La tutela degli interessi nazionali sul Mare

(di Renato Scarfi)
08/02/21

Tra gli analisti geopolitici la questione della politica estera e della tutela degli interessi nazionali sembra essere tornata con grande vena nel dibattito degli ultimi tempi. Un argomento di grande attualità soprattutto se correlato alle questioni che riguardano il mare come, per esempio, la necessità di assicurare la libertà di navigazione lungo le vie commerciali marittime e la crescente tendenza alla territorializzazione dei mari e degli oceani, fenomeno collegato alla sempre più accesa competizione per il raggiungimento e l’acquisizione delle risorse energetiche più intimamente custodite.

Una percentuale attorno all’85% degli scambi commerciali mondiali avviene attraverso le vie del mare. Tanto per dare un’idea delle dimensioni del fenomeno, nel solo Oceano Atlantico ogni giorno navigano più di 2.000 navi. Il Mediterraneo, che ha solo l'1% della superficie globale degli oceani, vede oggi il passaggio del 20% del traffico marittimo mondiale. Si tratta di un enorme traffico di merci che percorre quotidianamente queste autostrade liquide.

In tale quadro si inseriscono le politiche marittime più assertive ed espansionistiche di taluni paesi rivieraschi che, sia nel Mediterraneo allargato o, come viene ultimamente chiamato, l’Oceano Mondo1 o anche “Infinito Mediterraneo”2, stanno innescando o alimentando forti attriti internazionali.

Per la sua enorme dipendenza dall’approvvigionamento di risorse e materie prime l’Italia è particolarmente esposta a eventuali azioni che interferiscano con la libera accessibilità delle vie di comunicazione marittime.

Nel 2018, per esempio, ha viaggiato via mare il 79,3% delle merci italiane esportate nel mondo, percentuale che sale al 95,9 se si considerano solo i Paesi extra Unione Europea. Senza la possibilità di importare le materie prime e di esportare i manufatti via mare l’economia italiana sarebbe, quindi, asfissiata in brevissimo tempo. Di conseguenza, è chiaro come sia fondamentale tutelare i nostri interessi economici nazionali principalmente attraverso la sicurezza delle attività estrattive marine e dei traffici marittimi.

Ciò nonostante, la vasta gamma di quelli che possono essere definiti gli interessi nazionali correlati al mare non si esaurisce con il soddisfacimento dei pur rilevanti aspetti economico o di sicurezza, ma riguarda anche conoscenza scientifica, alimentazione, comunicazioni, turismo, legami con i connazionali all’estero, tecnologia. In sostanza, tutti i grandi temi che investono l’intera sfera della vita, dei valori, della storia e della cultura di un popolo. Come si comprende benissimo, quindi, i nostri interessi complessivi oggi vanno ben oltre le Colonne d’Ercole e si estendono in tutto il mondo. Sono interessi globali.

Ciò fa diventare la questione marittima non solo una preoccupazione economica e commerciale ma, dato che da ciò dipendono in larghissima misura la prosperità e la stessa sopravvivenza del nostro Paese, anche un problema politico e militare.

L’Italia, quindi, essendo una media potenza regionale con interessi globali, non può permettersi di sottovalutare le implicazioni geopolitiche dell’attuale situazione, estremamente fluida e frammentata, caratterizzata da una minaccia multiforme, asimmetrica e da diffusa insicurezza, da una crescente competizione e da sempre più numerose tensioni di bassissima intensità, ma di elevato potere invalidante.

Il quadro è ulteriormente complicato dal fatto che la “semplice” difesa dei propri interessi non è di per sé sufficiente a garantirne la tutela. Chi rimane in difesa, infatti, lascia l’iniziativa all’avversario e, reagendo agli eventi determinati dall’altrui volontà, è sempre in ritardo.

La storia ci insegna che chi si costringe a una politica di sola difesa non può mai sperare di vincere, né sperare di vedere riconosciuto il proprio ruolo e prestigio internazionale, punto di partenza per la tutela dei propri interessi. Lo abbiamo sperimentato direttamente nel 2018 con la SAIPEM 12000, alla quale si sono opposte le navi militari turche, impedendole l’effettuazione della propria attività, regolarmente autorizzata da Nicosia, nelle acque cipriote. Per precisa volontà politica, all’evento l’Italia ha reagito con estrema debolezza, benché si trattasse di un problema forse non vitale, ma certo significativo per la nostra economia.

Oggi è diventato indispensabile opporsi efficacemente, ovunque sia necessario, a eventuali azioni contro la legalità internazionale o tese a ostacolare il raggiungimento dei nostri legittimi interessi. L’esperienza delle missioni antipirateria ne è una prova lampante.

Una strategia marittima vincente deve tendere ad assicurarci, per esempio, la libertà di navigazione lungo le rotte commerciali, la protezione delle risorse marine, la continuità dei flussi energetici e degli approvvigionamenti di materie prime, la salvaguardia dei porti e delle altre infrastrutture critiche come gli oleodotti, le piattaforme petrolifere e di gas naturale, i cavi di telecomunicazione. Essi hanno un’importanza strategica tanto da un punto di vista commerciale quanto per la nostra sicurezza e vanno tutelati ovunque, in qualunque circostanza, anche attraverso l’uso della forza, se necessario.

Per questo motivo andrebbe rimodulato il nostro approccio (v.articolo), in quanto qualunque strategia marittima nazionale, anche se condivisa con gli alleati più stretti, non avrà infatti alcuna speranza di successo se si tratterà solo di difendere lo status quo, ormai in continuo cambiamento, senza che sia prevista la possibilità di tutelare adeguatamente e attivamente gli interessi nazionali.

Stiamo attraversando un momento nel quale dobbiamo affrontare una situazione magmatica che vede, per esempio, azioni destabilizzanti nel Mediterraneo condotte da relativamente nuovi attori come la già citata Turchia, la cui appartenenza alla NATO diventa secondaria quando si tratta di acquisire moderni armamenti dalla Russia, o quando deve alimentare storici attriti con la Grecia. (v.articolo) Ma tale situazione non è circoscritta al Mediterraneo.

Da non sottovalutare, infatti, le ben note diatribe nel Mar Cinese Meridionale tra la Cina e quasi tutti gli Stati costieri dell’area (v.articolo). Anche se quell’area sembra molto lontana dai nostri interessi, va considerata centrale anche per noi, trattandosi di una delle principali vie di comunicazione percorsa da enormi quantità di merce diretta verso il nostro Paese e l’Europa. Un’eventuale grave crisi internazionale che dovesse interessare quell’area si ripercuoterebbe su tutto l’assetto geopolitico dell’Indo-Pacifico e pesantemente anche sulla nostra economia, già in condizioni non particolarmente entusiasmanti e oggi ulteriormente debilitata dagli effetti della pandemia.

Poi abbiamo il Golfo Persico nel quale, oltre alla relativa instabilità dovuta ai noti dissidi tra Arabia Saudita e Iran per la competizione regionale (e le differenze religiose), sono emersi nuovi attori geopolitici, quali il Qatar che, da piccolo emirato è cresciuto economicamente grazie ai ricchi giacimenti di petrolio e di gas, diventando attivissimo protagonista geopolitico sia nel Golfo che nell’inquieta area Mediterranea e in Africa, forte dell’alleanza militare con la Turchia e dei buoni rapporti con l’Iran. Un attore che ha già creato instabilità nell’area sfidando politicamente il colosso saudita e il Consiglio di Cooperazione nel Golfo e che, dopo un breve periodo di relativo isolamento, è pienamente rientrato sul palcoscenico mediorientale.

In un quadro di precarietà generalizzata come quello che stiamo vivendo, l’Italia può tuttavia aspirare a un ruolo internazionale importante. Innanzitutto rilanciando i propri legami con un’America che sembra voglia fortemente lasciarsi alle spalle l’assertivismo isolazionista trumpiano. Un’America che, negli ultimi anni, ha fatto crescere lo scetticismo del Vecchio Continente nei confronti dell’europeismo americano, sulla saldezza del vincolo multilaterale transatlantico e sulla fermezza dell’impegno di Washington a favore della sicurezza collettiva degli europei. Un’America che, per contenere l’attivismo cinese nell’Indo-Pacifico, si sta lentamente “sganciando” dal Mediterraneo, lasciando liberi spazi geopolitici importanti e facendo scrivere a un rappresentante del gruppo CDO-CSU al Bundestag che “…non possiamo più contare al cento per cento sugli USA…”3.

Nonostante gli ultimi controversi anni, la nostra alleanza con Washington non è in discussione e, anzi, noi e i nostri alleati europei dovremmo provvedere a mettere in sicurezza gli spazi lasciati liberi dagli USA nel Mediterraneo allargato, magari sfruttando proprio le nostre moderne capacità aeronavali di concerto con la Francia, per esempio, paese al quale siamo accomunati da molteplici importanti interessi, di cui si deve prendere atto con realismo. Sono, infatti, innumerevoli le ragioni che suggeriscono a Italia e Francia di tornare a cooperare sia in politica, ricercando una comune visione (che faccia da contrappeso all’amica ma troppo dominante Germania) da valorizzare anche nella costruzione di una nuova politica europea che si fondi su nuove basi, sia sul mare, essendo le uniche nazioni mediterranee in possesso di portaerei e di strumenti aeronavali moderni, competitivi ed efficienti. Direzioni verso le quali procedere insieme, anche alla luce del fatto che la Gran Bretagna ha ripreso il suo cammino autonomo anche in fatto di Difesa. Un’autonomia mai realmente abbandonata neanche quando faceva parte della “famiglia” europea, tant’è che ha sempre strumentalmente rallentato ogni iniziativa che rappresentasse un qualche significativo e qualificante miglioramento collettivo del settore.

Di fronte alle nuove sfide del XXI secolo, quindi, è indispensabile trovare risposte adeguate, difendendo il multilateralismo per la sua capacità di mediare tra diverse istanze, ma anche coltivando tutte le capacità di risposta nazionale, comprese le opzioni di ultima istanza come l’uso della forza, se si dovesse rendere necessario per tutelare gli interessi nazionali. Di fronte alle politiche assertive di alcuni non è più possibile sperare di difendere passivamente i propri interessi nazionali, gareggiando con i concorrenti solo sul piano politico, economico e commerciale. Si pensava che questa fosse l’essenza del sistema capitalista. Oggi abbiamo compreso che non è così e che è in atto una formidabile e spietata competizione, specialmente per quanto riguarda le risorse marine, per ottenere il diritto di sfruttamento delle quali le diplomazie di tutti i Paesi rivieraschi, e non solo, stanno muovendo le proprie pedine sullo scacchiere del Mediterraneo allargato.

Il metodo principale attraverso il quale uno Stato indipendente tutela i propri interessi nazionali è, infatti, la diplomazia, ovvero quel complesso di procedimenti attraverso i quali uno Stato mantiene le proprie relazioni internazionali, sotto forma di rapporti bilaterali o con la partecipazione a organismi multilaterali, dove si ha la possibilità di rappresentare le proprie istanze e ricevere risposte. Uno dei principali obiettivi della politica estera è, quindi, tessere un coerente intreccio di relazioni e alleanze che possa garantire la sicurezza della propria popolazione ma anche assicurare l’approvvigionamento di materie prime e di energia (importazione, estrazione, ecc…) e l’esportazione dei prodotti finiti a prezzi e condizioni vantaggiose per la crescita economica del proprio Paese.

In tale ambito, vanno evidenziati i particolari legami che hanno sempre unito le marine militari alla diplomazia, per il virtuoso contributo che le loro operazioni o missioni di rappresentanza all’estero hanno avuto nel mantenere alto il prestigio del proprio paese, contribuendo non poco a intensificare i rapporti politici e industriali con i paesi amici e a sostenere nuove iniziative economiche con gli altri paesi rivieraschi. La storia (anche recente) ci insegna che laddove la diplomazia ha avuto difficoltà, per i più svariati motivi, lo strumento navale è stato efficacemente impiegato per sostenerne le istanze, ostacolando con la forza le iniziative di coloro che intendevano colpire le economie dei paesi di appartenenza e osteggiarne il raggiungimento dei legittimi obiettivi di politica estera, facendo rispettare la legalità internazionale, gli accordi liberamente assunti o per ripristinare le condizioni di sicurezza in una data area.

Negli ultimi anni l’Italia ha fatto un grande sforzo per il rinnovamento della flotta e per riportare la Marina a livello delle più moderne ed efficienti, tant’è che oggi abbiamo uno strumento navale che rientra a pieno titolo tra le prime sei marine del mondo e “…uno dei pochi Paesi al mondo, insieme a Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone, a poter esprimere una capacità portaerei con velivoli da combattimento di 5ª generazione….”.4 Tuttavia, si stanno ultimamente verificando alcuni ritardi nell’assegnazione degli aerei da combattimento F-35B, determinati da motivazioni industriali e da contrasti al Vertice circa le priorità da attribuire alla questione. La scarsità di questi aerei evoluti ed estremamente competitivi potrebbe influire negativamente sull’efficacia della copertura aerea dei gruppi navali che domani dovessero operare lontano dalle nostre coste, a tutela degli interessi nazionali (v.articolo).

Come sottolineato da Limes, rallentando “…i processi di sviluppo e ammodernamento della flotta aerea della Marina militare, si rischia di produrre conseguenze dirette e negative sugli scenari geopolitici che vedono l’Italia impegnata in primo piano…”5, vanificando gli sforzi fatti finora e impedendoci di risolvere autonomamente eventuali questioni, anche vitali, riguardanti la nostra sicurezza e la nostra economia.

L’Italia, coerentemente a quanto previsto dall’art. 11 della Costituzione, ripudia la guerra come strumento di offesa e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Tuttavia, essa non esclude che le nostre Forze Armate possano intervenire per ripristinare le condizioni di legalità, in situazioni che necessitino tali interventi a livello internazionale. Talvolta non è necessario fare uso della forza ma è sufficiente essere pronti a usarla per ricondurre l’eventuale aggressore a più miti consigli. Purtroppo altre volte è, invece, indispensabile l’uso della forza al fine di tutelare gli interessi nazionali. È pertanto necessario essere pronti a intervenire efficacemente sul mare per mantenere la propria libertà, politica ed economica, che significa conservare la possibilità di esprimere scelte autonome e indipendenti.

Il compito della politica, e non mi riferisco solo al Governo ma soprattutto al Parlamento sovrano, consiste nell’identificazione degli interessi nazionali (quali risultano dalla sintesi di interessi contingenti, per diventare interesse collettivo) e nella definizione degli obiettivi che bisogna raggiungere in determinato momento storico. Il compito del capo militare è poi quello di predisporre lo strumento alla sua temporanea dipendenza per conseguire gli obiettivi assegnati. È per questo motivo che è indispensabile che ci sia uno stretto coordinamento tra Esteri e Difesa. Ma se la politica estera ha un atteggiamento ondivago, o è inesistente, non si riesce ad avere una chiara visione degli obiettivi da raggiungere e lo strumento militare rimane preda delle passioni di chi comanda in quel momento.

Noi siamo una nazione marittima, anche se lo sguardo di taluni è rivolto verso la mittel-nordeuropa per questioni ideologiche. Sarebbe ora di prendere finalmente “…coscienza di quanto il mare conti per noi…”6 e di quanto ne siamo economicamente dipendenti. La sintesi degli ultimi cento anni, per non andare troppo lontani, è che abbiamo sempre voluto imitare chi si trovava oltre le Alpi, per poi trovare sul mare le soluzioni ai nostri problemi.

Una questione di fondamentale importanza che richiederebbe, da parte dei responsabili politici e militari, una visione integrale, unitaria e concorde dei principali interessi nazionali, partendo dalla nostra dipendenza economica e politica dal mare e ai delicati compiti assegnati alla Marina, non solo nell’ambito delle alleanze internazionali o delle coalizioni ad-hoc di cui l’Italia fa parte. Il fatto che non ci affacciamo sugli Oceani non ci deve, quindi, impedire di essere presenti laddove i nostri interessi nazionali devono essere tutelati, anche se ciò volesse dire navigare in acque lontane da casa.

Come ha affermato James Donald Hittle “…il cammino percorso dall’uomo attraverso la storia è disseminato di fallimenti di nazioni che, raggiunto il benessere, hanno dimenticato la loro dipendenza dal mare…”7. In un periodo storico nel quale si moltiplica sul mare la competizione per le risorse e l’accesso ai mercati e si rafforzano le minacce transnazionali, nel quale aumentano le attività connesse con la criminalità organizzata, il traffico di esseri umani, la pirateria e il terrorismo, che spesso ricorrono a bandiere di comodo o si fanno semplicemente beffa delle regole del diritto internazionale, non c’è nessun dubbio che lo sguardo del decisore politico debba essere rivolto con estrema attenzione principalmente verso il mare, nell’interesse della nostra sicurezza, del nostro traffico commerciale e di tutto il complesso dei nostri interessi nazionali.

1 Lucio Caracciolo, Limes 10/2020

2 Gian Carlo Poddighe, Infinito Mediterraneo, Analisi difesa, 3 dicembre 2020

3 Roderich Kiesewetter, responsabile Esteri e vice responsabile Difesa, su Limes online del 4 gennaio 2019.

4 Lorenzo Guerini, Ministro della Difesa, discorso di saluto all’equipaggio di Nave Cavour, 29 gennaio 2021

5 Pietro Messina, A chi toccano gli F-35? La disputa infinita fra Aeronautica e Marina, Limes 10/2020, pag. 88

6 Limes, ottobre 2020, pag. 38.

7 Brigadier General J. D. Hittle (10 giugno 1915, 15 giugno 2002), discorso tenuto a Philadelphia il 28 ottobre 1961

Foto: web / Türk Silahlı Kuvvetleri / Ministry of National Defense of the People's Republic of China / U.S. Navy / presidency of the republic of Turkey / ministero della Difesa