I tragici eventi avvenuti nella Repubblica Democratica del Congo sono ormai noti: l’omicidio dell’ambasciatore Attanasio e del carabiniere Iacovacci campeggiano ovunque sulle prime pagine dei giornali.
Le domande sono molte, e nel tempo continueranno ad esserlo: chi ha qualificato il percorso come sicuro, chi ha gestito l’organizzazione dello spostamento, chi ha ritenuto di poter effettuare questo tipo di attività che non poteva essere ritenuta esente da rischi, visto che l’Ambasciata stava comunque tentando di approvvigionare mezzi blindati di cui non dispone ancora, quali sono stati moventi e mandanti dell’assalto.
L'attacco al convoglio del WFP, a bordo del quale viaggiavano Attanasio e Iacovacci, è avvenuto a nord di Goma, capoluogo della provincia orientale del Nord Kivu, provincia tormentata da violenze endemiche.
Un primo elemento posto in risalto è che, di questo quadrante e delle sue vicissitudini, non si hanno particolari nozioni. E questa, per un Paese che per dimensione politica ambisce a porsi tra i primi posti al mondo, è una colpa. Imperdonabile.
La RDC non è nuova a questo menage: tra il 1994 e il 2003 è stata il teatro di un conflitto che, per portata, partecipazione – 9 Paesi – e brutalità, è stato ribattezzato come Prima Guerra mondiale Africana, e che ha determinato circa 5 milioni di vittime.
L’ufficialità formale conferita alla fine del conflitto non ha tuttavia posto fine ai massacri ed agli stupri di guerra del Kivu, tanto che milizie e gruppi ribelli continuano ad imperversare ad est malgrado nell’area sia presente, una delle più consistenti missioni di peacekeeping ONU1.
La regione, posta al confine con Uganda e Ruanda, offre spazio anche agli scontri tra insorti e forze armate congolesi, per uno dei più banali e sanguinosi motivi di attrito: il possesso delle risorse pregiate. Il sottosuolo del Kivu è infatti ricco di oro, cobalto, nichel, diamanti e, soprattutto, di coltan, fondamentale per la produzione di smartphone e cellulari; è nel Kivu, infatti, che si concentra l’80% della produzione globale di columbite tantalite. Nell’area protetta del parco nazionale del Virunga, inoltre, sono stati scoperti nuovi giacimenti petroliferi, tanto da far considerare l’area di confine tra Uganda e Ruanda, come uno dei principali accumuli di risorse minerarie del pianeta.
I precari equilibri securitari del Nord Kivu contribuiscono a contestualizzare la situazione, con la Monusco, forte di 15.000 uomini con 724 osservatori provenienti da 49 nazioni diverse, ma inane di fronte all’attivismo dei gruppi armati, ed con l’assenza di un effettivo coinvolgimento dei principali attori politici della Regione dei Grandi Laghi, fattore che impedisce qualsiasi tipo di stabilizzazione. A questo si aggiunge la situazione degli oltre 5 milioni di sfollati, un numero tristemente superato solo dalla Siria, e dal carattere transfontaliero di una zona in cui ogni intervento potrebbe determinare la rottura del delicato equilibrio raggiunto con i paesi confinanti.
Questi anni, che avrebbero dovuto costituire la sessantesima pietra miliare dalla conquista delle indipendenze di molti Paesi dell’area, si sono aperti su uno scenario inedito, sconvolto dalla pandemia, e che dovrebbe condurre a considerare quanto è stato fatto, e quanto invece è rimasto incompiuto in termini economici, politici, sociali.
Gli elementi fondamentali sono diversi; innanzi tutto la regione subsahariana non ha raggiunto gli obiettivi auspicati, non riuscendo spesso a mantenere un avanzamento che mettesse in sincronia politica, tempo e risorse, e conservando un’arretrata omogeneità areale ed economicamente dipendente dall’estero, che ha visto effimere evoluzioni iniziali e marcate regressioni successive, eccezion fatta, ma non brillantemente, per gli anni compresi tra il 1995 ed il 2014. I Grandi Laghi, quindi, sono una regione fondamentale dell’Africa di Mezzo, dove si intersecano progetti geopolitici continentali ed internazionali, con l’insorgere della contesa per le materie prime sempre più alla portata del Dragone.
Dalla RDC si svolge la linea rossa che marca gli equilibri che dall’area dei Grandi Laghi spazia dal Corno d’Africa sull’Oceano Indiano, fino ad affacciarsi sull’Atlantico; un punto di raccordo nella lotta al terrorismo tra Somalia, Eritrea, Etiopia attraverso il Sudan, e con le riserve strategiche di petrolio del Golfo del Benin e del Golfo di Guinea.
Dominare il Congo significa controllare i giacimenti del Cabinda, della Guinea Equatoriale e del Congo-Brazzaville. Frantz Fanon2, immaginando l’Africa come una pistola, fu certo che il grilletto si trovasse nel Congo: una visione avvalorata dalle vicende riguardanti la splendente ascesa ed il tragico, rapidissimo declino di Lumumba, tradito dall’amico Mobutu, dalla secessione del ricco Katanga appoggiato dall’Unione Miniere belga; dal fallimento della missione ONU che portò alla morte dell’allora Segretario Generale Dag Hammarskjöld; dall’eccidio di Kindu; dall’insediamento voluto da americani e belgi di Mobutu come garante degli interessi occidentali.
Di Patrice Lumumba rimane il pensiero di un campione dell’indipendenza africana, di Mobutu una dittatura sanguinosa che permette l’accesso dei profughi ruandesi e la presa del potere di Laurent Kabila; a lui succede il figlio Joseph, che dilaziona le elezioni, coopta le opposizioni, e gode dell’appoggio di Francia e Belgio, di volta in volta messi intelligentemente a confronto, degli USA, grazie anche alla politica di Trump che non inasprisce i controlli sui cosiddetti minerali insanguinati, e della Cina, che lascia mano libera alle sue imprese.
Gli equilibri imposti dal post Guerra Fredda, hanno fatto sì che i Grandi Laghi Africani costituissero un punto di scontro delle varie istanze continentali; un attrito accelerato dal genocidio ruandese, che oscura l’opera anti apartheid di Mandela, e dalla conseguente Guerra Africana del 98, un confronto razionalmente inspiegabile alla luce delle potenzialità, dell’importanza e della ricchezza di un Paese determinante per l’estrazione di uranio, un Paese che avrebbe dovuto essere un punto di ricomposizione geopolitica da preservare nell’interesse di molti, potenti ed interessati attori internazionali. In tempi diversi, il Cuore di Tenebra di Joseph Conrad porta il pur rude Kurtz, dopo che ha visto quel che accade nella foresta pluviale del Congo, a mormorare "l’orrore! L’orrore!".
La terra del Congo è forse ancora intrisa del sangue versato da Leopoldo II del Belgio, che riuscì ad impossessarsi di un territorio quasi 80 volte più grande del suo regno, grazie ad un’abile e fraudolento battage filantropico volto ad aggiudicarsi il controllo delle ricchezze congolesi, in primis quelle derivanti dalla raccolta del caucciù. Un regime fondato sul terrore, di cui Leopoldo II tentò di cancellare memoria distruggendo i propri archivi.
Geograficamente il Congo è immenso, grande quanto l’Europa Occidentale, ma ancora poco e mal collegato, dove il mezzo radiofonico fa da padrone mediatico; tra est, ovest e centro sussistono forti differenze, anche sociali e linguistiche; all’est rimane irrisolta la questione hutu – tutsi, un continuo generatore di violenza. Di fatto un Paese in cui è certificato un vuoto di sovranità.
La legittimità statuale è minata dall’interno, ed attaccata dall’esterno, visto che alcune regioni spingono per una secessione di fatto. Molte le organizzazioni combattenti: le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (FdlR), movimento etnico hutu con esigue disponibilità finanziarie; le Allied democratic forces, che dopo alcuni anni di crisi seguiti all’arresto del leader Mukulu, oggi si proclamano islamiste, ma la cui aderenza ai precetti coranici è piuttosto dubbia, e che vengono utilizzate da Kinshasa per ottenere aiuti per la lotta alla Jihad; le milizie di autodifesa chiamate Mai-Mai, attive per lo sfruttamento delle risorse congolesi. In questo contesto trovano spazio anche gli interessi del libanese Hezbollah, grazie ad una rete di alleanze sostenute dall’Iran, in particolare durante la gestione Ahmadi-Nejad.
Tutte queste organizzazioni, pur cercando di impadronirsi di giacimenti e foreste, si autofinanziano con i rapimenti sia di maggiorenti locali sia di stranieri, e mal tollerano la presenza dei caschi blu ONU, testimoni del contrabbando delle ricchezze del Kivu, peraltro flagellato dall’ebola, con i Paesi confinanti; il Ruanda risulta essere ai primi posti nella produzione di coltan anche se ufficialmente è privo di miniere; da notare che nella capitale ruandese Kigali hanno sede le direzioni di diverse, soprattutto belghe e americane.
Si può senz’altro dire che nella RDC è presente una nascente geoeconomia collegata agli investimenti infrastrutturali, tenuto conto che i progetti rivestono una funzione geopolitica, senza contare i nascenti interessi dell’ENI, colonna portante della politica estera italiana, che da Brazzaville sta già guardando alla nuova leadership della RDC.
L’Italia potrà anche apparire come un attore di relativa minor caratura, ma è da considerarsi partecipe della vicenda della RDC: una magnifica torta da spartire, citando le parole Leopoldo II.
1 Monusco
2 psichiatra, antropologo, filosofo e saggista francese, nativo della Martinica e rappresentante del movimento terzomondista per la decolonizzazione
Foto: MONUSCO - 2021 United Nations