La sicurezza nazionale è un concetto complesso e articolato, che va visto su scala globale e in un’ottica sia interna che esterna. Per fronteggiare efficacemente le nuove minacce, ormai diventate ampie, fluide e complesse, è sempre più necessario ricevere tempestivamente le informazioni giuste. Questa è, infatti, un’esigenza ormai ineludibile per chiunque si occupi di sicurezza e difesa, dalla sorveglianza del possibile avversario al monitoraggio delle dinamiche geopolitiche e delle crisi d’area, dalla comprensione delle tensioni sociali agli sviluppi delle economie e del commercio internazionale. Di ciò si occupa l’intelligence, che ha il compito di raccogliere, analizzare e diffondere le informazioni e le proprie valutazioni al fine di fornire ai decisori gli strumenti conoscitivi per anticipare eventuali evoluzioni della situazione, contribuendo alla salvaguardia della sicurezza nazionale e alla prevenzione di attività destabilizzanti di qualsiasi natura.
Si tratta, quindi, di una missione cui devono concorrere sia lo strumento militare che le Forze di polizia in maniera collaborativa, ancorché finalizzata a “pubblico” e operatori diversi.
Per quanto attiene, in particolare, alla situazione internazionale, l’intelligence militare ha sempre cercato di assicurare un completo, chiaro e tempestivo quadro informativo, soprattutto sulle aree di tensione e crisi, al fine di meglio coordinare e rafforzare le capacità di intervento a tutela del prestigio, della sicurezza e degli interessi nazionali.
In tale ambito, stante la posizione geografica dell’Italia (oltre 7.000 km di coste) e la sua forte dipendenza economica dal mare, area sulla quale si sviluppa prevalentemente il traffico mercantile nazionale e dove sono presenti enormi risorse energetiche, essenziali per la sopravvivenza economica del Paese, (v.articolo) il servizio di intelligence navale ha sempre occupato un posto di primo piano nella gerarchia nazionale.
Ma questa non è una caratteristica della sola Marina Militare dato che, da sempre, le Marine di tutto il mondo hanno sviluppato sorprendenti e peculiari capacità anche nel delicato ambito dell’intelligence. Capacità che si sono sempre rivelate utilissime per prevenire o risolvere i conflitti e che sono cresciute esponenzialmente durante gli anni della cosiddetta Guerra Fredda.
L’intelligence navale durante la Guerra Fredda
Il concetto di “Guerra Fredda” è stato usato per la prima volta in pubblico da Winston Churchill nel marzo 1946 (vedi "discorso sulla cortina di ferro"), nel corso di un intervento al Westminster College di Fulton (Missouri). Tale definizione è passata poi a identificare il periodo che va dalla formale resa incondizionata del Giappone (2 settembre 1945) alla dissoluzione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS), avvenuta l’8 dicembre 1991. L'Accordo di Belaveža, con il quale veniva sancita la fine del sistema sovietico, era stato preceduto dalla caduta del Muro di Berlino (3 ottobre 1990). Finiva così un periodo di dura contrapposizione che vide lo svilupparsi di numerose aree di crisi attorno al mondo e nell’area euro-mediterranea. Dal Muro di Berlino alle crisi coreana e di Cuba, all’invasione sovietica di Ungheria e Cecoslovacchia, in risposta alle richieste di maggiore libertà da parte dei cittadini.
Vuoi per il fatto che i sottomarini nucleari, con le loro numerose testate atomiche imbarcate e la capacità di navigazione occulta, hanno rappresentato il vero deterrente di quel travagliato periodo, vuoi per una innata propensione allo sviluppo tecnologico sia nel settore degli armamenti che in quello dell’elettronica dei sistemi di sorveglianza le Marine, con i propri mezzi subacquei, navali e aerei, hanno rappresentato una risorsa primaria di intelligence, non solo a favore del Paese di appartenenza ma anche per i rispettivi alleati.
Come ben sanno tutti i marinai, per esempio, durante una navigazione capita talvolta di incontrare un’altra nave che percorre una rotta contraria o, comunque, che la porta ad avvicinarsi (senza pericolo) a portata d’occhio. La maggior parte delle volte ciò è occasione, per gli equipaggi o almeno chi è di guardia in plancia, per uno scambio di saluti. Tanto più vero se l’incontro è tra due unità militari di Paesi alleati e amici. Una tradizione distensiva che veniva osservata anche tra navi appartenenti a opposti schieramenti durante il periodo della contrapposizione tra blocco atlantico e blocco sovietico, stando bene attenti a non effettuare manovre che potessero essere interpretate come aggressive, nel pieno rispetto delle regole di ingaggio emanate dagli Stati Maggiori.
Un occhio attento ai dettagli avrebbe tuttavia notato che, contemporaneamente al personale che con aria amichevole salutava dalle alette di plancia, in altro punto della nave c’era qualcuno che si dava da fare per fotografare l’altra unità, cercando di raccogliere informazioni circa l’armamento, i sensori di scoperta, le antenne per telecomunicazioni, ecc… con lo scopo di fornire materiale agli analisti dei servizi informazioni. Durante il periodo della Guerra Fredda, l’incontro non era mai casuale.
In quel particolare periodo, quindi, proprio per le peculiarità dell’ambiente operativo i sommergibili, le navi e i mezzi aerei della (o impiegati dalla) Marina si trovavano nella migliore posizione per fornire elementi di valutazione ai servizi informazione sulle Marine dell’altro schieramento. Ciò non significa negare l’apporto che il personale delle altre Forze Armate dette alla salvaguardia della sicurezza del blocco occidentale. Significa semplicemente che la dimensione marittima fu, per le sue profonde implicazioni geopolitiche ed economiche globali, il teatro privilegiato di quel confronto, che tenne il mondo con il fiato sospeso per il pericolo di un olocausto nucleare.
Basti pensare al preziosissimo concorso dei sommergibili che, potendo navigare in maniera occulta, hanno avuto la possibilità di osservare le forze avversarie da posizioni estremamente favorevoli, raccogliendo informazioni dal valore inestimabile. Tra queste ricordo le operazioni segrete del sottomarino statunitense Halibut (operazione “Ivy Bell”) che, sotto le acque del Mar di Okhotsk, riuscì a penetrare più volte le difese sovietiche e a registrare le comunicazioni tra gli Alti Comandi della parte avversa. Azioni che sono passate alla storia dello spionaggio subacqueo.
Le Marine e l’intelligence oggi
Con la caduta del Muro di Berlino molti pacifisti estremi pensavano, a torto, che la raccolta delle informazioni sarebbe un po’ “passata di moda”, vista la distensione in atto. Ma uno dei mestieri più antichi del mondo non ha subìto alcuna frenata giacché ai vecchi/nuovi avversari se ne sono aggiunti molti altri, sia Stati che entità non statali, favoriti dall’allentamento della pressione da parte delle due superpotenze nucleari e dal ritorno di vecchie ruggini religiose, politiche, sociali, economiche ed etniche mai veramente sopite. Ciò ha permesso una dilatazione degli “…spazi per manovre ostili e inserimenti strumentali di vario segno e matrice…”1, rendendo il servizio di intelligence ancor più rilevante.
Un chiaro segnale che il gioco della raccolta informazioni non è mai veramente andato in pensione, nel nord Atlantico come nel Mediterraneo, come nel Pacifico è rappresentato dal fatto che, nel novembre 2020, per ricordarne uno recente, a circa 24 miglia nautiche (45 chilometri circa) dalla costa scozzese, a nord di Aberdeen, i satelliti spia hanno segnalato la presenza di due navi russe classe “Vishnya” (foto), e di un’unità da rifornimento, probabilmente la Sergey Osipov, classe “Boris Chilikin”2. Le classe “Vishnya” sono grosse unità intelligence (circa 3.500 tonnellate per oltre 90 metri di lunghezza) con 150 persone di equipaggio. Non è chiara quale fosse la loro missione, ma si trovavano comunque in un settore militarmente importante, data la presenza di importanti installazioni britanniche (Marina e Aeronautica) in vicinanza della costa. Il Nord Atlantico è sempre stata una zona strategica, sostanzialmente l’unico sbocco all’Oceano per la flotta russa del nord, (v.articolo) e la zona dove hanno navigato le due unità è area di transito dei sottomarini nucleari britannici. Secondo alcuni analisti Mosca avrebbe ultimamente intensificato la propria attività nella regione, tornando ai livelli della Guerra Fredda.
In tale ambito, i “vecchi” sottomarini balistici della Guerra Fredda verranno progressivamente sostituiti con altri giganti più moderni, comunque in grado di cancellare ogni forma di vita da aree vastissime. In campo statunitense i classe “Ohio” saranno ritirati a partire dal 2029, lasciando il posto ai sottomarini classe “Columbia”, mentre gli imponenti sottomarini russi classe “Typhoon” lasceranno il posto ai sottomarini classe “Borei” e “Delta IV”. Parallelamente verranno costruiti nuovi sottomarini progettati principalmente per cercare quelli avversari, per acquisirne la posizione, per ombreggiarli, per carpirne i segreti e ... per cercare di renderli inoffensivi nel caso diventino una minaccia. I nuovi battelli, come l’U212NFS (Near Future Submarine), rappresenteranno un’evoluzione del “classico” concetto di cacciatore di sottomarini, in quanto ospiteranno anche apparecchiature espressamente dedicate alle attività di sorveglianza nel campo delle emissioni elettroniche e delle comunicazioni e saranno, inoltre, in grado di dialogare con droni subacquei di ultima generazione, le cui potenzialità intelligence sono in costante aumento.
La raccolta delle informazioni sul mare e dal mare, quindi, continua e include un ampliamento dei compiti. A quelli “classici” relativi alle unità e agli armamenti navali dei potenziali avversari si aggiungono compiti di ricognizione e sorveglianza relativi al traffico di droga o all’immigrazione clandestina, spesso operata da moderni schiavisti che sfruttano gruppi di disperati (o di criminali sfuggiti alla giustizia del Paese di origine) a scopo di lucro.
In tale ambito la Marina Militare, sia con i sommergibili sia con i mezzi aerei, continua a operare nelle acque del Mediterraneo, fornendo il proprio qualificato contributo alla raccolta delle informazioni per la valutazione da parte degli operatori dell’intelligence nazionale.
Per potenziare la capacità nazionale di raccolta delle informazioni, dallo scorso dicembre il Governo sta, inoltre, valutando l’acquisto per l’Aeronautica Militare di altri otto super-jet Gulfstream G-550 (foto) per l’intelligence elettronica, con l’obiettivo di controllare i cieli del Mediterraneo. L’intento sarebbe di dotare l’Italia di 10 velivoli (due sono già in dotazione) con i sistemi più avanzati del pianeta, formando la più grande flotta di aerei da spionaggio elettronico d’Europa. Come, tuttavia, affermano autorevoli fonti della Difesa, si tratta di macchine che sono ormai giunte a fine produzione e che non prevedono un concreto e significativo ritorno per l’industria nazionale. Per di più, sembrerebbe che buona parte delle nuove macchine non potrebbe ospitare a bordo le apparecchiature elettroniche necessarie per assolvere la missione assegnata e che, quindi, rimarrebbero semplici velivoli a riposo negli hangar. Un’operazione che assomiglia molto al tristemente famoso Air Force One nazionale, estremamente costoso e mai impiegato.
Appare, quindi, poco comprensibile questo attivismo circa l’acquisizione di capacità che non sono al primo posto nell’elenco delle esigenze nazionali, proprio mentre altri settori strategici sono invece in affanno, come la componente da trasporto dell’Aeronautica o la componente del pattugliamento marittimo, formalmente assegnata all’Aeronautica (che ha la responsabilità della catena logistica) ma operativamente dipendente dalla Marina. Una componente oggi ridotta ai minimi termini come capacità complessiva, con velivoli che non sono all’altezza delle esigenze operative richieste. Quest’ultima, in particolare, qualora fornita di Maritime Patrol Aircraft (MPA) all’altezza della missione assegnata, con minime aggiunte/modifiche dal costo sostanzialmente irrisorio potrebbe assolvere per l’Italia anche la missione intelligence dei Gulfstream G-550 in acquisizione, potendo essere anche in grado di individuare, analizzare e disturbare qualunque impulso elettronico. In sostanza, si tratterebbe di installare a bordo di quei MPA dei componenti aggiuntivi per accrescere le già esistenti capacità di intercettare qualunque emissione su un’area vastissima, analizzarla in tempo reale con l’intelligenza artificiale e distribuire i risultati agli utenti interessati.
I Maritime Patrol Aircaft, nell’ambito dell’assolvimento delle loro naturali missioni sotto il Controllo Operativo della Marina Militare, diventerebbero così gli snodi volanti di una rete di sorveglianza globale, posizionati tra la superficie del mare e i satelliti geostazionari, in grado di assolvere tutto lo spettro delle missioni di ricognizione e sorveglianza e di scambiare informazioni direttamente con i satelliti, con i caccia della Difesa aerea e con le navi (e i caccia imbarcati), essendo gli equipaggi da decenni abituati a lavorare in quel particolare ambiente operativo tridimensionale (sopra, sulla e sotto la superficie del mare). Una capacità intelligence potenziata che si affiancherebbe alle attuali capacità di raccolta delle informazioni, di ricognizione e vigilanza di superficie, di lotta antinave, di controllo subacqueo, di lotta antisommergibile, di sorveglianza antipirateria, antidroga, antimmigrazione clandestina, di ricerca e soccorso in mare (SAR), di coordinamento e controllo delle Forze. Tutte missioni fondamentali per la sicurezza nazionale che potrebbero essere assolte con l’impiego di un mezzo effettivamente multiruolo, l’adeguato velivolo per il pattugliamento marittimo che da anni la Marina Militare chiede alla Difesa, evitando di dilapidare ingenti somme di denaro (si parla di ben oltre i 5 miliardi di Euro) per ampliare una flotta di velivoli che potrebbero assolvere la sola missione intelligence.
I Gulfstream G-550, in sostanza, sono velivoli che pur rispondendo alle esigenze per le quali vengono costruiti, hanno capacità presenti anche su altri velivoli più flessibili sotto il profilo dell’impiego operativo e, in tempi di estreme ristrettezze economiche, la loro acquisizione non appare costo-efficace. Un impegno che, inoltre, vincola il budget militare anche per molti anni a venire. Una scelta che, a parere di molti osservatori, presenta numerosi punti deboli e che non pare guidata dalla ricerca dell’ottimizzazione delle risorse disponibili e del massimo beneficio nazionale (anche industriale). Come afferma Gian Carlo Poddighe del Centro Studi di Geopolitica e Strategia Marittima, una scelta che avrebbe potuto essere meglio giustificabile se fosse stato deciso di investire la stessa cifra per l’acquisizione, per esempio, di un adeguato numero di MPA multiruolo completamente equipaggiati, magari con possibilità di off-set (allestimento e manutenzione in Italia, con relative ricadute lavorative ed economiche) invece di spendere un capitale per avere otto Gulfstream G-550 monoruolo parzialmente (o per nulla) equipaggiati.
Abbiamo parlato di collegamenti con i satelliti per la raccolta di informazioni per l’intelligence. Lo sviluppo tecnologico, infatti, oggi favorisce la raccolta di informazioni anche dallo spazio, attraverso satelliti ad-hoc che, per mezzo di sistemi elettronici o optoelettronici, permettono di ottenere fotografie con una risoluzione impensabile vent’anni fa, oppure di controllare e disturbare in maniera “selettiva” le emissioni sullo spettro elettromagnetico avversario, dai cellulari ai radar. In più hanno la capacità di compiere operazioni mirate per la lotta al terrorismo, come cercare la voce di un singolo ricercato attraverso milioni di conversazioni telefoniche e quando la trovano, localizzarne la posizione e seguirne i movimenti.
In tale ottica assume enorme valore strategico il progetto della Marina Militare denominato “SIMONA” (Sistema Italiano Messa in Orbita da NAve) che, nell’ambito del Piano Nazionale di Ricerca Militare (PNRM), si propone di verificare la fattibilità all’impiego di Nave Garibaldi (giunta al termine della propria vita operativa) come piattaforma di lancio di missili vettori per mandare in orbita satelliti e attrezzature. L’iniziativa rappresenta, quindi, un passo importante verso l’esplorazione di soluzioni innovative per conferire al nostro Paese una capacità autonoma di accesso allo spazio, anche nel settore dei satelliti per l’intelligence¸ e un elemento di grande interesse anche per le positive ricadute in termini di progresso delle capacità industriali del Paese (v.articolo). Una mossa che arricchirebbe le capacità intelligence nazionali e permetterebbe importanti e significative ricadute strategiche, tecnologiche ed economiche per l’Italia, oltre che accrescere enormemente il nostro prestigio internazionale.
Conclusioni
Con le riforme dei Servizi informazione degli ultimi vent’anni si è cercato di dare maggiore impulso e coordinamento al lavoro delle diverse strutture di intelligence nazionali, allo scopo di accrescere le effettive capacità di comprensione della situazione interna e internazionale da parte dei decisori, in relazione ai complessi problemi correlati alla sicurezza nazionale.
Il lavoro di intelligence rappresenta, quindi, uno strumento insostituibile al fine della valutazione della minaccia. In tale ambito, siamo perfettamente consapevoli delle sfide cui dobbiamo far fronte, siano esse correlate alla sempre più accesa competizione per il controllo delle vie commerciali marittime o all’approvvigionamento delle risorse energetiche marine, da ogni aspetto della guerra invisibile che ci vede contrapposti a entità terroristiche non statali alle attività della pirateria o del traffico di droga e di armi.
In tale ambito, appare assolutamente indispensabile procedere con razionalità all’acquisizione dei mezzi e della tecnologia necessaria per permettere ai nostri servizi di intelligence di svolgere efficacemente il proprio ruolo. Si tratta di un obiettivo di importanza strategica assoluta, senza il quale la funzione di informare adeguatamente e tempestivamente il decisore non potrà essere validamente assolta.
L’ultima cosa che oggi possiamo permetterci è di inseguire chimere autoreferenziali e disinteressarci di quelle capacità strategiche multiruolo che permetterebbero all’intelligence militare di operare.
Capacità che sono, invece, da proteggere e da modernizzare in modo che l’intelligence possa mantenere il suo indispensabile ruolo di proteggere e informare, a sostegno della sicurezza nazionale in un’era di pericolo continuo e variegato, di una gravità senza precedenti.
1 Presidenza del Consiglio dei Ministri, Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza 2020
2 Dal sito navalnews.com
Foto: U.S. Navy / web / Aeronautica Militare / Marina Militare