Il vento dell’est soffia ormai da tempo sull’Europa centrale; in realtà non ha mai cessato dallo spazzare le pianure del vecchio continente. Mosso dallo spirito imperiale russo, sostanzialmente sempre lo stesso sia pur in forma zarista prima sovietica poi, tiene in vita i roghi di un’instabilità che, negli ultimi anni, ha mietuto vittime e sparso sangue. Cecenia, Georgia, Bielorussia, Ucraina, Transnistria, stanno lì a ricordare come, sotto un sottile strato di cenere, le braci della guerra abbiano continuato ad ardere.
Certo, le tattiche impiegate, l’elementarità dei sistemi di comunicazione ed una logistica carente peraltro anche sul breve periodo, fanno pensare che l’Orso russo abbia sottovalutato la forza di un popolo e l’inaspettata presenza di un presidente dileggiato per i suoi trascorsi, ma che ha mostrato e tutt’ora mostra il raro coraggio di rimanere al suo posto, pur non avendo una corona sul capo ed avendo potuto contare su un mezzo di fuga più comodo di una corvetta.
È un continuo ritorno al passato, un ritorno ad errori già commessi e ripetuti tuttavia con modalità diverse perché condizionate da evoluzioni tecnologiche che, nella loro perfezione, portano missili tecnologicamente avanzati a schiantarsi su centri abitati, scuole, ospedali.
Non c’è nulla di cui vantarsi, nulla di cui prendere nota per il futuro, se non il rimanere attoniti per le scene che, riprendendo le scorrerie e le violenze, riportano a tempi che si pensava appartenessero ad un passato che si auspicava obliato: un esercito dalla consistenza numerica sovietica con un supporto logistico zarista. La Russia ha lasciato sul terreno ordigni politici a tempo, un tempo evidentemente ormai terminato che ha dato l’innesco a violente detonazioni.
Chi pensa che in Ucraina e con l’Ucraina sia finita è fuori strada. È appena cominciata
Da est le forze russe spingono ottenendo successi tattici che ricordano, per scarsa velocità ed impatti, le sacche in cui, 80 anni fa, hanno combattuto senza badare allo spargimento di sangue; pur contrastate da una resistenza disperata e feroce, puntano ad ovest, volte a riconquistare antichi spazi ed intenzionate a recapitare un messaggio ben preciso al frontale limes occidentale: le rampe di lancio sono di nuovo vicine ed incombono sull’Europa. Non c’è comunque dubbio che Guderian e Von Manstein, in tema di mezzi corazzati e loro uso, avrebbero potuto ancora insegnare qualcosa.
Prendete ora una carta dell’Europa centrale, e tracciate una linea rossa che dalla Moldova, comprendendo quindi la Transnistria, viaggi verso nord avvicinandosi a Leopoli, e punti a Polonia e Kaliningrad. Ammettetelo, non è così astrusa. Pensare che l’Ucraina possa cadere solo perché pressata da est è fuorviante; la russofona Transnistria, ad occidente offre la possibilità di proiettare potenza verso l’Ucraina, ponendo fine all’esistenza politica della Moldova.
Dalle zone marittime meridionali di Odessa e dalla Transnistria, in un calcolo strategico poi non così complicato, la sorte moldova è segnata, come è segnata la fine della prima fase resistenziale ucraina, con Kiev in questo modo impegnata su più fronti. La spinta dalla Moldova, probabile prossima vittima sacrificale, porterebbe i russi verso il centro dell’Ucraina; quel che è interessante verificare è se, nel calcolo strategico, Mosca abbia valutato la conformazione storica e sociale di quelle terre.
Se la resistenza offerta da un est, che avrebbe dovuto essere più affine alla parte russofona, è stata così determinata, c’è da chiedersi cosa potersi attendere da un ovest, segnatamente la Rutenia, che ha sempre avuto Mosca in ubbia coltivando invece cultura e trascorsi asburgici. Questo porta a ritenere che la Russia possa aver pianificato una campagna che, partita per essere rapida e violenta, si è impantanata non rinunciando tuttavia al proposito di impartire lezioni terrorizzanti, fondate su un numero di vittime tale da incutere un timore perenne.
Se il disegno strategico russo è questo, ovvero sfruttare la rampa transnistriana russofona con propri soldati peraltro da tempo lì destinati, è inevitabile attendersi che circa 200 milioni di persone saranno coinvolte da eventi bellici che interesseranno non meno di 4 paesi (Russia, Ucraina, Bielorussia, Moldova), fino ad arrivare al contatto sul confine romeno, il limite (si spera) invalicabile.
Possibili scenari, nessuno piacevole:
1) Nello scontro tra Russia ed occidente sul terreno europeo, il terzo convitato di pietra, cinese, raccoglierà i frutti di un conflitto disastroso senza sparare un colpo: Sun Tzu ne sarebbe fiero. Basterebbe rammentare l’esito dello scontro secolare tra Romani e Sasanidi, di cui hanno colto i frutti gli arabi.
2) l’Ucraina si “irakizza”: le analogie sono molte, sia da un punto di vista geografico che sociale, cui aggiungere però un fattore diverso e determinante, ovvero la presenza di un popolo organizzato, nazionalista, pronto a continuare la sua guerra. Lo stanno già dimostrando ora, sotto i bombardamenti indiscriminati. Qui i convitati sarebbero due, gli argillosi occidentali, soggetti ai possibili colpi di coda di un antagonista privo di scrupoli, ed i granitici cinesi.
3) L’opzione nucleare che, quasi con nonchalance, questi giorni ha preso consistenza, non è da accantonare, visto che poi appartiene alla rinnovata dottrina militare russa in termini tattici, come non è da sottovalutare il possibile obiettivo, che dovrà essere fortemente simbolico e tale da fiaccare qualsiasi revanche. Tolte Kharkiv e Kiev, ormai allo stremo, la città più autenticamente ucraina e futura sede di governo ed organi istituzionali è Leopoli.
Sia chiaro, si tratta di una pura concettualizzazione che potrebbe aiutare ad espandere lo spazio del ragionamento per trovare altre possibili soluzioni.
Di chi la colpa? Da condividere tra molti; indubbiamente è da addebitare in larga parte all’intellighenzia oligarchica russa, ma anche ad un occidente ignavo che, negli ultimi decenni, ha chiuso gli occhi su tutto. In un mondo normale un ex primo ministro di un paese egemone eviterebbe di assumere incarichi di potere per società di paesi concorrenti e fortemente coinvolti nella vita economica nazionale; in un mondo normale i vari maître à penser di formazioni e movimenti politici potrebbero evitare di colpire il presidente, che non è fuggito, di un Paese sotto attacco: farebbero miglior figura. Ma la premessa sta nell’aggettivo: normale. Questo mondo non lo è; è per questo che, molto probabilmente, la Moldova entrerà suo malgrado in devastanti giochi di potere immensamente più grandi lei.
Ultima considerazione: le raffinate concettualizzazioni asimmetriche del generale Gerasimov sembra proprio che abbiano fatto la stessa fine dell’organizzazione logistica: miserrima.
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