A pochi giorni dall’attentato di Istanbul e dopo che il presidente Recep Tayyip Erdogan ha accusato dell'attacco il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), ieri la Turchia ha lanciato una serie di attacchi aerei durante l’operazione “Pence Kilic” colpendo obiettivi curdi in Siria ed Iraq.
Il PKK, però, ha negato qualsiasi ruolo nell'attentato del 13 novembre, il più mortale in cinque anni dopo un'ondata di attacchi tra il 2015 e il 2017.
I bombardamenti sono stati attuati da droni su una base nel nord-est della Siria utilizzata dalle forze curde e dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti e sono proseguiti con l'artiglieria turca sulla città di Kobane, nel nord della Siria, controllata dalle forze democratiche siriane a guida curda e nelle città di Tel Rifat, Derbysia e Derik.
Sono rimasti uccisi 15 militari governativi e 32 combattenti delle FDS - Forze Democratiche Siriane - (alleanza di milizie curde, arabe e assiro-siriache). Fonti di stampa riferiscono che gli attacchi dei droni turchi hanno colpito anche un piccolo giacimento petrolifero vicino alla città di confine di Al-Qahtaniyah.
Erdogan ha ripetutamente chiesto una "zona sicura" di 30 chilometri per proteggere la Turchia dagli attacchi transfrontalieri dal territorio siriano. Almeno tre persone, tra cui un bambino, sono state uccise in una città di confine turca lunedì da un razzo sparato dalla Siria. Pare che il presidente turco, in vista delle elezioni del prossimo giugno, voglia rafforzare la sua politica contro i combattenti curdi ed incrementare il sostegno ai suoi alleati nazionalisti del MHP (Milliyetçi Hareket Partisi).
Il conflitto russo-ucriano è visto da molti analisti come la continuazione della guerra in Siria dove, sul campo di battaglia di uno stato terzo, si combattono le due superpotenze (USA e Russia) ed i rispettivi alleati.
Alcuni studiosi si domandano se proprio i quasi sette anni di attività bellica in Siria da parte russa possa aver condizionato, quantomeno in parte, l’operazione in Ucraina ed altri affermano che il numero di uomini e mezzi presenti nel paese mediorientale non giustifica una simile interpretazione.
I russi continuano a schierare sul fronte siriano circa quattromila uomini, diverse decine di velivoli nonché la piena operatività della base navale di Tartus. Su quest’ultima, nata nel 1971 con accordi tra sovietici ed il padre di Bashar al-Assad come base logistica, dal 2017 la Russia ha acquisto la piena sovranità dell’area, ha ampliato e modernizzato le strutture divenendo punto strategico nel Mediterraneo e snodo cruciale per scambi commerciali nell’area ed oltre, vista la vicinanza all’importante Canale di Suez.
L’intervento russo in Siria è stato avviato nel settembre 2015 con l’obiettivo di sostenere il presidente del Paese e combattere il terrorismo rappresentato dallo Stato Islamico. I Russi hanno difeso il regime di Bashar al-Assad che controlla, adesso, almeno i due terzi del Paese e contribuito a ridurre notevolmente la presenza dello Stato Islamico che comunque continua la sua azione sul territorio. Alcuni studiosi suppongono che, anche se l'intervento russo ha sostenuto l’indebolito regime di Assad, l’operazione potrebbe avere invece creato maggiore unità tra i ribelli spingendoli ad unirsi alla causa anti-Assad. Tuttavia, la Russia ha basato il suo sostegno in nome del contrasto all’IS acquisendo maggiore legittimità rispetto all’intervento statunitense.
Come sembra avvenire in Ucraina, anche in Siria probabilmente si continua a combattere per procura. Le componenti principali di una guerra per procura sono1 la fornitura di uomini, di materiale, l’assistenza finanziaria ed assistenza non militare. Questo porta a delle inevitabili conseguenze, come la dipendenza a lungo termine tra il benefattore e il beneficiario, la dilatazione e l’intensificazione del conflitto originario, l’estensione oltre i confini iniziali ed eventuali ripercussioni, alla fine della guerra, per i partecipanti.
Il diretto coinvolgimento militare della Russia nella guerra civile in corso in Siria ha sollevato preoccupazioni su quali siano le sue vere motivazioni. Le preoccupazioni hanno portato a diverse spiegazioni ed interpretazioni, tra cui:
- gli interessi geopolitici, geo-economici e geostrategici e sulla sfera di influenza in Medio Oriente che la Russia deve proteggere dall'invasione occidentale;
- la Russia è intervenuta nella guerra civile siriana per sostenere i principi delle Nazioni Unite della non ingerenza, della sovranità statale e per impedire all'ONU di creare un precedente che l'Occidente potrebbe usare in futuro per interferire nel conflitto interno di un qualsiasi Paese sovrano con un regime anti-occidentale e cambiarlo;
- il coinvolgimento nella guerra civile siriana per ovviare alle possibilità che la Siria diventi una roccaforte fondamentalista islamica e jihadista;
- esercitare il potere sotto forma di forza militare contro l'opposizione occidentale al fine di proteggere i suoi interessi nazionali e preservare la sua sopravvivenza nazionale in un sistema internazionale ostile.
L'azione militare della Russia in Siria, quindi, fa parte della politica del presidente Putin di riconquistare la sfera di influenza perduta dalla Russia e i vantaggi strategici. Questo sforzo è iniziato nel 2005 con la vittoria nella seconda guerra cecena, seguita dall’invasione del 2008 della Abkhazia per riprendere il controllo del porto di Ochamchire sulla costa del Mar Nero, la ricostruzione del porto di Tartus in Siria 2008-2009, l'invasione e l'annessione della Crimea in Ucraina nel 2014 e l’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022.
La Russia aveva in precedenza limitato il suo ruolo nella guerra civile siriana a forniva al governo siriano supporto diplomatico, forniture di armi e munizioni nonché servizi di formazione e consulenza militare all'esercito siriano. Tuttavia, i gruppi terroristici islamici e l’esercito regolare ha continuato a guadagnare posizioni e terreno fino ad obbligare il regime a spostare le sue truppe dalla provincia di Latakia a Damasco al fine di difendere il barcollante potere di Bashar al-Assad che sembrava essere sull’orlo della sconfitta. La Russia, quindi, anche nella prospettiva di evitare il riaffiorare del terrorismo nella regione del Caucaso settentrionale soggetta a nuove attività terroristiche, ha ritenuto opportuno intervenire in Siria.
L'interesse della Russia per il Mediterraneo è di vitale importanza per la strategia militare. Pare che i sovietici, nonostante il conflitto in Ucraina richieda ingenti risorse, stiano continuando a mantenere viva e presente l’influenza in Siria anche per non lasciare troppo spazio alla Turchia.
L’intervento russo del 2015 ha permesso ad Assad di riconquistare gran parte del Paese ed ora è quest’ultimo che appoggia chiaramente il presidente russo annunciando l’invio di milizie siriane sul fronte ucraino e riconoscendo formalmente, il 29 giugno scorso, la Repubblica popolare di Donetsk e la Repubblica popolare di Luhansk, come Nazioni sovrane. Evidentemente Bashar al-Assad si sente protetto dalla Russia non solo nel suo territorio ma anche presso l’ONU dove può contare sul diritto di veto russo nel Consiglio di Sicurezza.
Intanto i siriani continuano a morire
Il conflitto rappresenta la più grande catastrofe umanitaria al mondo: 14 milioni di siriani hanno bisogno di assistenza umanitaria e 6,7 milioni di siriani sono fuggiti dal paese e quasi il 60% della popolazione è sull’orlo della fame. Nei primi sei mesi di quest’anno 1568 civili (114 bambini) sono rimasti uccisi. Ultimo attacco riportato dagli organi di stampa è quello del 22 luglio in cui sette persone, di cui cinque bambini, sono rimasti uccisi a seguito di un bombardamento russo su un quartiere di Jisr al-Shughur nel nord del Paese. Nelle aree limitrofe ad Idlib ed Aleppo sono circa 4 milioni le persone, sfollate ed ammassate in tendopoli, a vivere in condizioni estreme. Questi sono sempre più sotto controllo turco.
Dall’inizio del conflitto gli attacchi indiscriminati da parte di forze governative contro zone densamente popolate sono stati una costante. Venivano condotti con bombardamenti di artiglieria, mortai, razzi, carri armati e attacchi aerei, ma anche attraverso bombe a grappolo o termobariche. Dal 2015 i russi con l’aeronautica hanno colpito quartieri civili e luoghi affollati o posto in essere attacchi che hanno ucciso e ferito la popolazione e danneggiato luoghi di cura.
Gruppi armati, non solo Dàesh, Hay'at Tahrir Al-Sham e Kurdish People’s Protection Units hanno lanciato numerosi attacchi indiscriminati utilizzando mortai e razzi, ed ordigni improvvisati.
L’azione militare della coalizione a guida statunitense svolta per riconquistare Raqqah ha danneggiato o distrutto fino all'80 per cento degli edifici, uccidendo e ferendo migliaia di civili e creando altrettanti sfollati.
Nelle raccomandazioni, il rapporto di Syrian Network for Human Rights, invita il Consiglio di Sicurezza a “smetterla di usare il loro veto per proteggere il regime siriano, che ha commesso centinaia di migliaia di violazioni, molte delle quali costituiscono crimini contro l’umanità e crimini di guerra” e di adottare ulteriori misure dopo l’adozione della risoluzione 2254 ovvero “cessare qualsiasi attacco contro civili”. Richiede, inoltre, “a tutte le agenzie dell’ONU di compiere maggiori sforzi per fornire aiuti umanitari, alimentari ed assistenza medica”. Quest’ultimo è diventato un tema che ha acceso un’aspra diatriba presso il Consiglio di Sicurezza. Mosca, infatti, vorrebbe che sia il governo siriano a gestire tale incombenza in modo da evitare che gli aiuti possano essere facilmente raggiunti dalle popolazioni delle zone controllate dai ribelli. Pare che qualche settimana fa si sia giunto ad un accordo per far entrare nel nord della Siria gli aiuti umanitari attraverso la Turchia.
Al vertice di Teheran dello scorso 19 luglio, si sono incontrati i presidenti di Russia, Iran e Turchia e si è parlato anche di Siria: nonostante molte divergenze, hanno concordando sulla necessità che Stati Uniti e NATO lascino il Paese. Russia e Iran hanno formalizzato nuovi contratti commerciali come quello tra Gazprom e National Iranian Oil Company. Vecchie ruggini, invece, sono emerse tra Russia e Turchia sulla zona di sicurezza lungo il confine turco che permetterebbe ad Ankara di tenere lontani i curdi e, mentre Mosca lascia trasparire qualche possibilità, Ebrahim Raisi afferma che un “attacco alla Siria sarebbe dannoso per la Turchia a beneficio dei terroristi” accusando anche Israele dei suoi continui attacchi su infrastrutture civili.
Il Consiglio Europeo ha prorogato fino al 1º giugno 2023 le misure restrittive dell'UE nei confronti del regime siriano a causa della repressione che continua a esercitare contro la popolazione civile del paese.
Le sanzioni comprendono un embargo sulle importazioni di petrolio, il congelamento dei beni della banca centrale siriana detenuti nell'UE e restrizioni all'esportazione di tecnologie che potrebbero essere usate a fini di repressione interna. Esse sono dirette anche a società ed imprenditori che traggono vantaggio dal regime e dall'economia di guerra.
La presenza in Siria del terrorismo islamista (IS) e di altri gruppi costituisce una grave minaccia per il paese, il Medio Oriente e la comunità internazionale. La strategia europea messa a punto in Siria ed Iraq per affrontare la minaccia terroristica dell’Is/Daesh è stata adottata nel marzo 2015. Essa ha lo scopo di sostenere la coalizione internazionale per combattere il Daesh, ridurre l'afflusso di combattenti terroristi stranieri, fondi e armi al Daesh, migliorare la sicurezza alle frontiere e fornire assistenza umanitaria alle popolazioni colpite.
Pare che il regime non riesca a mettere fine alle ribellioni nonostante gli aiuti esterni e non mostra alcun interesse nella diplomazia. Con questi presupposti e la disponibilità del governo di Assad a commettere brutalità ed illegalità non lascia spazio a prossimi futuri cambiamenti di rotta del conflitto.
1 Mumford
Foto: SANA