Turchia: con o senza il reis

(di Gino Lanzara)
17/05/23

Se è vero che dal cilindro delle consultazioni elettorali turche non è stato estratto il nome del nuovo presidente, è però altrettanto vero che sono arrivate indicazioni politiche più che analizzabili, alla luce dell’eccezionale affluenza, e di certo non fondate sui sondaggi demoscopici, dimostratisi poco aderenti ad un’accettabile predittività, e comunque caratterizzate da discrepanze tra quanto riportato dall’agenzia pubblica Anadolu, e il Consiglio elettorale supremo.

Mentre Erdogan, che ha visto decrescere i consensi dai grandi centri urbani, accusava Kilicdaroglu di aver cercato di ingannare il paese, lo stesso Kilicdaroglu che ha imputato a Erdogan di voler impedire la volontà della Turchia preparando il contesto per torbidi politici nelle prossime due settimane, si dichiarava certo che la sua vittoria fosse solo rimandata. La distrazione, tuttavia, potrebbe giocare qualche brutto tiro, visto che mentre l’attenzione veniva polarizzata dallo scontro tra gli aspiranti presidenti, le elezioni parlamentari consegnavano un emiciclo dove, senza incertezze, con il 49% delle preferenze l’AKP si è imposta con l’alleato nazionalista MHP con circa 100 seggi in più rispetto all’antagonista CHP.

Come sempre c’è stata una scheggia impazzita, l’ultra nazionalista Sinan Ogan che, con il 5,3% si è appropriato, per il 28 maggio, dell’interessante ruolo di ago della bilancia del ballottaggio, vista l’opposizione a Erdogan al 49,51%, ma anche ai partiti filo curdi a sostegno di Kilicdaroglu al 44,88%; l’uscita di scena di Ogan, a queste condizioni, potrebbe favorire Erdogan, a cui il ministro degli esteri greco Dendias ha preconizzato un regno ancora lungo, alle prese con un declino di popolarità dovuto alle pessime performance economiche ed all’evidente involuzione autoritaria.

Gli esiti elettorali, pur condizionati da deep fake generate dall'AI1, confermano la popolarità di Erdogan, nelle province più conservatrici grate, soprattutto, per aver consolidato la posizione religiosa contro la laicità kemalista, ed appagate del refrain che dipinge la Turchia come potenza industriale militare; la campagna elettorale di fatto, oltre che sull’economia, ha interessato il ruolo dottrinario nella vita pubblica, un tema sensibile per un presidente che nel suo ventennio di potere ha rafforzato l'educazione religiosa.

Proprio l’AI dell’indipendente turco 140journos (media, ndr) ha offerto due possibili narrazioni post elettorali utilizzando il generatore di immagini AI Midjourney e il generatore di testi AI ChatGPT. Nella prima si immagina un Erdogan sconfitto e ritirato che, in vestaglia, prende un tè; nella seconda, in una Turchia imperiale alla Star Wars, il reis mira a costruire la pace universale.

L’economia rimane una delle maggiori vulnerabilità; nello stesso Iran nessuno ha mai potuto aggiudicarsi la posta elettorale senza accrescere l’economia; anche le conseguenze del sisma di febbraio sono state controbilanciate dal controllo sul flusso delle informazioni, di dominio governativo; il 90% dei media anatolici è allineato con l’esecutivo e solo il 20% della cittadinanza comprende lingue diverse dal turco; non a caso le notizie relative a inflazione, violazioni dei diritti umani, detenzione di giornalisti e politici, inefficienze delle agenzie di soccorso sui luoghi del sisma sono state accortamente filtrate e bloccate.

Quali sono gli altri fattori determinanti?

Appartenenza ideologica e identitaria in un Paese politicamente polarizzato, il sistema clientelare costruito dall’AKP. 

Secondo Soner Cagaptay che descrive Erdogan, difensore di Putin, come Giano faced, un due facce per chi ama Batman e Gotham City, mai come ora la Turchia è come una cipolla, un frutto senza nucleo, una democrazia per 20 anni nelle mani di un autocrate pronto ad annullare gli ultimi residui dello stato di diritto.

Dove ha fallito Kilicdaroglu, deciso accusatore di interferenze putiniane, rispetto ai sondaggi? Non nelle grandi città, ma nell’Egeo interno, sul Mar Nero Occidentale e nell’Anatolia centrale, sensibile agli attacchi portati all’identità alawita, così lontana dall’integralismo sunnita, ed al sostegno filo-curdo dell'HDP. In queste aree Kilicdaroglu ha perso più voti di quanti ne abbia guadagnati, forse perché è stato abilmente dipinto come un Manchurian Candidate (politico che viene usato da un nemico, ndr) sostenuto dal PKK curdo, cosa che ha reso diffidenti i curdi da un lato ed i nazionalisti turchi dall’altro.

Il ballottaggio ha prolungato consultazioni più vicine ad un referendum di fatto su Erdogan che non ad elezioni presidenziali, tenuto conto che il reis si è dimostrato quanto mai fragile e bisognoso del sostegno interessato dell’ultranazionalista Devlet Bahçeli, abile a muoversi in un contesto politico al contempo centralizzato e frammentato, dove anche l’accesso alle risorse gioca un ruolo non indifferente; basti ricordare come il sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu, una volta confermato nella carica, abbia tagliato 357 milioni di lire turche altrimenti destinati fondazioni vicine alla famiglia Erdoğan. È il problema dei partiti/stato, quando con il tempo i confini tra le due entità si sfocano e si estendono le reti di clientes. La storia lo insegna: la possibilità di essere giudicata, per un’amministrazione in carica, alza la posta per il mantenimento del potere, un gioco che porta alla necessaria delegittimazione dell’antagonista.

Intanto l’economia corre: il mattino del 15 il mercato azionario è sceso; azioni ed obbligazioni turche sono diminuite mentre il costo per assicurare il debito statale contro il default è aumentato in conseguenza del mantenimento dei tassi di interesse al di sotto del livello inflattivo. La crescita del 2001, peraltro agevolata dalle politiche del precedente governo, è ormai un ricordo.

Geoeconomicamente una Turchia post-Erdogan ristabilita potrebbe assurgere al ruolo di partner per USA e UE che devono rivedere i rapporti con la Cina diversificando le supply chain; non a caso l’Economist, circa 13 anni fa, definiva la Turchia quale possibile Cina d’Europa, salvo trasformarsi ora in una versione anatolica dell’Argentina.

Se l'opposizione dovesse prevalere dovrà affrontare compiti difficili, prima di tutto invertire l’Erdoganomics, basandosi su regole certe investendo in tecnologia e riorganizzando la base industriale. Attenzione però, il rischio che le banche europee paghino la sconfitta di Erdogan è reale, visto che molte di loro sono fortemente esposte nel paese condividendone giocoforza il destino; secondo Bloomberg, malgrado la riduzione delle attività, banche spagnole, francesi, britanniche e tedesche hanno ancora in piedi investimenti per miliardi.

E la Russia?

Non manca, tranquilli (mica tanto). Con una cerimonia virtuale la Turchia ha inaugurato la sua prima centrale nucleare a realizzazione Rosatom. È fuori di dubbio che le relazioni russo turche sono entrate in una nuova dimensione caratterizzata da geopolitica e malcontento anti occidentale. L’opposizione, pur vincendo, potrebbe ancora aver bisogno di impegnarsi con la Russia in merito alla presenza militare in Siria, pur continuando a bilanciarsi sulla guerra in Ucraina per allinearsi alla narrativa occidentale.

E dopo il Cremlino, la Casa Bianca, che vede in Kilicdaroglu, forse troppo semplicisticamente, una valida e credibile alternativa specie in chiave NATO; che Kilicdaroglu sia di altra pasta ci sta, che un kemalista sia completamente arrendevole, molto meno. Potrebbe aprirsi una nuova stagione politica, ma l’imperativo rimarrebbe quello di non gettarsi a capofitto in avventure di difficile gestione (Primavere arabe docent). Non a caso Kilicdaroglu ha dichiarato al Wall Street Journal che, laddove eletto, ottempererebbe alle sanzioni occidentali vs la Russia, ma manterrebbe gli investimenti russi in Turchia. È chiaro? E dovrà esserlo anche per la concessione dei kit di aggiornamento per gli F-16, non certo per l’approvvigionamento degli F-35, date le sanzioni determinate dall’acquisizione del sistema russo S400.

Ultimo attore rilevante: il Kurdistan

Considerare la popolazione curda come mossa da un unico comportamento elettorale è fuorviante dato che l’elettorato differisce al suo interno. Durante le elezioni turche del 20182circa 33 curdi su 100 che si sono recati alle urne hanno votato per l'AKP, 10 per il CHP3 e 57 per l'HDP4; secondo le ultime ricerche condotte prima di queste elezioni, circa 21 elettori curdi su 100 avrebbero votato per l'AKP, 20 per il CHP e 58 per l'HDP. I voti per l'AKP, votato ad una narrativa esclusivamente antiterroristica, partito che ha riscosso il maggior successo nelle province curde nel 2007 e nel 2011, sono diminuiti significativamente. 

Come direbbe il prof Richard Brown (cercatelo, cinematograficamente vale la pena), a questo punto suppongo che il resto di voi stia aspettando che io vomiti alcune profonde parole di saggezza...”, cosa impossibile per carenza del materiale principe (la saggezza), e perché la politica in chiave realista è più ruvida e priva di afflati idealistica alla sergente maggiore Lorusso (anche questo vale la pena), quindi... Erdogan è stato il demiurgo di un regime prepotente, un assolutista che è riuscito a sfibrare parte della società turca, non ignara del fatto che la sua famiglia (non è un mistero) ha in pugno molteplici attività economiche con tutto quel che comporta in termini di clientelismo.

Il populismo mal si associa alla teoria che precede la pratica, e dunque nulla di stupefacente nel constatare che le ricette economiche prescritte abbiano condotto a inflazione, collasso economico, altissimi costi sociali con un malcontento diffuso. Eppure, chi vorrebbe davvero un cambiamento radicale con tutto quel che comporta in termini di instabilità? Ma aggiungiamo, chi ha fatto i conti con un potere così indebolito, dove Kilicdaroglu è riuscito a coagulare tante anime diverse con un bacino elettorale trasversale prendendo le distanze dall’Islam?

Le percentuali parlano chiaro, e danno poco spazio alle sempre possibili ma improbabili sorprese; più realisticamente potrebbero verificarsi crisi di governo successive. Nel loro piccolo anche i Curdi... contano, ma non sono stati l’elemento determinante capace di far saltare il banco, anche perché la coalizione antagonista e tutta da interpretare.

Quel che potrebbe spostare gli equilibri, con il beneplacito occidentale, è la creazione di uno stato federale curdo in Iraq capace di riempire un vuoto politico, non un Grande Kurdistan, ma uno stato flessibilmente fondato su "presupposti realisti" e non solo religiosi; insomma "premesse razionali" così come dovrebbe essere la politica. È la stessa razionalità che porta a ritenere che, alla fin fine, a prescindere dagli schieramenti, tutti cercheranno di contenere le perdite.

È innegabile che il mondo turco abbia un’anima religiosa prevalente su quella laica, quasi come se soffrisse ancora di insicurezze che richiedono una costante affermazione; del resto, l’impero era ottomano, non esclusivamente turco in termini di stato nazione.

Cosa attendersi dunque in politica estera da un kemalista, laddove vincesse? Continuità e non stravolgimenti strategici, come il sostegno all’Azerbaigian ha mostrato, e come la rivalità con la Grecia ha insegnato fin dagli anni 70. Internamente, l’eventuale messa a riposo di Erdogan andrà correlata alla volontà di sopravvivenza espressa dal sistema di potere che accompagna il reis: un apparato ventennale si suppone, forte, radicato, e con poco desiderio di cedere.

Nota di colore: il giorno del ballottaggio coincide con l’anniversario delle proteste di Gezi Park, la cui repressione ha scandito uno dei primi atti autoritari dell’allora nuova Turchia. Ricordarlo non farà certo male.

1 Ha destato stupore scoprire in un video che Kilicdaroglu parlasse un inglese perfetto; il sito web indipendente Teyit ha poi scoperto che il video era un falso. Teyit ha smentito oltre 150 affermazioni non veritiere relative alle elezioni; molte di queste erano deepfake progettati per accusare i candidati dell’opposizione di terrorismo. Un altro candidato, Muharrem Ince, ha abbandonato la competizione dopo il rilascio di un presunto sex tape definito un deepfake.

2 Rawest e KSC

3 Partito Popolare Repubblicano

4 Partito democratico Popolare filo curdo

Foto: presidency of the republic of Turkey