Anche in Turchia il voto amministrativo fornisce indicazioni politiche e sociali circa le possibili evoluzioni in proiezione nazionale. Il problema per le opposizioni, CHP in testa, è che l'esecutivo, forte della vittoria elettorale del 2023, rimane sotto la leadership dell'AKP, con l'astro nascente Hakan Fidan agli Esteri.
Erdogan ha puntato moltissimo, praticamente tutto, su queste consultazioni; da politico navigato che ha saltato vittoriosamente il trampolino del municipio di Istanbul per premierato e presidenza, non ha trascurato alcun tentativo di captare benevolentia, fino a tornare a elargire regalie davanti ai seggi.
Non è bastato: economia altalenante, politica post terremoto, instabilità securitaria, hanno contribuito ad erodere il consenso nei maggiori centri urbani, politicamente distanti dalla realtà sociale delle periferie anatoliche.
Il primo spunto analitico riguarda dunque la valutazione geografica della spaccatura geografica dell'elettorato; il secondo riguarda il ritorno arrembante di uno schieramento che la storia aveva relegato ad un passato kemalista complesso.
Attenzione però, anche il CHP ha conosciuto evoluzioni politologicamente interessanti coniugando le originali istanze laiche e statuali con nuove prospettive aperte ad un confessionalismo inedito eppure in grado di attrarre voti.
L'analisi politica, in attesa delle elezioni del 2028, non può prescindere dal tentare di comprendere quali possano essere state le discriminanti in grado di dirottare il voto, se cioè le preferenze sono state condizionate da aspetti contingenti legati ad un leader ormai anziano ma superabili da un delfino rampante, oppure se possono ravvisarsi elementi di novità ideologica. È questo il punto nevralgico su cui volgere l'attenzione nei prossimi anni, a meno che il peso sociale, economico e demografico dei maggiori comuni perduti o non riconquistati dall'AKP non provochi l'effetto domino di una crisi a catena. Istanbul, Ankara, Smirne, hanno lanciato Ekrem Inamoglu, così distante dagli istrionismi di Erdogan, verso le presidenziali, inchieste giudiziarie permettendo.
In ogni caso dai fatti di Gezi Park il tempo, pur essendo trascorso, ha lasciato segni ora riaffiorati; tutto cambia, nulla cambia? Don Fabrizio, il Principe di Salina, ne sarebbe stato deliziato, specie davanti ad un CHP sugli scudi ed all'ascesa di formazioni nazionaliste ed ultrareligiose che attestano uno scollamento delle fasce sociali tradizionaliste finora fedeli a Erdogan, che paga dazio anche nel sud est curdo.
Erdogan ha cambiato la Turchia; ora la Turchia, sull'abbrivio, potrebbe continuare a cambiare da sola verso una destinazione da analizzare con attenzione anche per il leader maximo ha concluso la sua disamina con un "tutto può succedere".
Foto: presidency of the republic of Türkiye