Riprendiamo una delle notizie troppo rapidamente caduta nel dimenticatoio mediatico, secondo uno schema che, gestito dal main stream, induce in facile tentazione i mastri cantori balconieri verso i campionati di calcio continentali; ma c’è chi dice no e conserva gelosamente i ricordi e, come il Capitano Bellodi1, continua a ragionarci fino a rompersi la testa.
La notizia è riportata in modo minimal: in occasione del ritiro del contingente italiano dall’Afghanistan, il velivolo militare dedicato al trasporto dei giornalisti invitati alla cerimonia dell’ammainabandiera, è stato costretto ad una deviazione della rotta, preventivamente comunicata, per effetto della mancata concessione emiratina del transito nel proprio spazio aereo, un atto considerato nella consuetudine internazionale come ostile. Qualche inviato, ammaliato dal ricordo di Woodward e Bernstein del Washington Post2, ha congetturato un attacco censorio alla libertà di stampa: nulla di più lontano da una realtà interessata alle geometrie variabili del MO, estranee ad analisi e sensibilità politica italiane, come accaduto con gli (imprevedibili?) Accordi di Abramo tra diversi Paesi Arabi, tra cui gli EAU3, ed Israele.
Il dubbio che si sia trattato di uno schiaffo diplomatico è stato immediatamente fugato dall’evoluzione degli eventi, con la convocazione presso la Farnesina dell’Ambasciatore Emiratino, ed il quasi contestuale invito a liberare la Forward Logistic Airbase di al Minhad.
Solo Una serie di sfortunati eventi? No, piuttosto la dimostrazione che, nelle relazioni internazionali, trova applicazione il 3° principio della dinamica, per il quale a un'azione è sempre opposta un'uguale reazione.
Quali responsabilità, e soprattutto da parte di chi, hanno determinato questa impasse? Se è vero che il capo della diplomazia italiana è stato impegnato in visite ufficiali proprio negli EAU, ribattezzati da James Mattis4 piccola Sparta, per discutere di relazioni bilaterali ed economia, avendo sullo sfondo il progetto InnovItaly UAE, che intende approfondire la cooperazione in 6 settori ad alta intensità di innovazione5 che porta(va)no ad innovative start-up, è evidente che il core del problema sia un altro; è utile considerare che nel 2020 l’interscambio commerciale totale ha raggiunto il valore di 8.4 miliardi di euro, fattore che ha permesso all’Italia di attestarsi quale ottavo partner commerciale emiratino, con in più l’acquisto di oro da Abu Dhabi per un importo di circa 4,18 mld, che ha portato allo stravolgimento del saldo della bilancia commerciale italiana, passata da +3,7 miliardi nel 2019 a –680 milioni nel 2020.
Gli EAU, nell’ultimo periodo, si sono rivelati quale primo fornitore e primo mercato di sbocco nell’area MENA, con circa 600 imprese italiane attive sul territorio. Non a caso, Etihad Credit Insurance, UAE International Investor Council, Dubai Exports, Italian Trade Agency e Confindustria, hanno discusso di aumento delle esportazioni e di sostegno al finanziamento degli investimenti, incentivati dall’iniziativa Make it in the Emirates. Tanto per ricordare che gli idilli sentimentali non si accompagnano mai con quelli economici, è opportuno rammentare l’addio burrascoso che ha sancito a suo tempo la fine del rapporto proprio tra Etihad e Alitalia.
Che Abu Dhabi incarnasse da tempo l’idea di una potenza regionale desiderosa di espandere il suo raggio d’azione anche a discapito di Ryadh oltre Aden, Hormuz, Corno d’Africa, Mediterraneo Orientale, Siria e Libano, rende comprensibili gli investimenti a Limassol, in Egitto a favore di al Sisi ed in Libia a sostegno di Haftar, una proiezione seguita con circospezione da Israele, Turchia6, Arabia Saudita e dallo stesso Egitto7. In proposito non si possono non rimarcare due aspetti, il primo riguardante il rapporto italo turco, improntato ad un’ambivalenza fatta di tensioni politiche8 e di contemporanei e significativi investimenti, e l’altro riguardante più strettamente Abu Dhabi che, nel supporto offerto alle milizie di Haftar, non ha mancato di manifestare uno spiccato interesse per l’oro estratto da da Gebel Auenat, sull’altopiano del Gilf Kebir, nel Sud del deserto libico al confine fra Libia, Egitto e Sudan. Non deve quindi stupire l’accordo siglato in gennaio tra Arabia Saudita, EAU, Bahrein, Egitto e Qatar, che ha messo fine al blocco commerciale e dei collegamenti aerei, terrestri e marittimi imposto nei confronti di Doha, grazie anche all’abile lavorio diplomatico Kuwaitiano; benché l’Accordo di Al Ula non ponga la parola fine, rappresenta tuttavia l’inizio di un processo di distensione, visto che la ripresa effettiva delle relazioni è subordinata alla soluzione delle questioni politiche e strategiche alla base della crisi, cui non è estranea la presenza di militari turchi su territorio qatarino, perfettamente funzionali all’erogazione dei fondi con cui Doha sostiene le imprese anatoliche, non da ultimo quelle in Libia.
Gli EAU, che intendono fruire di margini di manovra ampi ed autonomi, e che seguono uno schema che si pone come obiettivo lo sviluppo delle condizioni necessarie a diventare una potenza capace di influire sugli equilibri regionali, vanno dunque visti come un soggetto politico proattivo ed indipendente, grazie allo sviluppo sia dell’hard power militare, sia del soft power basato su cultura e relazioni interreligiose, sia di capacità che consentano una significativa diversificazione economica.
C’è da dire che la vision strategica emiratina riveste poi un altro particolare aspetto, quello del riposizionamento, grazie al quale si offre quale preziosa sponda per i diversi egemoni, non necessariamente solo gli USA, come dimostra sia l’interesse per la BRI sia l’accaparramento dei porti tra Golfo Persico, Mar Rosso e Mediterraneo9. In questo contesto, gli sgarbi emiratini sembrano determinati dal filoamericanismo italiano di ritorno, indotto alla riadozione di una politica di tradizione atlantica già dalla fine del 2020, alla luce delle reazioni innescate dalle decisioni assunte in merito alla via della seta; dal vortice che ne è conseguito è emersa la cancellazione degli accordi sottoscritti per l’export di equipaggiamenti bellici per gli EAU, ufficialmente per fermare la guerra nello Yemen da cui Abu Dhabi si era già ritirata, in realtà per non ritrovarli magari imbracciati dalle milizie di Haftar, o in pugno a nemici avversi agli stessi interessi italiani.
Che poi gli EAU si siano realmente ritirati dallo Yemen, dove hanno combattuto anche contro formazioni qaediste, o che abbiano optato per esercitare forme diverse di controllo grazie a forze proxy da loro addestrate ed equipaggiate è altro discorso, avvalorato dal possesso di numerose aree di influenza geostrategica10.
Mentre gli americani principiano a stigmatizzare la politica estera emiratina, rea di finanziare tra Tripolitania e Cirenaica i mercenari russi della Wagner e di sostenere la penetrazione cinese della BRI, Abu Dhabi colpisce l’attore più debole, non potendo certo rivolgere i suoi strali contro Washington che, puntando a depotenziare tutti i protagonisti regionali, è di nuovo in fase negoziale JCPOA con Teheran. In proposito, un elemento che andrebbe certamente valorizzato da Roma, riguarda proprio la nuova forma che stanno assumendo i rapporti di equilibrio regionale di potenza tra la sunnita Ryadh (a sua volta colpita da embargo italiano) e gli Ayatollah sciiti grazie alla mediazione irachena, che potrebbero aprire a prospettive inedite ed inaspettate anche se a lungo termine.
Se Roma ha optato per un basso profilo limitandosi alla convocazione dell’ambasciatore, lo stesso non può dirsi per gli Emirati; è dunque evidente che, decisa e valutata preventivamente una via diplomatica, sarebbe stato auspicabile fare affidamento su una politica consapevole delle possibili conseguenze derivanti dal richiamato 3° principio, tenendo conto che una rottura delle relazioni diplomatiche, completa o parziale che sia, non è mai a costo zero.
Una prima considerazione, pertanto, attiene a costanza e coerenza delle linee politiche adottate da qualsiasi Paese, laddove, realisticamente, gli ecumenismi non trovano alcuno spazio, a meno che non ci si faccia cogliere da bruschi trasalimenti quando qualsivoglia controparte si avvalga del non sempre gradevole principio di reciprocità. È ovvio che qualsiasi esecutivo abbia il diritto/dovere di agire come meglio ritenga opportuno ma, nel caso EAU, il non aver considerato preventivamente quali fossero le eventuali e collidenti cointeressenze, non può non far rammentare la massima di Fouché che, in occasione dell’esecuzione del Duca d’Enghien, disse: “è peggio di un crimine, è un errore”.
La situazione è ancora più complessa laddove ci si rammenti di tenere in considerazione i fattori russo e turco, quest’ultimo condizionato sia dalla difficile situazione economica interna, sia da un eccesso di volitività di fatto incontrastata, che ha indotto gli USA a riequilibrare l’espansionismo di Ankara privilegiando la liaison che unisce Atene, Nicosia e Tel Aviv.
La rivalità turco emiratina, per Roma, è e sarà un problema tale da sconsigliare recisamente una postura marginale ed attendista, che potrebbe causare l’esclusione dell’Italia dalle vicende più ragguardevoli, relegandola ad una mortificante comprimarietà in teatri di particolare importanza, come la Libia. Come si è visto, pur se per sommi capi, il MO si muove secondo direttrici chiare dove, nella più ampia accezione di strategia, vanno ricompresi obiettivi e tattiche per raggiungerli; ciò che rimane da approfondire consiste nel comprendere quali strategie coltivi l’Italia, e soprattutto con quali tattiche intenda perseguirle.
Le più recenti enunciazioni programmatiche dell’Esecutivo in carica, pur godendo di una ritrovata e piacevole chiarezza intellettuale corroborata dai contatti intercorsi con Anthony Blinken, rappresentante dell’attuale dominus delle regole auree della stabilità, non si discostano dalla reiterazione di princìpi multilaterali fondamentali11, fattore che riporta la politica nazionale in un alveo generalista dove i concetti trovano difficoltà nel concretizzarsi in obiettivi, e dove i fondamenti si basano sul discutibile assunto per cui è necessario trovare una quadratura tale da consentire amicizie globali ed un’(impossibile) assenza di attriti.
Realisticamente il Mediterraneo, in qualunque versione più o meno allargata e multipolare si intenda declinarlo, è assurto ad un’importanza ancora più significativa specialmente in un’ottica di mantenimento di una stabilità messa in forse dall’affacciarsi di nuovi (cinesi) e vecchi (russi) egemoni, e dove il potere navale, per poter operare fattivamente, necessita di un supporto concreto e costante.
E le feluche? A differenza di altri attori geopolitici la diplomazia italiana, pur dall’alto della sua indiscutibile e superiore preparazione tecnica ed accademica accuratamente scissa dalla quotidiana prassi politica, in ottemperanza alle indicazioni esecutive delineate seguendo il solco tracciato dagli egemoni occidentali che puntano alla realizzazione dei propri interessi, non si propone con iniziative genuinamente autonome che, specie nel quadrante sud orientale del Mediterraneo, marcano una difficoltà nell’interpretare un ruolo proattivo e di mediazione che agevoli la de-escalation e tuteli gli interessi energetici e securitari. Del resto, se è acclarata la persistenza di un problema politico e sistemico europeo, come potrebbe l’Italia appropriarsi di un ruolo da grande potenza che dalla fine della 2 GM non le è mai appartenuto e che non può ricoprire, stante anche la mancanza di una force de frappe?
Per contare sarebbe opportuno definire le aree di intervento, enucleando le più attagliate, adottando strategie coerenti e di ampio respiro, fondate su una rete di alleanze pagante ed affidabile, e soprattutto determinando e difendendo gli interessi nazionali. È inevitabile che, ovunque accada, la costante fragilità in politica estera determini la perdita delle posizioni conquistate negli anni, come è ineludibile dover constatare che si tratta spesso di un’anomalia congenita, causata sia da un insufficiente scambio di prospettive oggettive tra analisti e politici, sia dalla mancanza di una base strategica costante, prolungata nel tempo, delineata, in costante aggiornamento, una defaillance determinata dalla difficoltà a declinare gli interessi nazionali, optando per un menage comodo ma asfittico.
L’episodio del boeing, a ben vedere, fa il paio con il sequestro dei marittimi siciliani ad opera libica, o con le violente operazioni di disturbo che imbarcazioni turche hanno operato recentemente contro natanti da pesca italiani, tutti eventi che hanno evidenziato un livello di considerazione in sofferenza, malgrado strette di mano e cerimonie protocollari; ancora più significativa è stata la minimizzazione di tali eventi in ambito nazionale, che ne ha evidenziato l’esiguo livello di apprezzamento generale.
Rubando spirito e battute ad un noto film italiano di qualche tempo fa, nel soppesare i fiorini colpevolmente dilapidati e quelli da pagare, forse, davvero, non ci resta che piangere.
1 L. Sciascia, Il giorno della civetta
2 Vd. Tutti gli uomini del Presidente
3 Il primo ambasciatore degli EAU in Israele, Mohammad Mahmoud al-Khajah, ha prestato giuramento, il 14 febbraio u.s., dinanzi al premier emiratino, Mohammed bin Rashid al-Maktoum, altresì governatore di Dubai, malgrado non sia ancora chiaro quando potrà iniziare a esercitare le proprie funzioni. Secondo al-Monitor il volume degli investimenti tra i due Paesi ha già raggiunto un miliardo di dollari registrati a fine 2020. A settembre 2020 la banca israeliana Leumi e la Dubai Ports World, società di logistica emiratina hanno reso pubblica la firma di un MoU finalizzato ad aumentare il commercio tra Israele ed i restanti Paesi del MO, con un valore che potrebbe raggiungere i 5 miliardi di dollari.
4 generale e politico statunitense. Dopo una brillante carriera nel Corpo dei Marine, dal 2017 al 2019 ha ricoperto la carica di Segretario della difesa degli USA nell'amministrazione Trump. Dimessosi per divergenze politiche con il Presidente, è in seguito tornato in servizio nei Marines.
5 Sicurezza cibernetica, spazio, città intelligenti e mobilità sostenibile, le “scienze della vita”, tecnologie alimentari, economia circolare e agritech.
6 percepita come pericolo esistenziale in quanto simbolo dell’Islam politico
7 Gli EAU hanno offerto la loro mediazione per dirimere la controversia sulla GERD in nome della sicurezza del Mar Rosso. Gli EAU intendono facilitare una negoziazione che permetta all'Etiopia di riempire la diga garantendo tuttavia un accesso sufficiente all’acqua del Nilo ai paesi a valle.
8 La presenza turca in Nord Africa definisce la questione relativa ad ampliamento e sfruttamento della ZEE libica. È opportuno ricordare quanto avvenuto nelle acque Cipriote, dove la Saipem 12000 dell’Eni è stata allontanata da un’unità turca nonostante fosse in possesso di regolare permesso.
9 scali marittimi in Yemen, Somaliland, Sudan, Eritrea, Egitto, Libia e Cipro
10 porti e terminal petroliferi e gasiferi
11 Appartenenza a NATO e UE
Foto: Farnesina