Un rapporto degli osservatori delle Nazioni Unite, che monitorano (senza molto successo) l'embargo sulle armi imposto alla Libia, conferma la presenza nel paese di contractors del gruppo russo Wagner e di combattenti siriani, fedeli al regime di Assad, per supportare le forze del generale Khalifa Haftar.
I contractors russi si stanno moltiplicando sul territorio libico. Per la prima volta, un rapporto delle Nazioni Unite conferma la presenza in Libia di soldati privati impiegati dal gruppo russo Wagner, per sostenere Haftar, l'uomo forte della Cirenaica, che sta cercando di conquistare Tripoli dall'aprile 2019. La presenza era stata rivelata nel 2019, dai media americani, ma è la prima volta che le Nazioni Unite lo confermano in in un rapporto ufficiale, presentato al Consiglio di Sicurezza il 24 aprile.
Si ritiene che il gruppo Wagner sia vicino al presidente Vladimir Putin, anche se il Cremlino ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento nelle attività della compagnia privata Wagner in Libia.
Il gruppo di osservatori ha monitorato la presenza di soldati privati della Wagner in Libia dall'ottobre 2018. Stimano il loro numero da 800 a 1.200, ma asseriscono di non essere in grado di comunicare il numero esatto e, soprattutto, la loro rotazione sul campo, nel corso delle varie offensive lanciate contro la capitale libica.
I membri del gruppo Wagner forniscono supporto tecnico per la riparazione di veicoli militari, partecipano all’addestramento delle forze di Haftar e alle operazioni di combattimento, secondo gli osservatori delle Nazioni Unite. Forniscono supporto nel campo dell’artiglieria, nel controllo del traffico aereo, nelle contromisure elettroniche e nelle azioni di cecchinaggio.
Gli osservatori affermano, inoltre, di avere le prove di un trasferimento di combattenti siriani da Damasco alla Libia.
La presenza di combattenti siriani a sostegno del governo di unità nazionale a Tripoli, avversario del maresciallo Haftar, era stata confermata a febbraio dalla Turchia, impegnata militarmente dall'inizio dell'anno con il Governo di Unione Nazionale (GNA), diretto da Fayez al-Sarraj.
La novità è che i combattenti siriani venuti da Damasco sostengono Khalifa Haftar.
All'inizio di marzo, le autorità della Cirenaica hanno riaperto un'ambasciata libica a Damasco, dopo otto anni di interruzione dei rapporti diplomatici tra Libia e Siria.
Il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, si è guardato bene dall’identificare la Russia e la Siria come i paesi di origine dei mercenari.
Ma in un rapporto al Consiglio di Sicurezza del 5 maggio, il Segretario Generale denuncia le continue informazioni sulle implicazioni dei mercenari stranieri a beneficio dello schieramento di Haftar (dimenticando il sostegno turco ad al-Sarraj), in aperta violazione dell'embargo sulle armi decretato dallo stesso Consigli di Sicurezza nel 2011.
Tuttavia, né lui né gli osservatori delle Nazioni Unite raccomandano di prendere provvedimenti nei confronti dei responsabili delle violazioni.
L’escalation della crisi libica è da collocarsi nelle vicende più ampie che stanno interessando il Mediterraneo Orientale. La Francia, Cipro, la Grecia, l’Egitto e gli Emirati Arabi hanno ufficialmente condannato la politica egemonica del presidente Erdoğan, mentre l’Italia sta assumendo sempre di più una posizione marginale.
Attraverso un comunicato congiunto, emesso oggi, i ministri degli esteri di questi cinque paesi hanno denunciato le attività illegali turche in corso nella ZEE di Cipro e nelle sue acque territoriali e gli interventi di militari turchi in Libia.
Non è la prima volta che l’Italia è riluttante a schierarsi con i paesi che criticato fortemente la politica estera di Ankara. A tal proposito risulta significativa la decisione del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, di non firmare il comunicato finale adottato lo scorso gennaio al Cairo - dove pure il capo della diplomazia italiana era in visita ufficiale - al termine di una riunione con i colleghi di Egitto, Francia, Grecia e Cipro sulle ingerenze militari della Turchia in Libia.
Questo gruppo di paesi attacca spesso e fortemente la Turchia essenzialmente per due ragioni.
La prima è il sostegno della Turchia al Governo libico di accordo nazionale di al-Sarraj (di cui in teoria noi dovremmo essere i sostenitori), in contrasto rispetto al generale Khalifa Haftar che invece è apertamente appoggiato da egiziani ed emiratini. La seconda ragione, invece, è la partita energetica nel Mediterraneo Orientale che coinvolge soprattutto Cipro e Grecia. Firmando il recente memorandum con Tripoli, Erdoğan ha creato un corridoio energetico che lega la Tripolitania di al-Sarraj ad Ankara, rafforzando il ruolo della Turchia come hub energetico.
Ora la Turchia pretende che le zone offshore al largo di Cipro siano sfruttabili a sua discrezione. Ricordiamo ai lettori che abbiamo pagato anche un prezzo molto elevato quando una nave italiana per le esplorazioni (Saipem 12000) fu circondata da navi da guerra turche mentre stava legittimamente esplorando una concessione offshore. Il paradosso è che i comunicati della Farnesina continuano a sottolineare l’importanza dell’alleanza con i turchi, mentre questi non si fanno scrupoli pur di tutelare i loro interessi, anche a nostro danno.
Quindi, al momento, non se ne parla di schieraci contro la Turchia. L’Italia ha sempre mantenuto una sorta di equidistanza con tutte e due le parti in causa. In Libia abbiamo sempre sostenuto al-Sarraj (sulla carta), ma tutti ricorderanno che poco tempo fa il presidente del Consiglio Conte ha ricevuto a Palazzo Chigi Haftar addirittura prima di al-Sarraj, che dovrebbe essere l’unico leader riconosciuto dalle Nazioni Unite. Quello “sgarbo”, peraltro, portò il capo del governo di Tripoli ad annullare una visita a Roma in quello stesso giorno.
Lo status quo attuale cristallizza da un lato questo gruppo di cinque paesi, più la Russia, mentre dall’altro c’è la Turchia e il terzo punto di cui nessuno mai parla: il Qatar, il grande alleato arabo di Ankara.
Difficile ipotizzare che l’Italia potesse sostenere un’azione contro la Turchia, alleata del Qatar, il giorno dopo che i Servizi Segreti turchi (il MIT) ha dichiarato di aver liberato Silvia (Aisha) Romano, e poi di averla ceduta ai nostri, dopo che l’accordo per la liberazione era stato firmato in Qatar. Poi l’Italia ha pagato dei soldi su cui i magistrati competenti dovranno indagare, ma la questione geopolitica è chiarissima: è impensabile che l’Italia, all’indomani della liberazione della giovane cooperante, esplicitamente comunicata alla stampa dai turchi con la mediazione di Doha, potesse unirsi al coro di condanne.
Non c’è solo la questione energetica, su cui pure l’Italia è vittima; non c’è solo la questione libica, dove l’Italia appare ormai tagliata fuori. C’è una fondamentale questione geopolitica dove il nostro Paese, in regioni come il Corno d’Africa - dove un tempo aveva un ruolo primario – può ora solo adeguarsi alle decisioni di Ankara.
Foto: SANA / Twitter / presidency of the republic of Turkey / presidenza del consiglio dei ministri