è - o dovrebbe essere - venuta meno, resta aperta la domanda di come impostare i rapporti con una Russia che con sempre maggiore determinazione persegue l’obiettivo di recuperare un ruolo preminente all’interno dello scenario internazionale.
Alla base dell’attuale atteggiamento russo rimane il trauma dolorosissimo che ha rappresentato il crollo dell’Unione Sovietica, un Impero costruito con immensi sacrifici nel corso di secoli ma che si è dissolto in poche ore. Un trauma che ha fatto dichiarare a un giovane Putin, appena asceso al potere, che voleva restituire al proprio Paese “la sua grandezza”. All’orizzonte egli vedeva, infatti, anche il pericolo che sul piano geopolitico la Russia venisse ridotta a potenza asiatica media, schiacciata tra la Cina, una potenza più dinamica che aveva già superato la Russia sul piano economico e demografico, e che oggi cerca di superarla anche sotto quello militare, e un’Europa che aveva ripreso la sua unità fino alle frontiere orientali della Polonia e della Finlandia e che ha inglobato nella NATO molti Paesi dell’ex-Patto di Varsavia.
In tale quadro, se il ripiegamento statunitense dal Mediterraneo precludesse a un progressivo disimpegno anche dal territorio europeo, saremmo di fronte a un errore strategico di dimensioni enormi. Già dal luglio del 2009, all’indomani della crisi della Georgia, un gruppo di politici di spicco dell’Europa centrale e orientale, tra i quali Lech Wałęsa e Václac Havel, ed ex presidenti di Lituania, Romania, Slovacchia e Lettonia, affermavano infatti che “…la nostra regione è tra quelle di cui gli americani sembrano aver smesso di preoccuparsi, ritenendola ormai definitivamente stabilizzata. Questa conclusione è prematura. Le nostre speranze che i rapporti con la Russia potessero migliorare e che Mosca accettasse la nostra sovranità e indipendenza non si sono realizzate. Al contrario, la Russia è tornata a essere una potenza espansionista con un programma da diciannovesimo secolo, ma strumenti e metodi da ventunesimo secolo”. In queste condizioni, proseguiva l’appello dei leader centro europei, “solo una politica più decisa e di principio potrà indurre Mosca a seguire una politica di cooperazione…”.
La recente, poco diplomatica e per alcuni versi “goffa”, presa di posizione di Washington sembra voler rispondere a questa esigenza. Nel frattempo, l’Europa non sembra avere una strategia di lungo termine, limitandosi a criticare il Cremlino in merito alle azioni russe in Ucraina e a stigmatizzare le mancate indagini sugli omicidi di giornalisti e oppositori, dichiarando al contempo che il rapporto con la Russia è e rimane cruciale per l’Europa.
Avendo rinunciato, per mille motivi, non ultimo quello economico, a contendere la supremazia americana in mare aperto, la Russia ha quindi adottato una strategia di difesa che ha fatto del Mediterraneo il suo terzo bastione. Favoriti da una sostanziale assenza della politica europea (alla quale la Russia assegna peraltro scarsa rilevanza, come dimostrato dal fallimento della visita a Mosca di Josep Borrell, Alto Rappresentante per la PESC) e dalla crescente distrazione militare statunitense delle ultime Amministrazioni, Mosca sta espandendo la sua influenza in tutta l’area. La presenza di unità di superficie piccole ma potentemente armate di missili in grado di colpire a grande distanza e la disinvoltura con la quale Mosca si sta muovendo permette ai russi di “controllare” con discrezione l’area, di consolidare le proprie alleanze nel bacino e di gettare le basi per una penetrazione strategica nel continente africano, ricco di risorse. Una penetrazione strategica ben più problematica, se proiettata a lungo termine, della postura turca avviata con la Mavi Vatan.
Come non ricordare la dimostrazione di potenza della portaerei “Admiral Kuznetsov” (foto) che, scortata da una grande task force (e sicuramente da sottomarini), fu piattaforma dalla quale partirono numerose missioni aeree per colpire obiettivi sul territorio siriano. Una presenza che sottolineava la capacità russa di proiettare potenza e il desiderio di Mosca di tornare a essere soggetto geopolitico influente e determinante nell’area mediterranea, e non solo.
Ecco il motivo per il quale l'approccio operativo alle crisi presenti e future non può prescindere dallo studio e dalla comprensione della strategia militare russa contemporanea, sia che Mosca si confermi quale tradizionale avversario dell'Occidente, sia che ne diventi un potenziale alleato in chiave anti-jihadista.
In sostanza, come ci insegna Sun Tzu, non dobbiamo aver paura della Marina russa, ma dobbiamo conoscere bene il nostro potenziale avversario e analizzare con rispetto ciò che Mosca sta tentando di ottenere con le sue flotte aeronavali che rappresentano, come tutte le Marine del mondo, strumento indispensabile di politica estera ed elementi qualificanti di una strategia complessiva di più ampio respiro. Come ha scritto Michael Kofman “…l’incapacità di comprendere le potenzialità dell’avversario e la logica che guida le sue mosse è un eccellente metodo per rimanere, un giorno o l’altro, spiacevolmente sorpresi. Imparare (troppo tardi) da quel tipo di esperienza normalmente causa la perdita di vite umane…”8.
1 Eyal Pinko, Russian Black Sea fleet acvtivity in the eastern Mediterranean Sea: implication for the Israeli Navy
2 Michael Kofman, Why the Russian Navy is a more capable adversary than it appears, su Nationalinterest.org, 22 agosto 2017 “The Russian Navy is coalescing around four principal missions: defense of Russia’s maritime approaches and littorals, long-range precision strike with conventional and nuclear weapons, power projection via the submarine force, and defense of the sea-based nuclear deterrent carried aboard Russian SSBNs.”
3 Michael Kofman, Why the Russian Navy is a more capable adversary than it appears, su Nationalinterest.org, 22 agosto 2017 “The modern Russian Navy is not designed to compete with the U.S. Navy, but instead to counter it, and to support the strategy of a twenty-first-century Eurasian land power”.
4 Michael Kofman, It’s time to talk about A2/AD: rethinking the Russian military challenge, su warontherocks.com, 5 settembre 2019 “Consider that in 1989 the Soviet Union fielded 62 ballistic missile submarines, 66 guided missile submarines, and over 200 general purpose attack submarines. Today Russia fields only 10 ballistic missile submarines, defended by a relatively small force of surface combatants and general-purpose submarines in its primary fleets.”
5 Paul Bernsteni e Harrison Menke, Russia’s Hypersonic Weapons, Georgetown Journal of International Affairs, 12 dicembre 2019. Notizie riprese anche dal Center for the Study of Weapons of Massa Destruction il 13 dicembre 2019
6 James Lacey, Battle of the bastions, su warontherocks.com, 9 gennaio 2020
7 Eyal Pinko, Russian Black Sea fleet acvtivity in the eastern Mediterranean Sea: implication for the Israeli Navy
8 Michael Kofman, Why the Russian Navy is a more capable adversary than it appears, su Nationalinterest.org, 22 agosto 2017 “Failure to understand an adversary’s capabilities, and the logic behind them, is a good way to someday become unpleasantly surprised by them. Learning from that kind of experience usually comes at the expense of lives.”
Foto: MoD Fed. russa / web