A chi mastica un po’ la storia non sfuggirà che durante le guerre, ad un certo punto, a prescindere da come il conflitto si evolva, i contrasti tra politici e militari emergono sempre. Per l’Italia un caso eclatante di questo tipo fu durante la guerra del 1915-1918 lo scontro tra il capo di stato maggiore generale, Luigi Cadorna, ed i governi Salandra, Boselli e Orlando, in particolare con il ministro degli Esteri, Sidney Sonnino, che di quel conflitto era la “mente” politico-diplomatica, proprio come il generale piemontese era quella operativo-militare.
Questo paragone storico è necessario per dire che le frizioni tra guida politica e guida militare di un Paese in guerra sono fisiologiche. In Ucraina le differenze nell’approccio alla guerra contro la Russia tra il presidente, Volodymir Zelensky, ed il comandante in capo delle AFU (Forze Armate dell'Ucraina, ndr), Valerii Zaluzhnyi (foto), erano emerse fin dalle fasi finali della battaglia di Bakhmut. Infatti, mentre il generale avrebbe voluto che le truppe ucraine si ritirassero alla periferia sud-occidentale della città del Donbass, il capo di Stato aveva insistito per una difesa ad oltranza del centro cittadino. Una differenza di vedute tra i due che è emersa anche nella fase preparatoria della controffensiva estiva degli ucraini, quella oggi arenatasi pochi chilometri oltre le prime trincee russe della Linea Surovikin e che, invece, aveva come obiettivo il raggiungimento e la forzatura del “corridoio di Crimea” a Melitopol.
Questo mentre il comandante delle forze di terra ucraine, colonnello generale Oleksandr Syrskyi, ha sottolineato che le forze russe stanno portando avanti azioni offensive simultanee in diverse direzioni e cercando in particolare di riprendere l'iniziativa a nord e a sud di Bakhmut.
Qualche giorno fa Zaluzhnyi ha ammesso che il conflitto si sta ormai trasformando in una “guerra di posizione” ed ha pubblicato anche un documento a tal proposito, dove esprime alcune considerazioni su come uscire dall’impasse e riprendere l’iniziativa della manovra.
Chi ha letto il documento di Zaluzhnyi avrà notato certamente che, sia nelle premesse sia nell’analisi dell’aspetto logistico-industriale, il generale porta avanti tesi, se non opposte, comunque più radicali rispetto a quelle di Zelensky. Egli identifica, infatti, nella forza militare l’unico strumento in grado di garantire a Kyiv la propria sovranità territoriale ed indipendenza, lanciando accuse pesanti nei confronti delle organizzazioni internazionali. Nonostante Zaluzhnyi ripeta che il sostegno della NATO sia fondamentale, non esita a ribadire la necessità che l’Ucraina, specie per quanto concerne l’industria AD&S e, quindi, la delicata questione delle catene di fornitura militari, “faccia da sé”, affidandosi solo in parte all’Occidente.
Zelensky non ha apprezzato le idee di Zaluzhnyi. Questo è evidente perché il presidente ha dichiarato che ogni volta che si parla di “congelamento” della guerra si sta facendo un favore a Putin. Nei fatti, per quanto strano possa sembrare, i primi sostenitori di una conduzione più radicale della guerra da parte ucraina sono proprio coloro che ammettono le difficoltà delle AFU. E Zaluzhnyi è uno di loro.
Il sabotaggio del gasdotto North Stream, per il quale è stata appurata la responsabilità dell’Ucraina – o meglio, di una parte degli apparati militari di Kyiv – rientra proprio nella logica della “guerra totale” da portare avanti contro la Russia. Non stupisce che l’azione del colonnello delle Forze per operazioni speciali-SSO Roman Chervinsky, attualmente detenuto, considerato autore materiale del sabotaggio, non solo fosse conosciuta da Zaluzhnyi, ma sia anche stata da lui autorizzata.
Il sabotaggio del gasdotto è stato attuato da una squadra di sei uomini delle SSO che, affittata una barca a vela con documenti falsi, hanno raggiunto l’infrastruttura ed hanno posizionato le mine a circa settanta metri di profondità.
Dell’operazione nulla sapevano né il presidente ucraino Zelensky, né il capo dei servizi segreti militari SBU, generale Kyrylo Budanov, a dimostrazione del fatto che essa sia parte di quelle azioni che gli alleati occidentali di Kyiv, in particolare gli Stati Uniti, non vedono di buon occhio, esattamente come i blitz in territorio russo (che sono, tra l’altro, voluti e sponsorizzati in prima persona da Budanov).
Al netto dello scontro interno tra apparati ucraini, difficilmente l’atteggiamento dell’Occidente cambierà, anche perché il sostegno all’Ucraina, che sia economico o militare, è essenziale per garantire la prosecuzione della resistenza contro la Russia. Non a caso la Germania, che dal sabotaggio di North Stream è stata direttamente colpita e che aveva mantenuto una certa ambiguità nei rapporti con Mosca all’inizio del conflitto anche per tutelare quella infrastruttura strategica, ha annunciato il raddoppio degli aiuti militari per Kyiv.
Foto: X